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347... morto che parla
Non c'è nulla
come comunicare
per fare più leggera la vita.
L'aria era satura di elettricità. Se ne respirava l'odore un po' dappertutto. Negli androni delle case, nei giardini, nelle vie della città. Il temporale, in fuga verso l'orizzonte, stava cedendo il passo a un mesto tramonto. Andrea, bavero alzato, aveva lo sguardo fisso su una pozzanghera, mentre l'acqua, percorsa da una leggera brezza, gli restituiva la figura incerta di un uomo con l'impermeabile, come dentro lo schermo di un vecchio televisore bianco e nero in vena di bizze. Uno di quei sarcofaghi lignei del secolo scorso, dal carattere assai instabile, e bisognosi di ripetuti cazzotti prima di tornare in sè.
- Meno male: oggi le maniere forti non servono più - pensò Andrea - miracoli della tecnologia! Tutto è più stabile. Almeno per quanto riguarda la tivù.
Con questa riflessione, stimolante e profonda come la pozzanghera che gli stava davanti, mise fine alle trasmissioni infrangendo lo schermo con una scarpa. Poi, uscito da quello stato di trance, prese a camminare senza molta convinzione verso la fermata del bus. La giornata era stata un inferno: una riunione via l'altra! E le telefonate? Tante che aveva perso il conto. L'orecchio bolliva ancora.
Il bus era lì, con le fauci aperte. Sarebbe bastato uno sprint finale e il mostro lo avrebbe inghiottito. Quindi, dopo averlo masticato ben bene, lo avrebbe sputato fuori a due passi da casa, come un chewing-gum! Invece Andrea, all'ultimo momento, rallentò. Ripensandoci, l'avrebbe fatta a piedi, così si sarebbe rilassato un po'. I pensieri si agitavano e rincorrevano scomposti nella mente. Non riusciva a sintonizzarsi su niente che valesse la pena di essere acchiappato al volo e rivoltato come un calzino. Dopo alcuni minuti svoltò l'angolo, in una stradina un po' in ombra. Cinquanta metri più avanti, fu attirato da una vetrina illuminata. Sembrava la versione ridotta di uno di quei bazar di Times Square, dove i portoricani si arricchiscono come nababbi tirando sòle ai turisti. Specie quelli italiani. Se poi napoletani, meglio ancora. Perché fottere un napoletano equivale a conquistare un posto d'onore nella Hall of Fame della "creatività".
Per mettere a fuoco la mercanzia esposta, Andrea si impegnò non poco. Lo sguardo dovette farsi largo tra montagne di dischi di vinile 45 giri buttati alla rinfusa su una base di velluto rosso; vecchi cofanetti di long playing, fra cui spiccava Athlantic Rythm & Blues 1947-1974; qualche radiolina a transistor; cuffie di ogni specie; spazzolini elettrici di ogni genere; diversi MP3 players; pacchi di CD e DVD vergini; un televisore extraslim; carillon dalle forme più strane, di certo made in Taiwan; una serie di pelouche con la testa ciondolante come tanti zombi; un apriscatole elettrico con levatappi incorporato; varie torce a led; qualche lampada da scrivania; lampadine a risparmio energetico; due accattivanti macchine per espresso; un gasatore d'acqua; un mini tapis roulant da viaggio; una bacinella con idromassaggio per i piedi, particolarmente adatta per chi soffriva di occhi di pernice e neurisma di Morton, come sottolineava un cartello scritto a mano; più una miriade di cellulari di ogni razza. Mamma, quanti erano! Roba da perdersi.
Spiccava, in mezzo a questa marmellata, sopra un piedistallo di perspex rotante, un oggetto sottile come un cracker, in un materiale che non riusciva a definire. Era acceso e, secondo le posizioni che assumeva nel suo ripetitivo movimento, sembrava disegnato dalla luce. Sotto, un cartello stampato con una grafica elegante, diceva: Siamo orgogliosi di presentarvi Lucy. Ta... taaaa! Il cellulare che manda in pensione tutti gli altri.
- Corpo Real Morph: replica ogni forma, meno il fondo-schiena della Lopez.
- All bands, compresa la tua band preferita.
- Bluetooth, ma non temere: non macchia i denti.
- Infrarossi, per una tintarella perfetta.
- Ricarica a energia solare: se c'è brutto stattene a letto.
- Comandi all-vocal: astenersi da parolacce.
- Prese all-wireless, esclusa presa in giro (optional).
- Macchina fotografica da 200 pixel, più programma per dagherrotipi.
- Possibilità effetto voice-morphing in risposta, senza bisogno del fazzoletto sulla bocca.
- Segretaria tuttofare, comprese ore pasti.
- Richiamo vocale dei nomi dalla Rubrica e dall'Aldilà.
- GPS, nel caso ti smarrisca in un bicchier d'acqua
- Accesso a internet, con espulsione automatica superato il limite.
- Garanzia: funziona ovunque che è una meraviglia, parola di lupetto!
Prezzo di lancio 99, 99 euro.
Non poté fare a meno di sorridere. Più che il contenuto, che risentiva senza dubbio di qualche iperbole pubblicitaria, lo colpì il tono spiritoso, disinvoltamente ironico, forse un tantino goliardico, del messaggio. La marca non l'aveva mai sentita nominare, ma di certo dietro quel progetto c'era gente che ci sapeva fare. Gente piena d'entusiasmo e un po' sfrontata. Come chi sa di essere due passi avanti. Probabilmente giovani temerari al loro esordio. Magari di quelli che danno vita alle loro geniali invenzioni nel garage di famiglia. O nella buia cantina di una casa popolare. Non i soliti parrucconi ingessati delle multinazionali che, se si esclude lo staff della Mela, sanno esprimersi solo in palloso tecnichese. Qui c'era human touch da vendere. Ma era soprattutto il materiale così diverso e l'aspetto essenziale che rendeva quell'oggetto irresistibilmente seducente. Prometteva davvero bene. Molto più di tante parole. D'altronde non si dice: immagine batte parola tre a zero?... o qualcosa del genere?
Senza pensarci su due volte, afferrò la maniglia ed entrò: dlin-dlon! L'interno del negozio era pressoché vuoto. Un bancone di legno che doveva averne viste di tutti i colori, con al centro un enorme registratore di cassa che faceva a pugni con la dimensione della stanza e, probabilmente, anche con il volume degli affari. Sulla destra una pila di piccole scatole grigio perla, con su scritto Lucy, in un bel Baskerville Old Face. Le pareti erano tappezzate da cima a fondo di poster di questo ultimo ritrovato della telefonia. Nella stanza non c'era traccia di vita. Andrea, dopo essersi guardato a lungo attorno, si decise:
- C'è nessuno? Heilà... c'è nessuno in casa? Me ne vado? Ecco, sto per uscire... - Dopo alcuni minuti, proprio mentre stava per girare i tacchi e infilare l'uscita, una porta si aprì e ne uscì un ometto in maniche di camicia, tutto sudato.
- Mi scusi, ero di là a sistemare il magazzino, in cosa posso servirla?
- Sono stato attirato da quel cellulare in vetrina... quello...
- Lucy! Ma certo! Non è il primo. Sa, sta andando forte. Adesso glielo mostro. Meglio sarebbe dire gliela presento. Ecco, lei è Lucy! Così dicendo tirò fuori dal taschino della camicia quell'oggetto, destinato certo a diventare oggetto di culto. Andrea allungò la mano e lo afferrò. Era leggero come una piuma. Senza protuberanze. C'era qualcosa di sensuale al tatto. Il corpo assumeva immediatamente la forma della superficie a cui aderiva. Tutto avveniva per sfioramento e comando vocale. Bastava un sussurro. Non aveva nemmeno bisogno di essere ricaricato: un minimo di luce ed era sempre pronto. E poi com'era flessibile: potevi arrotolarlo, torcerlo, che non faceva una piega. Non un gemito. Solo fremiti. Sì, era una vero piacere per i sensi. Lucy era quello che si definisce un "gioiello". O meglio: un "tesoro"! Roba da far morire d'invidia anche i fan della Mela. Andrea ne fu conquistato.
- Mi garantisce che non mi lascerà a piedi nel giro di pochi giorni? - domanda del cazzo, pensò appena pronunciata la frase, vista la quantità di pezzi che l'omino doveva sbolognar via non poteva trattarsi di un pacco.
- Vada tranquillo, nessuno mi ha ancora mandato i padrini, né aspettato col bastone sotto casa. Comunque io sono sempre qui, almeno fino a quando non li avrò venduti tutti. - disse indicando la pila di scatole e, subito dopo, il retrobottega, come a dire che ne aveva in serbo un quantitativo industriale.- Vuole che le inserisca la sim?
- Grazie!
L'uomo prese la microcard, la premette leggermente sul corpo morbido del cellulare, che sembrò inghiottirla come panna montata una moneta. Andrea allungò la carta per pagare. Una strisciata e via! Se ne uscì tutto soddisfatto. Una giornata iniziata male e proseguita peggio si avviava a conclusione con una nota positiva.
Arrivò a casa che era buio pesto. Erano passate le dieci da un pezzo e il temporale aveva mandato in tilt la rete elettrica in molti quartieri. Si sentiva così stanco che andò a letto senza cena, e precipitò in un sonno abissale.
Si svegliò a tappe, come chi risale dalle profondità marine e si ferma a compensare. Durante il tragitto fu accarezzato dalle note di un pezzo molto vintage, appartenente al repertorio musicale dei suoi vecchi, ormai scomparsi da parecchi anni: Lucy in the sky with diamonds... Lucy in the sky with diamonds... Lucy in the sky with diamonds, ah ah... follow her down to a bridge by the fountain... Era un risveglio dolce. Che lo riportava lontano. Alla sua prima infanzia. Ma da dove arrivava quella musica? Hi-Fi e radio erano spenti. La tivù pure. Guardando meglio, vide il taschino della giacca in cui aveva infilato il cellulare illuminarsi. Ne fuoriusciva, insieme alle note, un piccolo alone azzurro che pulsava come una lucciola. Non si ricordava di aver programmato la sveglia del telefonino. D'altronde la sera prima era così stanco che non avrebbe potuto giurarci. In ogni caso, la cosa capitava a fagiolo: erano le sette, l'ora in cui si alzava abitualmente.
Quel giorno, in ufficio, ricevette tante di quelle telefonate che, nonostante Lucy non emanasse il calore degli altri cellulari, dovette cambiare orecchio diverse volte per evitare di ritrovarsi con due bistecche bruciacchiate appese ai lati della testa. A parte questo dettaglio, dovuto agli inevitabili campi magnetici, Lucy aveva davvero una marcia in più. Andrea era soddisfatto. Proprio un bell'acquisto. Il migliore degli ultimi anni. Verso le sette, prima di andarsene, trovò fra i vari sms un messaggio che diceva: Ciao, Andrea. Una voce amica. Chi mai poteva essere, ma soprattutto perché non si firmava? E poi quelle parole: una voce amica. Forse una delle sue ex, o una di quelle allegre scaldacazzi che volevano coinvolgerlo in un nuovo giochino erotico, una sorta di indovina indovinello: se l'azzecchi te la faccio vedere! Ma no, cosa gli saltava in mente! Probabilmente si trattava solo di un amico di vecchia data che voleva tenerlo un po' sulla corda prima di richiamare e rivelarsi. Spense il cellulare e uscì in strada. Passò al ristorante cinese, si fece confezionare una fantasiosa cenetta, e riprese la via di casa. Quella sera voglia di uscire zero. Avrebbe terminato di leggere quel polpettone che aveva in ballo da mesi.
Dopo cena, come aveva programmato, si versò un goccetto, fece qualche tiro di quelli extra, e sprofondò in poltrona. Stava per attaccare l'ultimo capitolo, che il telefono squillò. Cosa strana, perché avrebbe scommesso di averlo spento.
- Pronto! Pronto! - la linea era disturbata...- Pronto! Ma chi parla? Pronto! C'è qualcuno in linea? Pronto!!?
Adesso la linea era sgombra, si sentiva una presenza dall'altra parte dell'etereo filo. Respirava appena. Sembrava in attesa, titubante... indecisa sul da farsi.
- Se non rispondi riattacco, odio questi giochetti. Mi sembra di essere tornato alle medie. Allora ti decidi o no? Guarda che chiudo!
- Andrea...!!?
- Alla buon'ora! Sì, sono proprio io, che intuito!, hai vinto una bambolina!
- Anch'io sono io...
Di colpo Andrea rabbrividì, non poteva essere... doveva trattarsi di uno scherzo, sembrava... sì sembrava la voce inconfondibile di suo padre. Rimase basito. Insieme alla mascella, gli cadde anche il cellulare, che atterrò sul parquet come una piuma.
La voce continuava a parlare, mentre Andrea restava lì, vibrante, come percorso da una leggera corrente elettrica. Gli occhi in black out, persi nel vuoto. Lentamente cercò di reagire, raccolse delicatamente Lucy.
- Mi scusi, ma lei chi è? Sa, per un attimo ho pensato... una cosa assurda... assurda... ass... - farfugliò - la sua voce è identica a quella di mio... mio padre. Tanto che per un momento...
- Calmo, calmo, rilassati... sss... così. Adesso ascoltami. So che può sembrare assurdo, ma sono proprio io, tuo padre, nato il ventotto novembre del millenovecentoquarantaquattro. Non si tratta di uno scherzo. Certo, proprio io... tuo padre... non in persona, per ovvi motivi. Se mi dai due minuti te lo dimostro con un particolare che solo tuo padre può conoscere: da bambino mi chiedevi sempre il prezzo di ogni cosa che vedevi. Anche la più assurda. Insistevi così tanto che ogni volta mi prendevi per sfinimento. E io dovevo inventarmi le cifre più improbabili. Come facevo d'altronde a sapere il prezzo dell'astronave di Guerre stellari. O dell'auto di Ritorno al Futuro. O della statua di Marc'Aurelio. Per non parlare del Colosseo... Insomma non c'era cosa che colpiva la tua immaginazione di cui non volevi a tutti i costi conoscere il prezzo. E chi, se non tuo padre, chi, dimmi, potrebbe essere a conoscenza di questa tua piccola, innocente mania? - Ci fu un silenzio interminabile, durante il quale il cervello di Andrea rimase in stallo.
- Ma, ma andiamo... come pensa che possa credere ad una simile assurdità? Per chi mi ha preso? Magari un po' ingenuo... ma mica stupido!
- Ti prego, facciamo un patto, ascolta quello che ho da dirti, vedrai che ne vale la pena. Alla fine sono certo che ti convincerai, se no... e poi, scusa, cosa ti costa, cosa rischi... tutt'al più invece di leggere un libro palloso, avrai sentito un racconto fantastico. Che ne dici?
Anche se Andrea non aveva cambiato idea, adesso era curioso di sentire dove quell'individuo sarebbe andato a parare. Decise di stare al gioco. Perché di gioco, se non di scherzo, doveva trattarsi.
- Okey, okey... vada avanti... sono tutt'orecchi!
- Vedi mi trovo in un mondo, se così possiamo definirlo, un po' strano. Niente che ti puoi immaginare. In questa atmosfera ci sono milioni e milioni di sfere trasparenti. In effetti si tratta, diciamo, di campi energetici. È il movimento rotatorio di ognuna di queste energie che disegna la forma circolare, non si tratta di veri e propri contenitori. Fa conto di vedere un sistema planetario, dove ci sono dei pianeti che eseguono dei movimenti di rotazione e rivoluzione... come la Terra, insomma. Queste sfere disegnate dal movimento di energie interne vagano senza meta e senza apparente ordine, come sospinte da un vento leggero. Le energie di cui ogni sfera è composta sono le stesse che, uscite dal corpo, si liberano nell'aria alla morte di ogni individuo. Di tanto in tanto questo ordine viene rimesso in discussione da una bella shakerata, le sfere si urtano, si penetrano, con reciproco scambio di energie, e da questo tempesta perfetta nasce un nuovo ordine. Si potrebbe chiamare entropia post mortem, con l'aggiunta di sintropia celeste, che rende tutto questo processo inesauribile, senza fine. Eterno. Almeno pare. Non potrei giurarci. È prematuro. L'ho sentito dire. E poi qui il tempo non esiste e quindi anche parlare di eternità è, quantomeno, improprio. Perché non c'è eternità se non c'è tempo... Ma direi di cambiare discorso. Ogni volta, al solo pensare queste cose, mi va in corto il cervello.
Voi, sulla Terra, non lo sapete, ma ci sono dimensioni parallele alla vostra. Come questa. Alcune, le più vicine, di tanto in tanto si urtano, non chiedermi perché, non sono mai stato forte nelle materie scientifiche. Prendi per esempio gli UFO, quelli extraterrestri. Pare esistano per davvero, ma in un'altra dimensione. Quando li avvistate è perché è avvenuto uno sfioramento, una piccola collisione dimensionale. Dove spazio e tempo si mescolano e si confondono. A proposito qualche tempo fa mi è passato vicino Otis, sai, proprio lui... Stava fischiettando un motivetto soul niente male. Un'altra volta mi è parso di riconoscere un amico che mi doveva ancora cinquemila lire dai tempi dell'università. D'altronde se uno trapassa, non si scappa: deve per forza trovarsi nei paraggi.
Mano a mano che la voce procedeva nel racconto, disseminando qua e là piccoli aneddoti come l'inaspettato incontro con Redding, uno dei cantanti preferiti di suo padre, Andrea cominciava a cedere. Il cervello, riagganciatosi al cuore, sembrava tornato a connettere. A poco a poco il suo scetticismo stava svanendo, e lasciava il passo ad uno stato d'animo nuovo. Come se una sorta di irresistibile fascinazione, fatta di ricordi ed emozioni, appartenenti ad un passato trapassato, si stesse rapidamente aprendo un varco tra difese che la ragione aveva tentato di innalzare alla rinfusa.
- Ma veniamo al motivo della telefonata. So che sembra tutto assurdo. Ben oltre i confini della realtà e, forse, dell'immaginazione. Ma non porti troppe domande. Prendi la cosa così come viene. Chiudi occhi e orecchie e lasciati andare... fa che sia il tuo cuore a sintonizzarsi. Ti ho chiamato perché avevo una cosa sullo stomaco, che agitava tutte le mie energie residue. Non mi dava pace e sono certo non l'ha data nemmeno a te. Corro al punto: tra noi un dialogo vero e proprio non c'è mai stato. E me ne rammarico. Sapessi quanto ci ho pensato. Credo comunque che la colpa andrebbe divisa in due. Anche se la responsabilità è più mia che tua. Ero più vecchio. Avrei dovuto arrivarci prima di te. Almeno fare la prima mossa. E invece... avevo contribuito a metterti al mondo, anche se mater certa ma pater... ah ah ah, scusami, ma qui siamo a corto di frizzi e pure di lazzi... non si sa mai con chi cazzeggiare e allora... stavo dicendo? Ah sì, a proposito della mia paternità. Vedi è un classico, figlio mio. Nove su dieci, specie tra maschi, tra padre e figlio, succede così: non si comunica. Si sta in superficie. Si galleggia. Non si osa guardare sotto. E allora rimangono delle zone oscure, nel migliore dei casi delle porte semiaperte. Comunque sia, dei conti in sospeso. Ecco perché un bel giorno mi sono deciso: ho architettato e messo in piedi tutto questo per contattarti. Ci ho investito tutto quello che resta di me. Ho messo in gioco le mie energie. Perdio, non potevo mica lasciare il nostro rapporto a metà. Dovevo portare a termine una cosa incompiuta, se no l'avrei avuto sulla coscienza per sempre.
Gli occhi di Andrea cominciavano a inumidirsi, il cuore aveva preso a battere più forte. Prese coraggio, alla fine si lasciò andare, abbandonò ogni dubbio, ogni riserva.
- E la mamma? Dimmi...
- Anche lei... le sue energie, dopo essere volate via si sono riaggregate in una di queste sfere. Una volta mi è sembrato di vederla, in lontananza. Ma, subito dopo è arrivata la shakerata, e da allora più niente. Di tanto in tanto percepisco telepaticamente una sorta di richiamo, una specie di saluto lontano. Niente più. Ma mi basta. So che c'è e che ha trovato il suo equilibrio. Sai, è difficile ritrovarsi vicini qui. Se capita è per puro caso... uno su un miliardo. Ma non preoccuparti non si sta poi così male. Certo, è un'altra vita. Più tranquilla. Senza tanti grattacapi, o grosse sorprese. Perché mai se no si parlerebbe di pace eterna? Quando ti vedevo abbracciare tua madre, devo confessarlo, ero contento ma provavo anche un po' d'invidia. Con me lo facevi raramente, con meno trasporto.
- Ma io volevo bene a tutti e due. Per lei provavo solo più tenerezza... avrei voluto proteggerla... era così vulnerabile.
- Lo so, è naturale, non hai bisogno di giustificarti, ma sai com'è, a volte si ha bisogno di conferme tangibili. Di prove inequivocabili. Ver-ba-li! Accidenti, sto diventando dannatamente sentimentale, rasento il patetico... l'aria di qui probabilmente non mi fa bene, ma se torno a nascere giuro che mi dedico anima e corpo a convincere la gente che deve di comunicare di più. Ce n'è un gran bisogno. Fa bene, scalda il cuore. Rende la vita più leggera. Serve parlarsi di più, eccome... ad ogni età. Mai dare nulla per scontato. Specie nei rapporti sentimentali. I comportamenti, i gesti, gli sguardi sono importanti, ma non battono la parola o meglio... la parola, quando usata con sincerità, dà certezza agli atteggiamenti, li suggella. Ne moltiplica l'effetto. Quando ero in vita non gli davo importanza più di tanto. Pensa quando nel cinema ha fatto irruzione il sonoro, vuoi mettere! Avrà anche contribuito a rendere il mezzo più freddo, come dice quel tale Mac Luhan, ma gli ha dato senza dubbio più forza, emozione, realismo. Immagina un bambino che sorride e uno che, oltre a sorridere, dice mamma. Vogliamo scherzare! Non c'è paragone!
Andrea aveva gli occhi lucidi, mento e labbra gli tremavano come quando, bambino, riceveva un rimprovero. O una brutta notizia. O doveva rinunciare a qualcosa. Ma non voleva cedere. Alla fine le lacrime furono più forti di lui. Presero il sopravvento. Eruppero come un vulcano e si misero a scendere sul suo volto, bollenti come lava.
- Lo sai, anch'io avrei voluto dirti tante di quelle cose che... dividere con te le mie angosce, le mie incertezze, le mie aspirazioni, i progetti, i turbamenti... ma quando ero lì lì per farlo tu mi sembravi così lontano, mi mettevi soggezione, o forse era un fatto di rivalità fra maschi, stupido orgoglio. Oppure solo un blocco psicologico, semplice inibizione. Senza dimenticare poi lo scarto o, come si diceva: il "conflitto generazionale". Magari sto dicendo sciocchezze, cose senza senso. Non sai quante volte mi sono detto se solo avessi fatto uno sforzo in più per rompere quel muro... forse ce l'avrei fatta. Sarei riuscito a comunicare con te. Ci saremmo capiti, non ti avrei costretto a rischiare ora parte delle tue energie. Non ti ho mai detto quanto ti stimavo, che ti ammiravo per la tua onestà, per il senso di giustizia che mi avevi inculcato. Che ti ero grato per avermi insegnato a pensare positivo, non temere le difficoltà. Per avermi indicato la via. Con autorevolezza. Senza imposizioni.
- È bello sentirtelo dire. Sai, a volte ho pensato di aver sbagliato tutto. Di certo la mia generazione, quanto a educazione dei figli, di cose ne ha azzeccate poche. Bah, inutile recriminare, ciò che è fatto è fatto. Forse non me lo meritavo, ma ogni tanto avrei voluto anche sentirmi dire un "ti voglio bene", come dicevi alla mamma. Quando l'abbracciavi, la sollevavi, e le facevi fare un giro di walzer a mezz'aria. Com'era felice! Anche se io lo sapevo, sapevo che mi volevi bene, perché me lo dimostravi nei fatti, mi sarebbe comunque piaciuto sentire quelle tre magiche parole: ti voglio bene! Almeno una volta. Una sola.
- Posso fare qualcosa per te? Intanto che sono qui. Magari qualcosa che non hai avuto il tempo di fare?
- Ragazzo mio, sarebbero così tante che non basterebbe un'altra vita, ma non preoccuparti, quello che mi stava veramente a cuore, per cui ti ho cercato... lo stai facendo adesso.
- Sai, sono sereno, papà, è svanito di colpo ogni rimpianto. Sono contento che tu mi abbia chiamato, che abbiamo comunicato. Adesso non piango più, sto sorridendo.
Ci fu un silenzio che sembrò durare una vita...
- Quanto mi costerà questa telefonata? Ah... ah... ah... pare che adesso stia per scadere il tempo, non ho più... gettoni! Ciao figliolo, arrivederci, ma il più tardi possibile, sono felice di averti ritrovato, che ci siamo chiariti. Stiamo in contatto. Sai, adesso basterà il pensiero: la sintonia e ristabilita. La telepatia fa miracoli.
Andrea fu preso da un groppo alla gola, non riusciva a emettere suono, ma anche lui era felice. Poi, con uno sforzo estremo, raccolse tutte le forze, il sangue si mise a pulsare, le vene di collo e fronte si ingrossarono, deglutì forte.
- Ti voglio bene, papà!
È stato facile, pensò. Più di quanto si sarebbe immaginato. Provava una sensazione nuova. Come se un'onda benefica lo avesse investito tutto, e adesso ogni cellula del suo corpo si stesse crogiolando al sole.
- Ti voglio bene anch'io, Andrea! Te ne ho sempre voluto! Più di quanto immagini.
Andrea aveva gli occhi che gli brillavano. Adesso era al settimo cielo. Gli sembrava che suo padre fosse lì, davanti a lui.
- Fermati... ancora un momento...- disse con voce rotta dalla commozione - toglimi una, anzi, due curiosità, se puoi... lui... lui... lui intendo... c'è? Esiste davvero?
- Cosa vuoi che ti dica, non saprei. Una cosa è certa: se mai esiste... non ama farsi vedere in giro.
- E... e tutta questa cosa che hai messo in piedi per contattarmi... quanto può costare a spanne... più o meno del Colosseo?
- In euro, intendi? Ah... ah... ah...
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