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Anna
Sono ore che fisso il foglio.
Mi sono ripromessa che avrei scritto qualcosa, per fare un punto della situazione. Ma non ce la faccio, è inutile. Il foglio è così bianco, così vuoto. Dopotutto cosa dovrei scriverci? Lo accartoccio con violenza, e scaravento il foglio contro il cestino. Ovviamente non lo centro. Perché io mi chiamo Anna e, infatti, non centro mai niente.
Penso che potrebbe essere un buon inizio, ma nella mia testa qualcosa da dire c'è sempre, ma mettendolo su carta si veste di falso. Soffro di una sindrome rara: la sindrome della bugiarda. Ogni volta che parlo e racconto, le mie parole si trasformano, si arricchiscono di dettagli, si distorcono i messaggi e puntualmente finisco sempre per scrivere storie che non sono mai la mia storia. Sono una bravissima dispensatrice di consigli, e potrei raccontare per ore di me stessa, senza dire nulla di vero. Tutto quello che sono lo lascio dentro la mia testa. E anche lá, dentro quella piccola scatola cranica c'è un putiferio. Ore ed ore a litigare tra me e me, su ciò che voglio, su ciò che sono, su cosa mi blocca o mi condiziona.
E a mio sfavore, ho un ottimo controllo del mio corpo, quindi solitamente riesco a fregare pure gli osservatori più acuti, quelli che di me, credono di sapere tutto.
Nessuno è mai riuscito a capire niente di me, quindi ho pensato bastasse sforzarsi di essere più comprensibile. Ho preso in mano i miei due minuti di sincerità, e ho sgretolato la mia vita in dieci minuti.
Ma partiamo dall'inizio...
Sono stata una bambina precoce. Il primo mestruo era precoce, il seno era precoce, l'acne era precoce. Il momento classico in cui non sei nè carne nè pesce, e brami senza sosta di essere qualcosa. Risparmio a me stessa i risvolti tragici della storia, sono finita dentro la macchina di un trent'enne molto convincente, che mi diede pochi momenti di gloria e una cicatrice nel cuore che vivrà in me per sempre. Avevo 12 anni, e ho bruciate le tappe come un incendio che divampa in piena estate.
Non ho mai avuto problemi con gli uomini. Sapevo ammaliarli, ed il peggio è che riuscivo a fargli fare esattamente quello che volevo io. Non erano in grado di consolarmi, di riempire il vuoto che avevo dentro, di capirmi o conoscermi, però erano in grado di innamorarsi perdutamente di me.
Non ho mai abusato di questo dono, anzi ho cercato di utilizzarlo a favore dell'umanità. Quindi cercavo di donare un po' di felicità ai ragazzi più tristi e soli, per dimostrare loro che la vita è bella e piena di imprevisti. Ho sempre cercato di renderli felici allo stato puro, mi rivelavo la fidanzata migliore del mondo. Ovviamente finché non mi rendevo conto che la cosa stava diventando troppo pesante. A quel punto la storia finiva, e iniziavano i lunghi supplizi di questi poveri ragazzi, che piangevano e minacciavano suicidi.
Io non ho mai creduto nell'amore. Ho sempre pensato che fosse solo un fattore mentale, e che io decidevo di chi innamorarmi, veniva tutto dalla mia testa.
La mia vita è stata un susseguirsi di castelli di sabbia che ho tirato su nei cuori di tanti ragazzi. Ma la verità è che io, non sono mai riuscita a provare nulla per loro. Non che non mi rendesse felice la farsa. Ho sempre pensato che l'unico modo per essere felici, è donare la felicità agli altri.
E in questo modo conobbi Giovanni. Lui è stato la cosa più vicina all'amore che abbia mai provato. Abbiamo trascorso insieme otto anni bellissimi, tra alti e bassi. Eravamo amici, compagni. Lui era un ragazzo un po' nerd, non aveva mai avuto una ragazza e la sua passione erano i computer e i fumetti. A queste passioni, mi aggiunsi io. Insieme facevamo tutto. Eravamo inseparabili, e condividevamo tantissimi interessi. Ci siamo costruiti una nostra piccola vita, e iniziammo a convivere. Lui accettava le mie stranezze, i miei sbalzi d'umore, le mie tristezze. Mi stava vicino, anche se non riusciva a capirmi. Facevamo l'amore ogni giorno. Ma l'unico amore che provavo era di vederlo felice. Non provavo piacere, ma Giovanni si meritava quei momenti di gloria.
Tutti i giorni recitavo il copione. La mattina lui iniziava con l'accarezzarmi la schiena, mi portava la colazione a letto, mi faceva i complimenti per quanto fossi bella, persino con i capelli incasinati. Ogni mattina iniziava con una carezza, che finiva puntualmente con lui sopra di me. Per il resto della giornata ognuno aveva i suoi impegni, lui a lavoro e io studiavo e pulivo la casa. Il pomeriggio, insieme, andavamo al maneggio, poi a mangiare una pizza, sempre nello stesso ristorante, nello stesso tavolo, seduti sulle stesse sedie. Lui ordinava ogni volta la stessa pizza, e chiedeva sempre allo stesso cameriere di farla per me a forma di cuore, come sempre.
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2 recensioni:
Elena il 08/02/2014 17:53
Mi scuso ancora una volta per gli errori di battitura! Non so se è possibile modificare il testo comunque grazie a tutti, è solo una prima parte, continuerà
Elena il 08/02/2014 17:52
Mi scuso ancora una volta per gli errori di batti
- ...
- come scrivi bene! leggerti e' un piacere. complimenti!
- Le donne sono un dono di Dio, ma qualche volta sono impossibili.
Scrivi bene e sai riferire.
Tempo ben speso nel leggere i tuoi scritti.
Ciao.
Oissela
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