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Il lumino 4
Quando si svegliò il collo gli doleva e nel massaggiarselo si rese conto di avere anche una mano fradicia di saliva: Sansone, il meticcio bianco aveva appena smesso di leccargliela per accucciarsi rassegnato a terra col muso proprio sopra una sua pantofola.
Doveva alzarsi.
Una nebbia luminosa gli annunciava che il sole era già alto.
Non chiudeva più le persiane da quando il male lo aveva assalito, e poi il cane doveva uscire.
Si alzò a fatica e con altrettanta fatica constatò che non c'erano luci di fiammella intorno. Il cero dunque si era spento e, dalla sensazione di freddo percepita toccando il vetro, dedusse da parecchio tempo.
<< Visto Sansone? Si è stancato anche Lui... vieni andiamo fuori... solo tu non ti stanchi mai. >>
Il cane cominciò a guaire impaziente mentre Polifemo, l'altro meticcio nero da fuori gli rispondeva grattando la porta.
<< Piano, non mi fate cadere, quanta fretta avete uno di uscire e l'altro di entrare. Quanto è vero che sto per diventare cieco nessuno è contento della propria condizione in questo mondo!>>
Appena fuori, come i suoi cani si ritrovò ad annusare un'aria dolce e di quella mitezza si riempì i polmoni spiegandoli come vecchie vele di nuovo al vento.
Sentiva che non faceva freddo come la sera prima e da quel profumo di campi fioriti stillava l'essenza di un giorno speciale nel calendario della sua vita assurda in una casa isolata, in compagnia di due amici fedeli.
Sansone e Polifemo incominciarono ad abbaiare ancora prima che egli udisse il rombo del motore.
Dopo pochi secondi suo figlio Marco era davanti al cancello con la auto.
Il loro fu un lungo abbraccio silenzioso seguito da pacche affettuose e circondato da guaiti scodinzolanti.
Il perché della visita glielo disse davanti ad una tazza di caffè: la prima bevuta insieme dopo tanto tempo.
Veramente c'era più di un motivo, ma il suo figliolo preferì andare per gradi ed iniziare con quello che gli stava più a cuore, gli avrebbe detto in seguito anche di suo fratello che aveva deciso finalmente di sposarsi per via di un bambino in arrivo e della mamma che da qualche tempo lo pensava con una certa apprensione tanto da voler rivedere la sentenza del giudice. Gli voleva dire anche di un nuovo farmaco di cui aveva sentito parlare, ma prima avrebbe approfondito bene la sua conoscenza a riguardo per non creare false illusioni a quel genitore già tanto provato.
<< Ho pensato a lungo papà e ho deciso una cosa, sempre se tu sei d'accordo... ma che buono questo caffè e questa cucina... non la ricordavo così bella col grosso caminetto costruito proprio dal nonno... ci sono ancora le nostre bici appese nel granaio?...>>
<< C'è tutto, c'è tutto... >> " I figli pensano sempre al loro torna-conto"come un serpentello si insinuò nella sua mente questo pensiero ma che egli scacciò subito perché non voleva essere la facile preda di uno scontato pessimismo, in quel momento voleva solo ascoltare il suo Marco.
<< Allora hai pensato?>>
<< Di venire a vivere con te, sì avrei pensato di vivere qui, se a te va bene ovviamente e questo non perché penso che tu abbia bisogno di qualcuno che si occupi di te, vedo che te la cavi benissimo, ma perché sento che qui starei bene... allora papà?... non devi mica decidere subito... intanto metto la valigia nella stanza vicino all'ingresso... C'è posto vero... voglio dire: è sempre libera?...>>
<<Veramente c'è un ospite da un po' di tempo, un tipo silenzioso ma tosto, poi te lo presento... Ti piacerà non potrà essere diversamente... ma tu che fai? Sei sempre alle prese con quella società immobiliare... per favore tira le tende, c'è troppa luce dietro le tue spalle e non ti posso guardare... allora dimmi... prendiamoci pure un altro caffè, vuoi? >>
<<La società l'ho mandata al diavolo... Certi giochetti non mi andavano giù, faccio consulenza immobiliare in proprio, guadagno meno, il giusto per mantenermi ma la notte dormo... Ho ripreso l'università: soprattutto di questo volevo parlarti... L'ultimo esame l'ho sostenuto col nuovo docente, si chiama Rossi, finita la prova mi ha detto di conoscerti e mi ha pregato di salutarti e di dirti che non fu lui a devastare la segreteria e l'aula dei compiuters ma gli amici balordi che tu non volevi frequentasse... Ma chi era per te?... Lo fecero ubriacare per prendergli la chiave che tu gli desti da custodire. Si era vantato troppo di quella fiducia senza limiti e loro lo punirono. Che storia è papa? Non ce ne avevi mai parlato?>>
La moka intanto borbottava e sprigionava aroma tra nuvolette di vapore. Marco riempì di nuovo le tazzine.
<<Un giorno te la racconterò... È una storia lunga... Ti ha detto altro? >>
<< Che non fosti tu in errore nel dargli la fiducia ma lui a non custodirla gelosamente e fu per questo che tacque sugli altri balordi, perché si sentiva colpevole come se avesse fatto lui il furto in segreteria e tutto il resto e... che ...>> si fermò temendo di dare un dispiacere al proprio genitore.
<< Vai avanti sono una gioia per me queste parole,... vai avanti.>>
<< Che tu per salvarlo ti sei dichiarato il solo responsabile dell'accaduto. È vero papà? È per questo che sei stato trasferito? >>
Non riusciva a rispondere.
Come faceva a dire che vide in quel trasferimento la sua giusta punizione se a malapena riusciva a deglutire e poi, come se non bastasse, i suoi occhi stupidi stavano anche riempiendosi di lacrime perché aveva capito di essere riuscito nella promessa fatta al suo amico anni fa: Enrico non era stato il suo fallimento.
Marco avvertì la forte emozione che stava provando suo padre perciò smise di fare domande e avvicinandosi a lui come a volerlo abbraccoare: << Sorvolo sul fatto di chiederti cosa avesse voluto dire con la frase "dì a tuo padre che non si deve sentire più debitore nei confronti del mio ", per dirti che quella tua specie di protetto alla fine della fiera sai che voto mi ha dato?>>
Si asciugò gli occhi e schiarendosi la voce buttò giù un << Trenta?>>
<< Esattamente quello che mi aspettavo dopo tutta quella storia commovente! >>
<<Invece?>> chiese quasi divertito.
<<Ventisei, motivato dal fatto che pur avendo io col mio impegno meritato un ventotto ha preferito tenersi più basso per stimolare la mia caparbietà anche se in cuor suo, per il bene che ti vuole e vorrà sempre, avrebbe voluto regalarmi un trenta e lode. " Ma questo a tuo padre, per quello che mi ha insegnato, non farebbe piacere" ha aggiunto terminando... però un po' str.. zo... è stato, concludo io, non trovi?>>
<< Ma va che sei stato bravo... però anche Enrico mica male! Un giorno me lo porti qua, non tanto in là però ... Vieni portiamo la valigia nella stanza... c'è da preparare il letto... ma non ora a quello c'è tempo. Prima ti voglio dire di un amico che è lì... l'ho portato da Medjugorje...>> cominciò a raccontare e mentre il figlio sistemava le sue cose aprendo porte sigillate e chiudendo attese, lui si chiedeva, cullato dalle sue stesse parole, chi mai fosse stato quel Rossi la sera prima in chiesa. Di certo non il figlio di Giannetto, a pensarci bene aveva risposto in maniera troppo vaga alle sue dure osservazioni, e pure i suoi modi erano stati troppo giovanili, quasi da adolescente.
A voler restare coi piedi per terra, si convinceva che era incappato solo in uno stupefacente caso di omonimia.
Cominciò a pensare allora con gratitudine a quel viso familiare che, sorridendo, gli tolse il carico pesante del mistero trasformandolo in libera fede, e proprio in esso, nella sua generosità colse, non solo il breve racconto di un'epoca popolata da giochi, ma il principio di un viaggio tra canneti e file di alberi intorno ad una casa lontana dove ancora avvertiva, con tutte le sue ali aperte, la presenza proiettata di sé stesso.
" Ma infine" pensava accarezzandosi i radi capelli sopra la profonda cicatrice quasi come a coprirla, "che importanza ha sapere chi è colui che Dio manda per salvarci? L'importante è lasciarGlielo fare."
Concludeva riappacificato col mondo intero.
FINE
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2 recensioni:
- Grazie Rocco e Arturo, siete davvero gentili.
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