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LA FONTANELLA
LA FONTANELLA
La salita era ripida. Maledettamente ripida. Al termine di essa si arrivava sempre con un nodo in gola, sia che si faceva a piedi, sia in macchina. Sembrava un'espiazione ai nostri peccati. Il cancello semi aperto era lì, davanti a noi. Il mondo dei morti ci attendeva nel nostro viaggio quotidiano. Accanto, a circa quattro passi, c'era la fontanella. L'unica fonte di vita di quel luogo.
La cappella stretta era il nostro luogo di preghiera e di lacrime. Un bacio alla foto, ricordi che si rincorrono in una giostra di emozione e di rimpianti. Troppo giovane per morire in un giorno di Maggio, troppo poco è il tempo che è passato dall'ultimo bacio.
Conto solo nove anni della mia vita, ed ancora non ho capito cos'è la morte. Forse è un viaggio, dove si sa quando si parte, ma non si sa quando si torna. Forse è un sogno, dove non ci si sveglia mai. Forse domani tornerai. Forse. Forse mai.
Fuori dalla stretta cappella, c'era un balconcino che dava sula campagna sottostante.
Eravamo nel punto più alto del paese. In fondo si vedeva il lago, il Trasimeno. Le case mi sembravano finte talmente erano piccole ai miei occhi. Cercavo la casa dei nonni. Eccola e lì, un puntino bianco nell'immenso verde della campagna umbra.
E da lì immaginavo la vita di tutti i giorni dentro la casa. Il nonno al lavoro tra i campi, la nonna in cucina a preparare il pranzo, mia cugina nella sua camera a giocare con le bambole, mio fratello con il vecchio motore del nonno, i cani che si rincorrono, mentre il più piccolo dei miei fratelli era qui con noi che teneva la mano di mia madre. Aveva solo tre anni.
I fiori, colorati, profumati, simbolo di amore. Eterno amore. Bisognava cambiare l'acqua nelle brocche portafiori.
È lì, alla fontanella, mentre scorreva l'acqua, osservavo mia madre nei suoi movimenti. Tutto l'amore possibile racchiuso in semplici gesti. Con cura sciacquava dapprima le brocche, e poi tagliava gli steli ai fiori. Schizzi d'acqua bagnavano tutto attorno. L'espressione di chi non si rassegna alla realtà.
Sembrava incantata a guardare quel filo d'acqua che scendeva, irregolare, dalla fontanella. Ma nella sua mente scorreva tutta la sua vita fino a quel giorno di Maggio. Troppo giovane per rimanere sola. Troppe le lacrime versate, pochi gli anni felici.
Per me era l'unico innocente divertimento quando si andava al cimitero. Così gli riempivo d'acqua il resto delle brocche delle tombe degli altri parenti presenti nella cappella. Schizzi d'acqua impazziti mi bagnavano le scarpe, mio padre da lassù, dove dicevano che era andato, mi avrebbe guardato, ma questa volta avrebbe riso nel vedermi. La fontanella. E sullo sfondo i colori della campagna, spruzzate di giallo di girasoli tra sfumature di verde, un gioco cromatico che si specchiava a valle sul lago, pescatori all'impiedi sule barche. Come un quadro di Monet.
Il canto dei passeri, distese di ulivi, tortuosi sentieri di campagna, dove mi perdevo con la bici negli assolati pomeriggi d'estate, tra pini e maestose querce all'ombra delle quali mi fermavo a riprendere fiato, e poi file interminabili di abeti, castagni, e con gli immancabili cipressi tutto intorno.
Il silenzio l'unico vero padrone. La fontanella, l'unica fonte di vita, di movimento, di allegria, in un luogo di assenza, di morte.
Gelida scorreva anche se a primavera. Ma era acqua che serviva non solo per i fiori dei defunti.
Era la vita che scorreva ancora tra i giorni senza di lui.
Autore: Mauro Monteverdi
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