Il genocidio che sembra "maggiormente assomigliare alla 'soluzione finale' fu il tentativo turco di deportare gli armeni nel deserto siriano e di ucciderne il maggior numero possibile" (G. Mosse, Storia del razzismo in Europa, Laterza). Come la Shoah, fu "un'operazione realizzata durante l'emergenza della guerra" con la chiara intenzione di "liberare una volta per sempre la Turchia da una minoranza irrequieta", paritetica alla volontà hitleriana di annientare la minoranza ebraica del Reich. Una chiara analogia tra i due genocidi è la deportazione: quello ebraico in vagoni bestiame o in camion a gas, quello armeno a marcia forzata.
Entrambi i massacri furono coordinati ed eseguiti da una commissione centrale pianificatrice, ma se in quello perpetrato dai nazisti l'elemento razziale fu centrale e predominante, questo mancò nel genocidio armeno: si è visto, difatti, come "la conversione all'Islam era un mezzo per sopravvivere". Inoltre, nel genocidio degli ebrei la burocrazia, la tecnica e la modernità furono utilizzate con la massima efficienza, ma altrettanto non si può dire per il massacro armeno.
Un'ultima, agghiacciante analogia è data dagli esperimenti di medicina empirica condotti su "cavie umane": se "gli ebrei dei ghetti e dei campi erano diventati l'oggetto del fanatico interesse di Himmler" per testare quanto un uomo potesse resistere senza acqua e cibo, quanto freddo potesse sopportare un corpo umano, per provare l'effetto di droghe sulla coagulazione del sangue ed anche per sperimentare nuove tecniche di sterilizzazione coatta, così il governo turco autorizzò "Hamid Suat (padre della batteriologia turca) a condurre esperimenti sugli armeni per vedere la reazione del corpo umano contagiato da un virus, quale, ad esempio, il tifo" (T. Koguc, op. cit.).