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Odore di felicità
15 Novembre 2011, foce del fiume Sarno, a sud di Napoli.
Quel giorno aveva piovuto ininterrottamente e aveva continuato per tutta la notte.
Ormai era sera quando un'utilitaria con a bordo un uomo sulla cinquantina, che attraversava il ponte sulla statale a qualche chilometro dalla foce del fiume in piena aveva sbandato, ruotando fino a mettersi di traverso e infine, slittando sul fondo stradale reso viscido dalla pioggia, aveva investito in pieno il parapetto metallico della corsia opposta, finendo in acqua.
L'uomo che viaggiava nell'auto che la precedeva, dopo aver assistito alla scena attraverso lo specchio retrovisore, era sceso dall'auto e aveva dato l'allarme.
Aveva atteso l'arrivo della stradale, aveva dato indicazioni ai vigili del fuoco incaricati delle ricerche, poi era stato ascoltato dal magistrato di turno come persona informata sui fatti e infine era tornato a casa, sfinito.
Le ricerche sarebbero state vane: lo sbarramento a valle del ponte era stato aperto per evitare esondazioni in città per cui l'auto, con la persona che era alla guida, quasi certamente era stata trascinata fino al mare. Chissà se e quando sarebbe ricomparsa.
Tornato a Napoli, Salvatore Perrella, per gli amici Sasà, si era attaccato a una bottiglia da un litro di birra artigianale, che gli era costata quasi quanto un Montepulciano d. o. c., e si era steso sul letto.
Il cuore gli batteva forte. Aveva rischiato di finire dritto nel registro degli indagati, ma poi il magistrato si era reso conto da solo che su quell'asfalto liscio e bagnato, bastava toccare il freno per perdere il controllo, soprattutto con una vecchia Panda del '94.
Fuori infuriava il temporale e la birra che si era scolato non voleva saperne di fare effetto. Sasà chiuse gli occhi e tornò indietro nel tempo, a quando aveva conosciuto Clelia.
L'aveva incontrata una mattina assolata dei primi di novembre del 1985. Lui aveva iniziato a frequentare l'Istituto Tecnico per costruzioni aeronautiche, mentre lei, che a quei tempi studiava musica al Conservatorio, era in giro con la sua amica preferita.
Appena la vide qualcosa gli scoppiò dentro. Ci mise un po' di tempo, ma poi riuscì a trovare quel minimo di sangue freddo che gli consentì di fermarla, di conoscerla e, nei mesi successivi, di diventare suo amico. A meno che non piovesse, con Clelia passeggiavano quasi tutte le mattine per le vie del centro, prima di varcare i cancelli delle rispettive scuole.
Si rivedeva insieme a lei, vicino alle bancarelle dei libri, a port'Alba.
In quella clip c'era lui che faceva finta di sfogliarli e intanto sbirciava quelli che sceglieva lei, per capire quali fossero i suoi gusti e provava ad articolare qualche frase di senso compiuto, nonostante l'emozione di trovarsela vicino.
Mentre faceva girare quella scena nella sua testa come un loop infinito, si chiedeva cosa lei gli avrebbe risposto se mai lui avesse trovato il coraggio di chiederle di diventare la sua ragazza.
Il problema era che non aveva mai trovato il coraggio di confessarle di essersi innamorato di lei, per tutta una serie di motivi diversi. Quello vero, forse, era che non se ne sentiva degno. Lei era bella e ce n'erano di ragazzi, molto più fighi di lui, che le stavano dietro.
Da quando era partito militare poi, non l'aveva più vista e manco l'aveva cercata e così lei aveva finito per fidanzarsi con Mario, il figlio di un affermato professionista.
Quelli del nono scaglione erano tutti ragazzi napoletani e una sera nebbiosa di metà novembre, dopo un lungo viaggio in seconda classe, avevano riempito completamente la caserma del centro di addestramento reclute di Quinzania.
Tra loro c'era Adolfo Landi, di poco più grande degli altri. Aveva una laurea in ingegneria e la branda di fronte a quella di Sasà. Erano subito diventati amici, pur essendo di estrazioni sociali diverse.
Lui e Landi, dopo circa un mese di addestramento al Nord, erano stati mandati a Roma, grazie all'interessamento di un ufficiale amico della famiglia Landi. Insieme ne avevano passate tante e quello forse era stato il periodo più felice della loro vita, almeno per Sasà.
Finito il militare, con Landi erano rimasti amici, ed anzi era stato proprio lui a far assumere Sasà nello stabilimento di Napoli, della stessa azienda aeronautica dove lui lavorava, già da alcuni anni, come analista strutturale nella la sede centrale di Tolosa.
Nel frattempo, Sasà si era arrangiato, facendo mille mestieri. Si era pure sposato con Olga, una ragazza ucraina e da lei aveva avuto Michele.
Poi dopo parecchi anni, una mattina, per caso - ma forse nulla accade per caso - era capitato davanti a un manifesto.
Aveva già in tasca il biglietto aereo per Tolosa, dove doveva recarsi per frequentare un corso di formazione aziendale, quando era capitato di fronte alla locandina di un concerto per beneficenza che si sarebbe tenuto a San Martino.
Si leggeva: <Trio in la maggiore n. 18, di Franz Joseph Haydn. Al pianoforte, Clelia Rivello>.
Quel concerto gli aveva dato improvvisamente l'occasione di incontrare di nuovo il primo amore della sua vita solo che, per farlo, avrebbe dovuto far spostare di qualche giorno il suo corso di aggiornamento aziendale e l'unico che poteva aiutarlo a fare una cosa del genere era proprio Landi.
Sasà ottenne facilmente il favore dal suo amico e poté recarsi a quel concerto, sapendo benissimo di correre il rischio di innamorarsi di nuovo di Clelia.
Dopo il concerto, la aspettò nella piazza antistante il Castello e quando la vide finalmente uscire insieme ad uno dei musicisti che suonavano con lei, le andò incontro e la salutò con trasporto, baciandola sulla guancia. Quando rimasero soli, lei gli presentò la bambina dal corpo gracile che teneva per mano e che le somigliava come una goccia d'acqua. Martina era una specie di bonsai animato che ne imitava gli atteggiamenti, in tutto e per tutto.
Clelia gli raccontò del suo lavoro, che la impegnava molto e la costringeva spesso a girare per l'Europa, accompagnando tenori più o meno famosi. Ultimamente però aveva cominciato a viaggiare di meno, per stare vicina a sua madre e soprattutto a Martina, che appariva inspiegabilmente triste, depressa e irascibile.
Anche se Clelia non lo disse subito esplicitamente, Sasà intuì che lei attribuiva i problemi di Martina alla separazione tra lei e Mario.
Con lei, Sasà assaporò emozioni ancora più forti di quelle che provava quando stavano assieme da ragazzi ed era successo quel che non doveva succedere: si era di nuovo innamorato di lei, in maniera anche più forte. Sentiva che era lei la sua donna: non aveva mai avuto nella sua vita una sensazione più chiara di questa.
Così aveva iniziato a frequentarla, tentando di starle vicino il più possibile. Era partito per Tolosa, ma ogni fine settimana tornava, ovviamente per far visita alla sua famiglia, ma soprattutto per stare con Clelia. Cercava, come poteva, di farla felice e di risolvere i piccoli e grandi problemi della sua vita. Il più importante era che Martina non era più serena e felice come un tempo.
Sua moglie Olga, nel frattempo, aveva avuto una storia col suo datore di lavoro e si era separata da lui.
Sasà non aspettava altro, per poter finalmente diventare il compagno di Clelia.
Ma pur avendo più tempo da dedicarle, ben presto Sasà si era reso conto che Clelia non aveva dimenticato Mario, anzi era ancora innamorata di lui o forse si era convinta di dover ricostruire il suo legame con Mario per imboccare la strada che conduceva alla felicità di Martina.
Ma mentre loro due si erano rimessi insieme, Sasà aveva scoperto la causa vera dei problemi di Martina. La bambina, ogni giovedì, quando Clelia non poteva passare a prenderla personalmente, trascorreva alcune ore al doposcuola, dove lavorava un tipo sul conto del quale circolavano strane storie: pare che facesse un uso esagerato di materiale pornografico e che provasse a coinvolgerne anche i bambini.
Dopo che il tipo scomparve dalla circolazione, Martina a poco a poco si riprese, ricominciò a sorridere e, finalmente, ad essere felice.
Ma Clelia, la donna che lui amava e che avrebbe amato sempre e comunque, fino alla fine dei suoi giorni, era tornata insieme a Mario ed era tardi ed anche inutile andare a raccontare a lei o ad altri la verità su quel tipo.
Era notte fonda, quando Sasà si accorse finalmente del messaggio di Paola. Lei gli chiedeva come aveva trascorso la serata. Lui preferì inventarsi una scusa e non le raccontò la storia dell'incidente.
Paola era una ragazza di Padova che nel frattempo Sasà aveva conosciuto. Erano molto amici, ma Sasà lo aveva capito che lei si era innamorata di lui.
Con Clelia si sentiva spesso e tra una settimana, insieme a Paola, avrebbe dovuto raggiungerla a Londra. Lei avrebbe suonato nell'orchestra di una star della musica pop al Royal Albert Hall e aveva procurato i biglietti per tutti.
Questo pensiero, finalmente, gli diede serenità e riuscì ad addormentarsi. Al risveglio si accorse che la pioggia era scomparsa. Era uno splendido sabato mattina ed ebbe improvvisamente voglia di andare al mare. Paola accettò con entusiasmo il suo invito.
Il sole era ancora piuttosto alto sull'orizzonte, l'aria era tiepida e qualche timida folata di venticello autunnale faceva appena rabbrividire. Con loro, eccezionalmente, c'era Michele, che di solito trascorreva il sabato con sua madre. E c'era pure suo fratello con la moglie. Dopo il pranzo leggero consumato in un ristorante poco affollato in riva al mare, Clelia lo aveva chiamato per salutarlo e ricordargli l'appuntamento a Londra. Era a Praga per una breve vacanza, insieme a Mario e a Martina. Gli raccontò che Martina era felice, serena, ma nulla gli raccontò su come andavano le cose con Mario. Si limitò soltanto a chiedere se anche Paola sarebbe venuta insieme a lui.
Sasà dal canto suo nemmeno allora le raccontò la verità su quel tipo e neanche di quella notte appena trascorsa, in cui lui, senza nemmeno rendersi conto davvero di quello che avrebbe voluto fare, lo aveva seguito in macchina e poi, scaricando tutta la sua rabbia, aveva frenato all'improvviso.
Pensava che l'amava, ma lei ora era tornata con Mario e forse non gli avrebbe nemmeno creduto se le avesse raccontato di aver visto quell'auto volare via per sempre, portandosi in fondo al mare le troppe bassezze, scaricate così presto addosso a chi non era ancora in grado di portarne il peso.
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