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Sorprese di città
Lorenzo aveva ottenuto il rinvio di ogni decisione per qualche mese, ma alla fine il direttore delle Poste lo mise di fronte a una scelta obbligata, spiegandogli, senza mezzi termini, che il suo ventennale lavoro di postino non era più motivato a Curiglia, incantevole paesino nel cuore delle Alpi Lepontine, in cui Lorenzo era nato e dove, il giorno stesso della trionfale assunzione alle Poste Italiane, si era unito in matrimonio con la sua dolce Angelina, mettendo su in pochi anni una numerosa e allegra famigliola.
L'unica possibilità rimasta, aveva concluso il severo direttore, per continuare a svolgere quel lavoro che tanto lo appassionava, era che Lorenzo accettasse il trasferimento nella grande città in riva al Verbano: laggiù l'esistenza di un bacino di utenti più consistente, ancora giustificava l'impiego di un paio di portalettere.
Lorenzo si ritrovò quindi a consegnare la posta lungo strade e piazze spoglie, subendo, suo malgrado, un'autentica indigestione di cemento, dopo aver gioito per anni su e giù per stradine polverose che costeggiavano prati fioriti e boschi rigogliosi. L'unico spazio di evasione era il piccolo parco comunale, dove ritrovava un seppur pallido richiamo alle bellezze naturali che la sorte matrigna gli aveva amaramente sottratto.
Le luci multicolori della città, i semafori, le vetrine traboccanti di mercanzie di qualunque genere, i cartelloni pubblicitari studiati per attirare l'attenzione, il viavai incessante di automobili lungo lo stradone in riva al lago, tutto appariva insignificante al suo sguardo, che rimaneva smarrito in un vuoto sfuocato, privo di fascino. Non così per quel nonnulla di natura che ancora vi sopravviveva: fosse una semplice foglia ingiallita che volteggiando al vento di tramontana si staccava dal ramo di quell'infelice platano solitario, al centro dell'ampia piazza avvelenata dal traffico, o il ronzio di un'ape disorientata a caccia di un improbabile fiore in quel mare nero di asfalto. Allora il suo sguardo si accendeva all'improvviso di una luce nuova e tutto era annotato e catalogato nella sua mente.
Come già detto, Lorenzo era un assiduo frequentatore del parco cittadino: uno scampolo di verde, purtroppo trascurato dall'amministrazione comunale che, a causa della cronica mancanza di fondi, aveva da tempo tolto l'unico custode, destinandolo a compiti più urgenti.
Nei pochi metri quadri liberi da costruzioni, la natura tentava di reagire alla prepotente invadenza umana, riuscendo faticosamente a ricostruire una pallida immagine delle originali bellezze, proprie di questi spazi lacustri, prima delle moderne ingiuriose trasformazioni.
Lorenzo amava esplorare, nei brevi ritagli di tempo che riusciva a sottrarre al suo lavoro, ogni angolo recondito di questo fazzoletto di terra incolta, e fu così che una mattina d'inizio novembre il suo occhio acuto notò tre le foglie ingiallite, raccolte intorno a una folta ceppaia, il timido spuntare di rotondità a lui ben note. Nessun dubbio. Quello era il segnale che presto sarebbero nati, anche su questo povero terreno cittadino, dei preziosi funghi appartenenti alla specie volgarmente chiamata "chiodini". Una varietà certo non tra le più pregiate, ma sicuramente commestibile e molto generosa per quantità di funghi prodotti.
Quella vista scaldò il cuore di Lorenzo, gettando una nuova luce sull'ambiente derelitto che lo circondava, quasi incredulo che anche qui la natura potesse prevalere, regalando all'ostile mondo urbano uno dei suoi frutti più prelibati.
Quel giorno riprese il lavoro con maggior lena, impaziente di poter ritornare prima di sera a controllare il progredire di quella crescita e valutare con maggiore calma il momento più propizio in cui riempire la sua cesta.
La sera stessa, a tavola con la numerosa famigliola intenta a consumare un magro pasto, annunciò con esultanza l'imminente scorpacciata di gustosi funghi trifolati.
I due bimbi più piccoli, che ricordavano vagamente come fossero fatti dei funghi, lo subissarono di domande e Lorenzo non mancò di descrivere con dovizia di particolari le loro ottime proprietà gastronomiche, giungendo a suggerire alla moglie il modo migliore in cui cucinarli. Angelina non disse niente, ma certo non gradì che il marito mettesse in discussione le sue capacità ai fornelli di casa.
- Dove sono questi funghi? - incalzarono sempre più incuriositi i bambini.
Una domanda cui Lorenzo non voleva né poteva rispondere, pena correre il grandissimo rischio di veder sparire il suo bottino. Quelle due birbe, infatti, non avrebbero resistito alla tentazione di spargere la notizia in tutta la scuola, il cui cortile confinava per l'appunto proprio con il parco. Frotte di bambinetti vi si sarebbero riversate come un'orda selvaggia, e allora addio al sogno di una gustosa abbuffata di funghi chiodini, accompagnati da una montagna fumante di polenta.
- Mi spiace, ragazzi, ma il posto dei funghi deve rimanere un segreto e che non vi sfugga una parola, capito?
Il giorno dopo, Lorenzo si alzò di buon ora, in tempo per deviare attraverso il parco e controllare la crescita dei suoi chiodini. Tutto procedeva per il meglio. Al massimo un paio di giorni di attesa, o forse solo una notte, se avesse piovuto.
Assorto in ammirazione, si accorse soltanto all'ultimo istante che qualcuno gli era alle spalle. Lorenzo si alzò di scatto, tentando, senza molta convinzione, di assumere un'aria impassibile.
Erano anni che il Comune non inviava nessuno a pulire quel parco, ma proprio quella mattina lo spazzino, nel cui raggio di competenza rientrava anche l'area del parco, colto da improvviso senso del dovere, aveva deciso di rastrellare almeno in parte la gran quantità di foglie a terra. Intravisto un uomo in divisa da postino chinato sotto degli arbusti, si era avvicinato incuriosito. La mossa repentina di Lorenzo lo aveva insospettito, ma non avendo notato nulla di anormale nel successivo comportamento, lo spazzino rispose al breve cenno di saluto e proseguì nel suo lavoro di ramazza.
Il giorno dopo era domenica e, manco a dirlo, sabato sera aveva iniziato a piovere. Se per tutta la cittadinanza l'arrivo della pioggia era accolto col solito fastidio, non così per Lorenzo che vide abbreviarsi l'attesa per la raccolta.
Mise in preallarme i bambini e all'alba della domenica, armati di capienti cestini, si avviarono decisi verso il parco.
I funghi erano lì che aspettavano, ritti e maestosi. Con un urlo di gioia si precipitarono a raccoglierli. Tempo un secondo e già i cestini erano colmi, quando Luca, il più giovane dei fratelli, rimasto sopraffatto da tanta veemenza, vide un signore chinato qualche metro più in là ed esclamò:
- Babbo, guarda quel signore, anche lui raccoglie funghi!
- Meno male che li cogliete anche voi, - disse allora lo spazzino, rivolgendosi al postino, - ce ne sono di belli più in là, ma non sapevo se correre il rischio o meno. Ora avvertirò i miei amici che mi stanno attendendo là dietro, incerti sul da farsi.
Lorenzo rimase ammutolito e deluso: controllava il territorio da due giorni e non si era accorto della presenza di altri funghi ancora più belli, soltanto una cinquantina di metri oltre il viale. Un moto di stizza lo invase, ma fu breve. Infatti, prevalse in lui l'innata generosità campagnola e intraviste altre persone lungo la via adiacente al parco, invitò anche loro ad approfittare di quell'abbondanza.
Osservando i suoi concittadini riempire cappelli, tasconi e altri mezzi di fortuna, a Lorenzo sfuggì un invito:
- E se organizzassimo un bel pranzo, tutti insieme? - Esclamò ad alta voce.
Purtroppo nessuno rispose e, messo al sicuro il proprio bottino, tutti preferirono allontanarsi in silenzio per la propria strada.
Chi l'avrebbe detto che molti di loro si sarebbero ritrovati quella sera stessa nella medesima corsia dell'ospedale, lamentando grandi mal di pancia! Avvelenamento da funghi, non grave per fortuna. Le dosi mangiate non erano certo abbondanti, e non tutte le specie di funghi erano velenose. I chiodini raccolti da Lorenzo non lo erano di certo, ma la moglie, appresa la notizia che già aveva fatto il giro della città, si affrettò a buttare tutti quelli rimasti, con vivo disappunto del marito che già pregustava un secondo piatto per il giorno dopo.
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