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Il bracciale indiano
Galatea non lo desiderava, ma senza che potesse evitarlo, il suo sguardo si diresse verso un piccolo animaletto di pezza che si trovava appoggiato su uno scaffale della sua libreria e per lei fu come tornare a sbirciare tra le pagine di un vecchio diario.
Si trattava di un minuscolo cagnolino di peluce bianco, che tra le zampine, chiazzate di marrone, stringeva un cuoricino rosso, sul quale c’era scritto “Ti voglio bene, sorellina”.
Quel simpatico pupazzetto, glielo aveva regalato Artemisia, nel giorno del suo decimo, compleanno.
Galatea la ricordava ancora, mentre le correva incontro tutta contenta per consegnarle quel dono prezioso, vestita nel suo vezzoso abitino verde, su cui spiccavano, come in un prato fiorito, delle candide margherite primaverili.
Sua sorella, allora, possedeva dei lunghi capelli neri e lisci, che la loro madre amava spesso acconciarle in un alta coda di cavallo, fermandola sulla nuca con un grosso fiocco di raso bianco.
I suoi occhi, neri e fondenti come il cioccolato, possedevano una tale dolcezza che rendeva impossibile guardarla senza rimanerne colpite.
“Tieni, questo è il mio regalino per te”, le aveva detto porgendole timidamente, il morbido involucro di carta da regalo, un po' stropicciato, con le manine cicciottelle e ancora sporche di panna e crema chantilly, a causa della torta di compleanno con cui aveva pasticciato fino a poco prima.
Galatea si era piegata sulle ginocchia, chinandosi verso di lei, trovandosi con il viso lentigginoso davanti a quello di sua sorella, infiammato dall’emozione per quel meraviglioso istante di dolcezza, e le aveva schioccato un bacio sulla gota paffuta, abbracciandola forte a se.
Essendo figlia unica, Artemisia, era stata per Galatea una gioiosa elargizione del destino, che aveva cancellato dalla sua esistenza il vuoto dell’ inquieta solitudine sofferta sino al momento della sua nascita.
Quando la madre gliela aveva mostrata per la prima volta, lei era rimasta a bocca aperta per la sorpresa di vedere una bambina così piccina e delicata. Galatea ricordava che Artemisia era stata ancora più minuscola delle sue bambole. Un piccolo confettino vestito in una tutina rosa e una cuffietta gialla, dal faccino rugoso e imbronciato, che richiedeva delle attenzioni tutte per se.
Galatea ricordava che quella stessa notte non era risucita a chiudere occhio ed abbandonarsi tranquillamente al sonno sotto le coperte del suo lettino. Aveva vegliato su di essa fino alle prime luci dell'alba, con il timore che se si fosse malauguaratamente addormentata, al suo risveglio, non l’ avrebbe più ritrovata nella sua culla.
Da quel giorno erano, invece, trascorsi ventiquattro meravigliosi anni e Artemisia, era ancora lì, a dividere la propria esistenza assieme a lei, tra le inevitabili gioie e delusioni a cui le aveva poste di fronte il destino.
Galatea, voltò la testa dalla parte opposta e distolse lo sguardo dal cagnolino di pezza, avvicinandosi alla finestra della camera da letto.
La spiaggia di Portoferraio, in quella sera di fine settembre era per lo più deserta. Solo un uomo, vestito con una giacca a vento azzurra e un paio di blue jeans, vi passeggiava assieme al suo cane, un piccolo e vivace cucciolo di terranova che si divertiva ad afferrare e portare indietro dei rametti di legno, lanciati in acqua dal padrone.
Galatea osservò le impronte di quell’uomo disegnarsi sulla sabbia mentre si allontanava dalla sua visuale, tentando di ritrovare, accanto ad esse, le proprie e quelle di Artemisia, ma il mare le aveva già cancellate e portate via con se.
Sin da quando erano bambine entrambe avevano amato passeggiare sulla spiaggia di Portoferraio.
Galatea conservava sul ripiano della sua scrivania una foto, che le ritraeva ancora fanciulle, mentre con i vestitini umidi di sabbia, sedute sulla riva del mare, giocavano con secchiello e paletta, sfidandosi a chi costruiva il castello più alto e bello.
Se le fosse stato possibile, avrebbe desiderato catturare l’innocenza infantile che scaturiva da quella foto, per trasmigrarla nel presente, ritrovando in essa la vera anima di Artemisia
Con il passare del tempo, in sua sorella si era insinuato un prepotente sentimento di gelosia che l’aveva spinta spesso e volentieri a mettersi in competizione con essa.
Artemisia non sopportava l’idea che sua sorella fosse stata considerata migliore, o avesse ottenuto qualcosa in più di lei.
Galtea, seppur spiazzata dal comportamento assurdo di sua sorella, essendo la più grande e la più responsabile delle due, non aveva mai provato nessun tipo di risentimento o rabbia nei suoi confronti. Possedeva un carattere generoso e molto comprensivo, che l’aveva sempre portata a giustificare ogni suo gesto, ma perdonarle il torto, che aveva subito da parte sua, solo qualche mese prima, le era costata una gran forza d’animo.
Artemisia aveva superato ogni limite, ferendo profondamente i suoi sentimenti, portandole via l’unica persona che avesse mai amato con tutta la sua anima e con tutto il suo cuore.
Oramai era consapevole di aver perduto per sempre Eliseo, ma nonostante ciò non era ancora riuscita a liberarsi di un piccolo braccialetto indiano, simboleggiante l’amore, che lui le aveva donato, nel giorno stesso in cui le aveva confessato di amarla.
Chinò lo sguardo su di esso, socchiudendo leggermente gli occhi, tornando nuovamente a leggere la pagina di diario più recente di quello in cui aveva sbriciato poco prima, una pagina redatta con l’inchiostro trasparente delle sue lacrime, versate su un foglio strappato e stroppicciato che, ormai faceva parte del passato e senza rendersene conto si lasciò rapire nel gorgo incontrastabile della sua memoria...
*****
Sin da quando era bambina, Galatea, aveva sempre amato veleggiare a bordo della piccola imbarcazione a vela che apparteneva a suo padre. Era felice quando lui usciva per mare e la portava con se, mostrandole tutte le tecniche necessarie per poter condurre una barca. All'età di diciotto anni, Galtea, era divenuta una skipper cosi abile da riuscire a potare, da sola, lo stesso cutter a vela di suo padre, a bordo del quale adorava veleggiare attraverso il Mar Mediterraneo, toccando le coste delle tante isolette vicine, come Capraia, Pianosa o Giannutri, ma l’Isola del Giglio, era tra tutte, la sua preferita, perchè quel luogo magico e spettacolare aveva fatto da scenario alla sua breve storia d’amore.
L’incontro con Eliseo era avvenuto in una domenica di maggio, profumata già d’estate, sulla spiaggia di Campese, illuminata dai tenui raggi solari, di una alba che aveva vinto da poco la sua battaglia contro il buio della notte.
Galatea e Artemsia erano rimaste entrambe incantate dalla sua particolare persona, non appena lo avevano notato giungere al galoppo in sella ad uno splendido cavallo bianco.
Eliseo, notandole, aveva strattonato di colpo le redini del suo cavallo, costringendo il purosangue a fermarsi a poca distanza da loro.
Galatea non aveva potuto fare a meno di sentirsi immediatamente attratta da lui, realizzando che quella era la prima volta in cui le capitava di incontrare un uomo che possedeva dei tratti somatici particolari come i suoi.
Eliseo aveva il colorito della pelle simile a quello di un Indiano Pellerossa, ed anche i lineamenti del suo viso celavano lo spirito di un antico guerriero. Solo i suoi profondi occhi azzurri e i capelli castani, acconciati in una lunga treccia, tradivano una natura sulle sue origini, diversa da quella che appariva a prima vista.
Eliseo era stato il frutto di una relazione tra una donna Sioux e un uomo, originario dell’ Isola del Giglio, il quale, in passato, realizzava dei documentari naturalistici per un importante emittente televisiva italiana.
Era stato proprio durante l’effettuazione di un filmato sulle tribù indiane che aveva conosciuto la madre di Eliseo, innamorandosene alla follia, tanto da sposarla, unendosi a lei in matrimonio tramite un antico rito indiano stabilendosi a vivere nella sua terra, anche se durante i trent’anni trascorsi nel Minnesota, aveva sempre espresso il desiderio di fare ritorno nella sua terra d’origine.
Era stato proprio Eliseo a spingerlo a compiere quel viaggio, regalandogli un biglietto aereo per raggiungere l’isola. Il padre era stato così entusiasto di quel dono inaspettato, da chiedergli di seguirlo e lui aveva accettato immediatamente il suo invito, curioso, in cuor suo, di visitare i luoghi dove aveva vissuto in gioventù il proprio genitore.
“A quanto vedo non sono l’unica persona che adora ammirare i colori dell’alba”, aveva detto Eliseo, parlando un italiano perfetto, scendendo da cavallo, avvicinandosi ad Artemisia e Galatea.
“In Minnesota, ne ho viste molte di albe, ma nessuna bella come questa”, affermò porgendo la mano nella loro direzione. “Io mi chiamo Eliseo”, si presentò, mentre Artemisia e Galatea gliela stringevano.
“Siete di quest’isola?”. Gli chiese curioso, accarezzando delicatamente il cavallo.
“No... noi viviamo sull’Isola d’Elba”, gli rispose, Galatea tossicchiando imbarazzata.
“Deve essere un luogo molto bello. Ero seriamente intenzionato a visitarlo uno di questi giorni”.
“Se lo desideri, potremmo darti un passaggio con la nostra barca a vela...”, Gli propose Artemisia, avanzando di qualche passo nella sua direzione, cercando di distogliere lo sguardo e l’attenzione di Eliseo dalla sorella.
Galatea le rivolse un occhiata contrariata, dandole un colpetto dietro alla schiena, per evitare che aggiungesse altro, apparendole troppo affrettato l’invito che Artemisia stava proponnedo a quell’uomo sconosciuto.
“Intanto, se vuoi, possiamo trascorrere questa giornata assieme, cosi potremmo conoscerci meglio”, aveva continuato imperterita Artemisia.
Eliseo era arrossito, imbarazzato, per via di quella proposta inaspettata. “Ecco... io non saprei.. Vi ringrazio per l’ invito, ma non vorrei approffitarmi troppo della vostra gentilezza”.
“La tua compagnia non può che farci piacere. Non è vero Galatea?”, replicò lei, voltandosi verso la sorella rivolgendole uno sguardo che non accettava obiezioni.
“A proposito, io sono Artemisia e lei è Galatea”, disse, facendo le presentazioni di entrambe, avvicinandosi al cavallo di Eliseo, lisciandogli con una mano, il manto candido.
“ È proprio un bel puledro”, lo lodò sorridendo nella sua direzione. “Che ne dici? Mi porteresti in sella con te per farmi fare un escurzione dell’isola?”, gli propose poi, facendosi ancor più audace di prima.
“Certo. Non avrei nulla in contrario a realizzare questo tuo desiderio, ma mi dispiacerebbe lasciare da sola Galatea...”.
“Non proccupatevi per me”, lo interruppe lei arrossendo in volto emozionata dal tono della sua voce. “Andate pure. Io ne approffitterò per terminare il mio disegno”, obbietò incerta, tirando fuori dal suo zaino dei fogli bianchi e una matita.
Eliseo annuì ed aiutò Artemisia a salire sul cavallo, dopodichè montò in sella anche lui, ma prima che avesse potuto incitare l’animale al galoppo, i suoi splendidi occhi azzurri si erano uniti a quelli verdi e espressivi di Galatea ed era bastato quel breve ma intenso istante, in cui le loro anime si erano sfiorate senza volerlo, per far fremere entrambi di passione.
Da quel momento era iniziata la loro difficile storia d’amore, una storia che non aveva avuto solo due protagonisti, come era giusto che fosse, bensì tre.
“Sai, credo proprio di aver perso la testa per Eliseo”. Confessò Artemisia a Galatea, una sera, nella loro camera da letto, prima di andare a dormire.
“È un uomo molto bello e sensibile... e poi il suo particolare fascino indiano, mi fa impazzire”.
Galatea era rimasta ad ascoltarla in silenzio, con il cuore stretto in una morsa, cercando di non rivelare alla sorella che anche lei avvertiva verso di esso un sentimento altrettanto passionale e travolgente. Sapeva di non poter essere ingannata dallo sguardo innamorato di Eliseo e dalla tenera e amora stretta della sua mano.
Eliseo l’amava, ne era certa. Ed infatti, trovò il coraggio di riverarle i suoi veri sentimenti in una sera di luglio, mentre passeggiava con lei sulla spiaggia deserta di Campese.
Eliseo la colse sorpresa rubandole, quando meno se lo aspettava, un bacio languido e appassionato sulla bocca.
“Come ho fatto a non capirlo prima”, le sussurò, stringendola dolcemente contro il suo torace forte e rassicurante.
“La donna che amo e che ho sempre amato sei tu e non Artemisia”, le confidò, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni due braccialetti indiani.
“Volevo dare questo a tua sorella, ma ora desidero che lo tenga tu”. Le legò un braccialetto al polso, allacciando l’altro al suo. “Qualunque cosa accadrà, Galatea, voglio che tu sappia che ti amerò per sempre, anche quando sarò lontano da qui, e questi due piccoli bracciali stanno a significare ciò. Attraverso di essi e come se legassi assieme i nostri cuori, così sarò certo di non smarrirti mai e di ritrovarti ogni volta che vorrò”.
Galatea, udendo le sue parole, si era sentita sollevare verso il cielo, sperando con tutta l’anima che quella splendida sensazione di leggerezza, non si sarebbe dissolta alle prime luci dell’alba con lo spuntare dei primi raggi del sole... ed invece, il destino, nei suoi confronti era stato crudele ed aveva fatto in modo che si fosse resa conto quanto prima, di come la sua felicità poteva essere fragile ed effimera.
Galatea, quella stessa sera, aveva fatto ritorno nella sua camera prima della mezzanotte, trovando Artemisia ancora sveglia, raggomitolata nel suo letto, con il volto nascosto dalle lenzuola.
Galatea le si era accostata teneramente, comprendendo che sua sorella stava piangendo disperata.
“Cosa è successo, Artemisia?”. Le aveva sussurato, accarezzando i suoi capelli, cercando di consolare le sue lacrime.
“Niente. Voglio solo essere lasciata in pace!”, aveva replicato lei, nervosa. Galatea non si era lasciata scoraggiare dal suo malumore, e insistendo dolcemente con essa era risucita a convincerla a riverarle il suo turbamento.
“Sono incinta. Aspetto un figlio da Eliseo. È questo il motivo del mio turbamento”, aveva confessato, alla fine Artemisia, continuando a singhiozzare freneticamente senza riuscire a smettere.
Udendo quelle sue parole, Galatea aveva avuto la sensazione che il sangue nelle vene le divenisse di ghiaccio, ma aveva continuato lo stesso a stingere a se Artemisia, avvertendo l’esile schiena di sua sorella, tremare sotto la sottile camicia da notte.
“Io non amo Eliseo”, le aveva svelato lei guardandola colpevolmente negli occhi. “Ho fatto l’amore con lui, solo perchè mi ero resa conto che provava un sentimento più intenso nei tuoi confronti più tosto che nei miei e... ne ero gelosa. Volevo esserci solo io al centro della sua attenzione...”. Galatea, udendo la sua confessione, era rimasta in silenzio, senza le forze per replicare, impietrita da quelle parole che non si sarebbe mai aspettata di udire uscire dalla sua bocca.
“ Per via di questa mia maledetta gelosia la mia vita non sarà più la stessa di prima e forse nemmeno la tua. Potrai mai perdonarmi per quello che ti ho fatto?”. Le aveva chiesto, cercando di trovare pace ai suoi rimorsi.
Galatea, aveva percepito il proprio cuore sbriciolarsi in tanti pezzi, calpestato dal tacco di una sorte ingiusta, che in un solo attimo le aveva fatto perdere l’amore di Eliseo e parte della fiducia che aveva riposto in sua sorella. Ma nonostante ciò trovò lo stesso il coraggio di restarele vicino e di continuare ad offrirle il proprio conforto. “Su, ora smettila di piangere”, le aveva sussurato, sollevandole il mento con due dita, guardandola, comprensiva, negli occhi scuri e profondi.
“Vedrai che Eliseo sarà felice di sapere che sta per diventare papà ed in quanto a me... ti ho già perdonato. Sei mia sorella e non potrei mai odiarti”, le aveva confidato, abbracciandola stretta a se, consapevole che non avrebbe lasciato alla gelosia il modo di intrappolare e strangolare tra le sue velenose spire anche il proprio cuore ferito.
****
“Galatea, hai visto il mio maglione rosa? Ho dimenticato di metterlo in valigia”. Artemisia spalancò la porta della camera, distogliendo Galatea dai propri ricordi, riportandola alla realtà del presente.
“Il mio aereo parte tra meno di due ore ed io sono cosi agitata...”, sospirò avanzando lentamente verso di lei.
“Ti confesso che l’idea di stabilirmi in Minnesota assieme ad Eliseo mi spaventa non poco”, disse dando le spalle a Galatea, emettendo un profondo respiro di sconforto.
“Dimmi che sto facendo la cosa giusta, che non sto commettendo un errore”. Sussurò, tutto ad un tratto, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
“Dimmi che un giorno riuscirò ad amare Eliseo, cosi come amo già il bambino che porto in grembo”. Artemisia si avvicinò ancora di più a Galatea e si lasciò andare con la fronte calda, sulla sua spalla dando sfogo a tutti i suoi turbamenti.
Galatea non replicò. Non aveva risposte ai quesiti che lei le stava ponendo. Tutto ciò che potè fare fù accogliere i timori della sorella tra le pieghe delle tante sue incertezze.
“Sei sicura che non vuoi raggiungere Eliseo all’aereoporto per salutarlo”, le chiese Artemisia, tra un singhiozzo e l’altro.
“No. Penso che sia meglio cosi”. Affermò sfilandosi dal polso il braccialetto indiano.
“Dagli questo da parte mia. Lui capirà”. Artemisia lo prese tra le sue mani senza porle nessuna domanda.
“Promettimi che mi scriverai e che quando nascerà il bambino, mi spedirai tutte le sue foto”, disse Galatea commuovendosi.
“Questo vale anche per te, sorellina. Non voglio perderti”, replicò lei mentre Galatea la stringeva a se per un ultima volta, accompagnadola verso la porta.
“Adesso è meglio che tu vada, altrimenti rischierai di pedere l’aerio”.
“Arrivederci, sorellina”, la salutò per un ultima volta Artemisia, indossando la maschera di un falso sorriso, per nasconderle la realtà della propria tristezza.
Galatea, non aggiunse altro e richiuse la porta alle sue spalle, mentre lei si allontanava dalla stanza.
Si portò al petto il polso dove fino a poco prima aveva indossato il braccialetto di Eliseo, avvertendo il cuore reclamare per quella libertà indesiderata, geloso delle catene da cui Artemsia lo aveva liberto portandosi via l'unico vero amore di tutta la sua vita.
Si affacciò di nuovo alla finestra, restando a guardare il mare in tempesta. La sua barca a vela, si trovava giù nel porto e attendeva solamente che lei levasse via l’ancora e issasse le vele. Presto sarebbe partita per un lungo viaggio, portando con se il ricordo dell’amore di Eliseo. Un amore che avrebbe lasciato naufragare tra le onde del mare, trasformato in una missiva, chiudendola, poi, in una bottiglia di vetro, senza sapere che un giorno una donna l’ avrebbe trovata, raccontando così, la sua storia a chi si sarebbe soffermato a leggere questo racconto...
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- mi è piaciuto! brava!
- bella, molto esotica...
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