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Una notte, di guardia
Ha deciso lei. Avrei giurato che sarei arrivata a mattina senza gli altri 3: la Sig. ra che non urinava ormai da dodici ore nonostante le amine e il diuretico in infusione e il ventilatore; la vecchietta di 90 anni che non si riusciva a ventilare visto che oramai era piegata a libro e, non c'era verso no, di farle tenere la testa su, quella testa da tartarughina di legno delle bancarelle; il signore di 70 anni che gliene avresti potuti dare tranquillamente 90, consumato com'era da tutto un elenco di malattie che ci avresti potuto sostenere, solo con lui, un esame intero di clinica medica, che ha cagato sangue tutta notte, un flusso continuo, che più gliene mettevi di sangue, attraverso le vene, più ne perdeva, attraverso il sedere. Eh si, perché noi dottori ed infermieri, sappiamo davvero cosa vuole dire "splatter", altro che, altro che film dell'orrore. Sono entrata nella stanza di quello di 70 anni, che l'infermiera lo stava pulendo, per vedere come stava la vecchietta di fianco, la tartarughina, ed ho pensato, che magari la maschera del ventilatore era meglio che gliela lasciavo ancora un po', che già sei vecchio, e non capisci, e non respiri, e ti è venuta quella buffa testolina da tartaruga delle bancarelle, ti hanno pressato una maschera in faccia che ti copre gli occhi, che già non ci vedi di tuo, ora proprio sei all'oscuro totale, con una figlia ebete al fianco, che non si sa se sia nata così, che te non ti sembrava di averla fatta tanto scema, ma soprattutto tanto senza cuore, che insiste perché tu continui a vivere, cioè a non vivere, che non è vita quella delle tartarughine delle bancarelle, lo si vede chiaramente, che oscillano la testa solo per effetto del vento.
E invece ha scelto lei, la Sig. ra dal velo nero, quella che trascina i piedi mentre cammina e porta la falce, quando non se la dimentica a casa, che è sbadata si sa, o forse stanca, la morte dei nostri giorni, che portarsi via qualcuno è diventata una faticaccia, in mezzo a tutti questi dottori, professori, infermieri, inservienti, in questi super reparti super attrezzati, con ventilatori di ultima generazione ed i monitor multiparametrici che suonano, i maledetti!: una piccola apnea, o una pausa innocente nel tracciato elettrocardiografico, e si mettono a suonare come dei pazzi, e tutti corrono, e portarsi via qualcuno, così, è diventato impossibile. Che non avrebbe grosse pretese, la morte, mica vorrebbe portarsi via i più giovani, quelli sani, quelli che si muovono, che lei è vecchia e fa fatica a correre ed a rincorrere, e passar da cattivo non fa piacere a nessuno, neanche a lei. Ma i vecchietti e le tartarughine almeno quelli li pretenderebbe, è da contratto, lo sanno tutti, si nasce, si vive, e si muore, si invecchia e si muore. E comunque, sulla morte, almeno, vorrebbe decidere lei, sia chiaro, è il suo territorio, tu dottorino vestito di verde che sembri una zucchina, cosa pretendi? hai una laurea, ok, una specializzazione, ok, pure un dottorato che non guasta, ok, ma decidere tu, su chi vive o chi muore, non ti sembra troppo?.
Così, quella notte, credo per darmi una lezione, dicevo, ha deciso lei. In effetti, alle 6:30 di mattina, la Sig. ra delle amine e del diuretico in infusione aveva prodotto un onesto, e pacato, 150 cc di urina, la vecchietta piegata a libro e con la testa da tartarughina stava continuando a respirare, occhi chiusi, protetta dal ventilatore tenuto più come maschera anti-gas che come presidio di supporto vitale, perché quello di 70 anni, a fianco, imperterrito, l'impertinente, aveva continuato a cagare sangue tutta notte, senza morire il poveretto, che voleva scrivere si vede un ultimo capitolo ben fatto del trattato di clinica medica di cui era protagonista, avrebbe avuto un nome importante del tipo... "lo shock emorragico nelle emorragie gastrointestinali", suonava bene, si, sarebbe stato un bel finale.
Alle 6:40, nel bel mezzo di un sonno quasi profondo ed un po' di bavetta sul cuscino del letto della stanza del medico di guardia, mi chiama l'infermiera, il quarto, quello che nessuno si aspettava, sembra non stare tanto bene. Beh, un eufemismo di certo. "Chi cavolo è questo??" Dico tra lo stupito e l'arrabbiato, e mi sento anche un po' scema, che uno si potrà mica arrabbiare perché un paziente, uno a caso, appunto, che nemmeno conosci, viene trovato nel letto in arresto respiratorio. Come sempre non ho i guanti, cazzo!, la sicurezza dell'operatore prima di tutto, iperestendo la testa dello sconosciuto, e mi faccio passare la Guedel, e non mi ricordo, se quando gli tiro fuori la lingua e poi gli infilo la cannula fin su, verso la fine del palato molle, ho i guanti addosso, credo di si, spero di si. Poi mi passano l'Ambu, la C con le mani sulla maschera mi viene sempre male, mi scuso dicendo che ho le mani piccole, ma magari è che proprio non sono capace. Con il "va e vieni" va un po' meglio, ma quel dannato pallone non si gonfia quando lo dico io, e poi questi letti sono impossibili, troppo grandi, non c'è spazio, sono il leader, devo stare dietro alla testa del malato, devo poter vedere se espande il torace, devo poter avere il controllo. E quando chiamo il MALS ("medical advanced life support"), cioè i rianimatori, quelli veri, i fighi della situazione, i super eroi dei fumetti nel mio piccolo immaginario di anestesista-rianimatore mancato, sono completamente allo sbando, e sono ridicola perché quando arrivano mi sto facendo leggere la cartella clinica ad alta voce dall'infermiera, perché io questo qui, questo quarto paziente, che ho sotto le mani, sotto i guanti, e la mascherina del "va e vieni", mica lo conosco, e certo no, non me l'aspettavo. Un dito in un occhio, "oh, scusi non volevo... ", ma no, niente scuse, lo mette, il dito nell'occhio, il rianimatore allo sconosciuto paziente per vedere se c'è il riflesso corneale, e poi, una stretta di capezzolo, così forte che quasi mi scappa un grido. Ma lui, niente, non si arrabbia per la duplice scortesia, non grida, non si muove, solo, intra-ruota, è decerebrato. A, B, C... funzionano, vie aeree pervie, respira, ogni tanto, il monitor batte un onesto 60 battiti per minuto, deve essere saltato qualcosa in D, il cervello. Non saluto nemmeno il rianimatore, non lo vedo andar via dopo che ha scritto la sua consulenza in cartella: "do not rianimate", e pensare che credevo fosse un super eroe, peccato, volevo fargli almeno gli auguri di buon anno. E quando chiamo la figlia a casa, un pianto infinito, quasi infantile, insopportabile, che lacrime così te le aspetti dai bimbi piccoli non da quelli di cinquant'anni, ma quello sconosciuto era suo padre e lei una figlia e certo, non si può dir nulla. E si arrabbia quasi e mi dice " e me lo dice così??" e giù a piangere di nuovo. E cosa avrei potuto dire di meglio?: "mi dispiace signora suo padre si è aggravato, l'abbiamo trovato incosciente, praticamente già in coma, probabilmente una recidiva della sua emorragia cerebrale, sa quella che aveva avuto in cardiologia, non ha sofferto, ora è come se dormisse". Cosa ho detto di male? Sono un dottore, tocca a me dare le cattive notizie, questa mi sembrava pure di averla data benino, precisa, efficace, quasi delicata. Avrei potuto dire molto di peggio. Avrei potuto raccontarle della signora delle amine gonfia come una patata lessa che trasuda acqua anche dalle gambe e del suo pacato 100 cc di diuresi che le garantirà qualche altro giorno di intensità di cure e di sofferenza, o delle vecchina tartarughina e della sua figlia ebete che le continua a sistemare la maschera sul viso così che lei non vede più nulla, ma almeno può continuare a respirare, a respirare i miasmi di quello del letto di fianco che ha deciso di scrivere l'ultimo capitolo del trattato di clinica medica liquefacendosi in un sudario di cacca e sangue.
Poi è arrivata, la figlia dello sconosciuto e decerebrato paziente, il capello rosso tinto, una pelliccia posticcia, un mare di lacrime e tremori sub-convulsivi, che ho dovuto lanciare un grido all'infermiere in mezzo al corridoio che mi venisse a dare una mano, e sarebbe stato un bel tonfo se mi cascava per terra quella, che mica era magra. Per consolarla, le ho stretto la mano e le ho allungato un po' d'acqua con dentro un po' di valium, che i discorsi su Dio, e quelle cose li, si sa, a me vengono male, meglio il valium, si, meglio.
E poi sono arrivate le otto, ho dato le consegne ai miei colleghi, gli ho raccontato dei ricoveri, della Sig. ra delle amine, della tartarughina, e del signore di 70 anni che stava finendo l'ultimo capitolo del suo trattato.
E me ne sono andata, stanca, un po' triste, ed anche stizzita, e mi sono girata, sentendo l'aria che si spostava mentre la porta taglia-fuoco del reparto di medicina d'urgenza si stava chiudendo alle mie spalle, e poco oltre la soglia, un attimo prima che la porta si chiudesse, ho intravisto una signora vestita di nero, che mi sorrideva, beffarda.
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