Ero seduto sul lettino da campo in un trullo della collina di Noci. "Per piacere, chiamatemi il sergente Aldo Moro", dissi a un gruppo di altri sergenti che sullo spiano erano in attesa di partire per il campo di tiro. Aldo Moro si presentò sulla soglia del trullo alto e ritto col suo solito sorriso sulle labbra. Invitai l'ospite a prendere con me una tazza di caffè che io stesso avevo preparato. Mentre eravamo seduti, iniziai a parlare di politica che era l'argomento da me preferito. Ad un certo punto, dissi a Moro con molta circospezione: "Il fascismo sta crollando per deficienza di basi morali". Poi continuai: "Non si può costruire uno Stato su basi autoritarie come quello che ci governano". Moro annuiva con un cenno del capo mostrando chiaramente di essere d'accordo con me. Quando quelle parole mi uscirono dalla bocca mi resi conto che esse, prima o poi, sarebbero arrivate al comando del campo. Non era la prima volta che esternavo questo mia "pericolosa" posizione politica. Ormai le mie idee antifasciste si erano diffuse tra gli allievi del campo senza che me ne fossi reso conto. Dopo pochi giorni la tromba suonò: era segnato all'ordine del giorno l'adunata della compagnia degli ufficiali del reparto che era alloggiata sotto un tendone. Tutti gli ufficiali erano convocati a mani libere, soltanto io dovevo presentarmi con il bagaglio al piede. Il comandante, indicandomi col dito disse: "Questo elemento sta rovinando il battaglione!"; e, rivolto a me: "Vai via! Noi non abbiamo bisogno di elementi come te!". Del tutto agitato, lanciò delle invettive e, mentre io uscivo dal tendone, avvistai Aldo Moro che veniva verso di me. Anche se in quel momento era consapevole di correre un rischio, mi strinse la mano come per esprimermi la sua solidarietà. Temevo che la cosa sarebbe andata avanti e che sarei stato incriminato per sabotaggio. Allora presi il mio bagaglio e me ne uscii per raggiungere in pullman Monopoli dove si trovava la base del 225° fanteria. Qui mi ricevette il maggiore comandante il quale mi apostrofò dicendomi: "Hai visto che cosa hai combinato? Tu o sarai un genio o uno spostato!" Poi continuò dicendomi: "Hai da scontare sette giorni di rigore!". In uno dei giorni successivi, mentre ero in attesa di novità, sentii una voce che gridava verso di me dicendo: " Signor tenente c'è posta per lei!" e mi porse una busta riservata. Quando io la aprii, lessi che mi era stata concessa la medaglia al valor militare in conseguenza di un'azione compiuta in Albania in zona d'operazione e, quindi, veniva automaticamente abolita la punizione che mi era stata comminata. Esaltato da questa bella notizia, uscii nella grande piazza di Monopoli gustando le note della canzone "Ti sogno" e la voce di Silvana Foresi, diffuse da un altoparlante installato su un balcone della piazza.