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Il sacrificio di Luca
Natale. La signora Annamaria La Porta con la figlia Simona tornavano a casa, dopo la messa solenne delle dieci, fendendo a fatica la folla dei passanti e dei fedeli che continuamente si raggrumava intorno a nuclei casuali di amici e parenti che, riconoscendosi, si scambiavano saluti, auguri e apprezzamenti, accompagnati da sorrisi alquanto ipocriti.
Annamaria aveva fretta e perciò si fermava solo quando passava talmente vicina ai suoi conoscenti da non poter fare a meno di fermarsi a salutare. Diversamente, tirava dritto: aveva un pranzo da preparare. Oltre che per il marito e per Simona, avrebbe dovuto cucinare anche per il figlio maggiore che frequentava l'università in città e per la sua fidanzata, che finalmente avrebbe conosciuto di persona.
Dopo aver messo la pasta sul fuoco ed aver aggiustato sulla teglia le orate da cuocere in forno, si era concessa una breve pausa, dando un'occhiata al giornale che suo marito Felice aveva lasciato sul divano, prima di infilarsi sotto la doccia. Purtroppo anche oggi le solite brutte notizie, ma in più c'era un bell'articolo di fondo che forse valeva la pena di leggere con attenzione: si ripromise di farlo con calma, nel pomeriggio. Continuò a sfogliare le pagine. Nella cronaca locale la notizia di un decesso in carcere attirò la sua attenzione. Un giovane detenuto era morto, per malattia a quanto sembrava.
Felice uscì dalla doccia:
- Com'e andata stanotte? - chiese Annamaria.
- Al solito. Abbiamo aspettato la mezzanotte per gli auguri, insieme al cappellano e ai detenuti. E poi abbiamo brindato e mangiato i dolci preparati da alcuni di loro.
- E Com'erano? buoni?
- E chi lo sa! Figurati che non sono nemmeno riuscito ad assaggiarli. Ma lo sai quanti siamo la dentro?
- Lo so che siete troppi, me lo ripeti sempre.
- Non si ha idea di quello che è diventato. Siamo troppi e non c'è posto per tutti. In fondo, lì dentro non ci sarebbe proprio nessun motivo per festeggiare.
- E per il capodanno come sei messo?
- Male. Chi fa Natale a casa, a capodanno sta in servizio, non si scappa.
Annamaria tornò a guardare la pagina del giornale aperto davanti a lei. Avrebbe voluto chiedergli del giovane deceduto, ma poi si rese conto che non era opportuno tormentarlo con notizie tristi. In fondo, era uno dei pochi giorni di festa che trascorrevano tutti insieme.
- ok, io esco - annunciò Felice - Vuoi che prenda un po' di pesce?
- No, già fatto, non c'è bisogno: sto preparando le orate. Al limite prendi qualche dolce. E torna per l'una, mi raccomando.
Felice uscì pensando che Annamaria non era più bella come una volta e che lui, per questo, aveva diritto di andarsene un po' in giro a rifarsi gli occhi. Mentre si avviava per le scale stava pensando che quel giorno le donne erano tutte agghindate e tirate a festa, e lui era da tanto che non se ne andava un po' in giro, in santa pace. Decise perciò di andare a trovare la nuova ragazza che avevano assunto alla tabaccheria: un tipo non proprio fine, ma della quale si diceva che ci stava.
Circa dodici mesi prima, nell'ufficio della questura della stessa città dove Felice lavorava, il commissario Lepre stava spiegando al papà di Luca Lippiello di non poter fare a meno di arrestare suo figlio.
- Signor Lippiello, mi spiace, ma il referto medico parla chiaro. Suo figlio ha causato lesioni e ferite con prognosi di un mese.
- Signor Commissario, dovete considerare che Luca è incensurato. Insomma, è la prima volta che fa una sciocchezza del genere.
- Eh no, signor Lippiello, questo non è esatto - riprese l'anziano Commissario aprendo la cartellina poggiata davanti a lui e inforcando gli occhiali da vista - ci risulta che suo figlio, tre mesi fa, era già stato trovato in possesso di un grammo di ecstasy. Un quantitativo superiore al limite e per il quale è stata pagata la cauzione amministrativa. A rigore, avremmo già dovuto far scattare l'arresto. Ma ora la cosa è diversa, adesso ha aggredito sua moglie...
- Si, ma lui è l'unico figlio che abbiamo, signor Commissario. È nato quando ormai io e mia moglie non speravamo più di avere figli, e così ...
- E così ... voi l'avete viziato.
- Ma no signor commissario, noi vogliamo solo aiutarlo. Adesso lo metteremo in un centro di recupero.
- Mi spiace signor Lippiello, adesso non possiamo sorvolare. C'è il referto dell'ospedale, per cui ora deciderà il magistrato se convalidare o meno l'arresto. Io però vorrei dirvi di avere fiducia nello Stato, una volta tanto. In fondo, le istituzioni servono anche a questo. Quanti ragazzi ho visto uscire dal carcere non dico recuperati, ma almeno cambiati e magari capaci di fare un lavoro, un mestiere onesto.
Il signor Lippiello era rimasto piuttosto scettico e affatto convinto dai discorsi del commissario, ma in ogni caso i due si erano salutati e si erano scambiati gli auguri di buon Natale. In fondo quel funzionario di polizia aveva la faccia tranquilla del buon padre di famiglia e le sue parole avevano reso meno doloroso quel Natale tristissimo, che tuttavia il signor Lippiello non avrebbe mai pensato potesse addirittura diventare il preludio di un Natale ancora peggiore.
Quell'anno in chiesa, prima del Vangelo, era stato letto un brano che rimandava alla storia del sacrificio di Isacco. In fondo, anche Abramo aveva avuto un figlio in tarda età - aveva pensato Lippiello - che aveva dovuto offrire a Dio in segno di fede e di fiducia. E anche lui ora stava per consegnare suo figlio allo Stato, nel quale voleva riporre fiducia, sperando che un giorno Luca gli fosse riconsegnato, al pari di Isacco salvato da Dio che, rinunciando a prendersi quella vita, aveva ripagato la sua fede.
Invece, le cose non andarono esattamente così. Luca era diventato triste e non si era mai adattato alla vita del carcere. Ma soprattutto si era ammalato al fegato e pareva che nessuno, lì dentro, se ne rendesse veramente conto. Allora, Lippiello e sua moglie avevano subito dato mandato al loro legale affinché avanzasse istanza di scarcerazione. Ma la macchina elefantiaca della giustizia aveva di fatto spento le loro speranze di poterlo avere con loro prima del nuovo Natale.
Quando poi, in occasione dell'ultima visita, avevano notato sulle braccia del ragazzo degli strani lividi, lo avevano pregato di raccontare tutto e di denunciare chi lo aveva ridotto in quello stato. Ma niente, Luca non avrebbe parlato se non dopo Natale. "Dopo Natale, diceva, racconterò tutto".
Ma proprio quel giorno arrivò a casa Lippiello un telegramma urgente seguito dalla telefonata del direttore del carcere. Luca era morto, dopo essere stato trasportato in infermeria - dicevano - con la pelle e gli occhi ingialliti, in uno stato di debilitazione estrema. Insomma, attribuivano la causa della morte ad un'epatite cronica, improvvisamente degenerata.
I coniugi Lippiello, da quel giorno in poi, non avrebbero più trascorso un solo Natale felice.
La signora La Porta invece era alquanto soddisfatta per come si stavano mettendo le cose a casa sua, salvo il fatto che quando il marito, in netto ritardo, era rientrato recando una confezione di dolci natalizi acquistati in pasticceria, si era lamentata con lui. Felice non aveva sopportato il rimbrotto, aveva risposto male e ne era nata una piccola discussione, poi ricomposta, in nome di quella serenità che era d'obbligo indossare in quel giorno di festa e che, proprio perché dovuta, risultava forse ancora più difficile da raggiungere e da mantenere.
Quando la moglie lo aveva rimproverato, Felice stava pensando alla ragazza della tabaccheria, che gli era sembrata molto disponibile alle sue avances. Si era convinto che, per rompere gli indugi di lei, avrebbe dovuto farle un bel regalino. Provava pure invidia per la bella ragazza che suo figlio si era trovata e pensava che sarebbe toccato a lui pagare il regalo che il ragazzo avrebbe dovuto certamente farle per il Natale. Senza contare poi che scadeva la seconda rata dell'università.
Dopo il pranzo, i familiari avevano iniziato un giro di carte in cucina, mentre lui si era messo in salotto da solo col giornale. Aveva notato solo adesso la notizia del decesso in carcere e si era messo ad aspettare una telefonata che, come aveva previsto, arrivò puntuale.
- Pronto? - Felice sollevò il cellulare, appoggiato sul tavolino accanto alla poltrona.
Nessuna risposta. Al che Felice si alzò, ripose il giornale, indossò la giacca e annunciò che stava per fare un giro a piedi, tanto per digerire meglio il pranzo.
Le strade erano quasi deserte, quando Felice imboccò lo stradone che conduceva al cimitero, mentre il sole alle sue spalle allungava sull'asfalto un'ombra grigiastra, come il suo stato d'animo.
Un auto lo affiancò e uno sportello si aprì. Felice salì, senza salutare. I due proseguirono fino all'area di sosta adiacente al muro bianco del camposanto. Scesero dall'auto, sbattendo le portiere. Felice aprì un pacchetto bianco col tappo rosso e ne sfilò una sigaretta, che offrì all'altro uomo. Iniziarono a fumare. Poi l'uomo, guardandolo negli occhi con un sorriso di sufficienza interruppe il silenzio
- Allora, hai letto il giornale?
- Si Ma', ho letto, cazzo! Per ora la storia del fegato regge. Speriamo bene. - Tirò un'ampia boccata e poi riprese - ma adesso secondo te faranno l'autopsia?
- Può darsi, ma in ogni caso, stai tranquillo. Possiamo sempre vedere chi è il medico legale e far intervenire chi sai tu. Ok?
- Ok. In questo cazzo di paese pare che uno possa morire ovunque, tranne che in carcere. Allora sto sereno, ci pensi tu eventualmente?
- Tranquillo. Anzi guarda, ora parlo col cancelliere e ci mandiamo l'amico fritz a fare la perizia.
I due si scambiarono un rapido cenno d'intesa. Ora Felice pareva più sereno e sembrava aver acquistato quel tanto di sicurezza che gli consentì di cambiare argomento.
- E per quella cosa del supermercato, hai pensato?
- Si, ci mandiamo il turco. Esce domani, per decorrenza dei termini. Una volta che ha ritirato il regalo di babbo natale, vi vedete al solito posto.
Felice annuì col capo, poi spense la sigaretta, consumata a metà, schiacciandola con cura sotto la suola in cuoio della sua scarpa nera a punta. Fece per allontanarsi, ma poi tornò indietro e allungò una mano verso l'altro uomo:
- Ah, a proposito, Buon Natale!
- Buon Natale, buon Natale e stai calmo, mi raccomando.
Era rientrato a casa a piedi, facendo un giro largo attraverso il parco, camminando senza fretta e fumando ancora, prima di rientrare in casa.
Era passato in cucina dove i familiari giocavano a carte e poi si era sprofondato in poltrona, fingendo di guardare la Tv. Contava mentalmente i soldi che gli avrebbe consegnato il padrone del supermercato, in cambio della promessa di tranquillità e pensava che, tolti quelli per il turco e la parte per Massimo, forse gli restava di che comprare un bel regalo costoso alla ragazza della tabaccheria.
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