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Il giorno dei miei 60 anni (dal mio Diario)
Il verde cancello cigola sotto la pressione della mano del giovane padrone e già il primo spettacolo stupendo si offre ai miei occhi e al mio cuore: là si può ammirare l’Etna con il suo bianco cappuccio di neve candida.
Entrando e continuando a camminare sul sentiero di lato alla piccola rustica casetta si respira il profumo acre dei limoni che sembrano già dirmi: "Prendici, prendici! Ti abbiamo aspettato”
Ma io continuo a camminare fino al rustico, diroccato pozzo e raggiungo il mio angolo preferito, dove con lo sguardo posso abbracciare il mondo tutto e con il cuore posso lodare Lui, il Creatore di tanto splendore, nella splendida campagna di S. Giovanni Montebello, situata fra Giarre e S. Venerina.
Mi trovo così già immersa nella teologia della bellezza perché ho urgente bisogno di festeggiare (in modo insolito, ma a me "congeniale" ) i miei 60 anni di vita, oggi in questa serena mattinata del Novembre del 2000!
Sono tranquilla, divino silenzio mi circonda e i miei fratelli di oggi, scesi da poco dalla nostra macchina, sanno rispettare questa mia esigenza interiore perché comprendono che solo Dio può spegnere l’arsura metafisica che da sempre impronta tutto il mio essere.
Godo della solitudine più piena insieme alla compagnia a me più cara: quella dei fratelli di oggi!
Che bellezza! Che grazia!
Mi siedo ora sulla scalinata dove il grande, immenso albero con i suoi quattro tronchi allarga l’intrico di rami e di foglie per regalare l’ombra amica.
Questo per me è un momento di grazia e come tale lo vivo, trascrivendo impressioni, speranze e propositi, in rapide pennellate visive.
È già meravigliosa la sensazione di pace che vivo dentro di me, perché, anche se il mio corpo mostra già qualche segno del tempo, la mia mente limpida mi ricorda che “la crescita dell’uomo è data dalla conquista della giovinezza, anzi dal ritorno all’infanzia” (A. Pronzato).
Certo io poi sono bravissima nel fare il viaggio all’indietro verso l’infanzia e una frase del Vangelo si fa strada verso di me: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli!”
E improvvisamente, in questa limpida giornata autunnale, sento dei passettini lievi e vedo correre a perdifiato una graziosa bimbetta che indossa sì un bel vestitino azzurro con sopra una maglietta anche azzurra, ma una delle due treccine è quasi sciolta e il nastrino che la tratteneva pende dal suo visino colorito dalla corsa; senza riflettere la chiamo d’istinto, perché ho la stupenda sensazione di averla già conosciuta in un ieri lontanissimo: “Rosarita, Rosarituccia non correre così forte, puoi cadere e farti male!” ma neanche mi vede, neanche mi sente perché continua libera e felice a… correre nel grande frutteto della campagna… napoletana di una nostra amica di famiglia, la cara zia Francesca.
E con la memoria giovane del mio cuore rivedo i lunghi filari di alberi dalle larghe accartocciate foglie che offrono i frutti più saporiti della mia infanzia, i pomo-cachi alla vaniglia che hanno la consistenza delle mele ma il sapore dei cachi.
La vecchia contadina Francesca, ricca di anni e di fatiche, mi chiama con voce strascicata: ”Signurì, signurì lu vuliti u pomu cachi?” e poi, senza aspettare la mia risposta positiva, toglie fuori dal lungo grembiulone una specie di lama e comincia a “sbucciare” delicatamente i pomo-cachi dividendolo in pezzi.
Io mi alzo sulla punta dei piedini e porgo “avida” le mie manine e, sfiorando le sue, rugose e callose, provo un piacere speciale e unico nell’assaporare il dolcissimo e profumatissimo pomo-cachi alla vaniglia. E apposta lascio gocciolare dalla boccuccia qualche goccia appiccicosa del succo pastoso e profumato del frutto.
Ma “la zia” svelta, con le nocche del grembiulone, si affretta ad asciugarmi, nel timore che io possa “sporcare” il mio grazioso vestitino azzurro.
E ancora oggi quanta dolcezza mi giunge dalla dolcezza di allora!
“La dolcezza di allora” supera i limiti dello spazio e del tempo, perché sulla foglia caduta da poco ai miei piedi, una coccinella mi osserva curiosa e un grosso uccello, bianco e nero, a volo radente, mi lascia il suo saluto.
Ora la penna non riesce a fermare sul foglio tanta bellezza e perplessa mi chiedo: “Perché tanti uomini negano l’esistenza di Dio?”.
Ecco rifletto, questi momenti che sto vivendo sono “riflessioni” da potere regalare ai più poveri dei poveri: i “poveri di… Dio!”
Quindi a tutti coloro che non hanno il verde bastone della speranza a cui appoggiarsi nel faticoso cammino della vita!
E, per la prima volta, nasce in me una strana motivazione interiore, quella di “rendere eterni” questi momenti!
Ah! Se fossi una pittrice farei tanti, tanti particolari di questo paesaggio unico nello splendore della sua varietà!
Dinanzi a me appaiono, come in un quadro, i tetti rossi delle case che, degradando verso il mare, via via si rimpiccioliscono e formano come un merletto rossiccio.
Laggiù, laggiù si delinea il tremolar della marina e, meraviglia, si può anche intravedere la costa calabra, la terra della mia gioventù, della mia vita di… studentessa!
Alla mia sinistra si può ammirare la visione di Taormina e un po’ più in là quella di Castelmola e poi, verso destra, si può abbracciare con lo sguardo, l’azzurra, palpitante insenatura circolare del mio mare d’Agnone dove ho goduto dell’amicizia e dell’ospitalità di Gilda, Giovanni e Maria.
Dal lato sinistro, nei degradanti terrazzamenti del terreno, occhieggia il vigneto che, privo di uva, offre solo il colore rosso-giallo-bruno delle sue foglie autunnali e un po’ più in là si vedono splendere di luce propria gli ulivi argentati.
Il vento ora si fa sentire, mi alzo, cammino un poco e guardo quel bagliore particolare lì in mezzo agli ulivi, mi sembra di vedere qualcosa: “È mia sorella viene con me, la lunga strada che porta a te”
Mi incanto, questa è la fresca voce della bella Alba, brillante di giovinezza e di fede e ad essa risponde la voce intonata di Alfredo giovanissimo che è seduto davanti al trattore!
Ma come traballa questo trattore pieno di tanti miei fratelli qui fra gli uliveti argentati.
Dal fondo del trattore la voce calda di padre Fabrizio intona: “È mio fratello viene con me, la lunga strada che porta a Te!”“Che porta a Te” cantiamo tutti.
La bionda Piera sorride divertita guardando me che oso cantare pur essendo stonata.
Rosita, dagli occhi limpidi, seduta accanto a me mi stringe la mano e il mio cuore canta, canta con la sua bella profonda voce e la lode sale verso il cielo azzurro e…vicino.
Uno scossone forte mi allontana dai miei pensieri, siamo arrivati e ad uno ad uno saltiamo giù dal trattore per andare a raccogliere le pere nei lunghi filari.
Ma dove sono ora?
Ci stiamo preparando tutti a fare una cordata lì sulla collina di… Lentini nel nostro primo, indimenticabile campo di lavoro del Luglio 1970, nella campagna sicula.
Tutti camminiamo in fila indiana, su su per uno stretto sentiero di campagna, tutti siamo forniti di scarponcini, indossiamo pantaloni e siamo protetti da cappelli di paglia.
Padre Fabrizio sostiene, con vigorosa stretta, la lunga e robusta fune e vicino a lui una giovane, snella, dinamica ragazza ha già allungato l’affusolata mano per afferrare, con slancio perfetto, un pezzo della lunga fune.
Eccola indossa attillati pantaloni blu, una fiorata camicetta ed un cappello di paglia dalla larga falda, la osservo attenta: il suo viso risplende di bellezza, di luce, perché ha spalmato sul viso una crema speciale: quella della GIOIA!
La gioia della giovinezza e quella, ben più profonda, di appartenere ad una comunità, di esserne parte viva!
Ma sì, la riconosco: è Rosarita, la Rosarita di allora.
E la cordata continua, continua e così tutti insieme saliamo e la calura del sole si fa sentire.
Finalmente siamo arrivati tenendoci per mano formiamo un cerchio e recitiamo il salmo: “Monti e mari e colline tutte benedite il Signore” “Noi siamo il popolo che Egli conduce, il gregge del suo pascolo”
Il mio cuore si inebria di luce, di fede, di certezza di fede, perché Dio, il Signore della mia vita, si rende visibile a me nel volto dei miei fratelli. Miracolo sempre rinnovabile nel mio vivere quotidiano.
Questa certezza di fede e di speranza è ancora il perché della mia vita anche se non ho avuto mai le estasi di Santa Teresa, la folgorazione di Paolo, l’illuminazione di Agostino, tuttavia ho gustato dei momenti di luce profonda che voglio comunicare agli sfiduciati e indifferenti uomini d’oggi.
La mia esperienza di fede e d’amore non può rimanere racchiusa dentro di me e mi spinge ad aprire un fraterno dialogo con tutti coloro che sono ancora alla ricerca della risposta da dare alla loro vita.
Io, una donna del 2000, ho trovato nel prato della vita una mia risposta illuminata dalla bianca luce della fede.
Ecco mi sono innamorata del mio Signore, del mio Dio che mi ha sempre cercata, sia nelle strade del mondo, si in quelle della chiesa, in un crescendo di libertà e d’amore.
Così sotto i miei stessi occhi sta prendendo vita questo libro che costituisce il documento della mia storia d’amore fra me creatura e LUI mio creatore.
Proprio perché è una storia così speciale per l’abissale differenza esistenziale fra i due partner è degna di uscire dal privato per irrompere nella sfera religiosa-spirituale e sociale.
Giro lo sguardo nel mio cielo siculo e penso al libro di Andrè Frossard “Dio esiste, io l’ho incontrato” e la frase mi entra dentro e poi si espande fuori di me.
Ora guardo le farfalle gialle che si posano sulle violacciocche e ora sulla larga foglia merlettata due coccinelle si rincorrono, lassù l’Etna immensa ride di bianca bellezza, il sole inonda di luce la campagna e tutte le creature animate e inanimate innalzano con me il loro grazie a Dio.
Ora sento un lieve scalpiccio intorno a me e una voce nota mi chiama, mi giro e incrocio l’azzurro sguardo del giovane padrone che è venuto a cercarmi.
Sorrido estatica e insieme ripetiamo piano: “Dio esiste, noi l’abbiamo incontrato” e il nostro messaggio si propaga fino al mare vicino che sembra trascolorare di gioia sotto il cielo di Dio.
Mongibello - S. Giovanni di Dio 11/11/2000
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