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Eliot
Eliot
“Mi passi il sale, per favore”, chiese Eliot con la dovuta educazione.
Dalla terrazza, sul davanti, si godeva la vista più orrenda di tutta Clatskanie, in Oregon. Dietro, v’era invece un vecchio cortile. Era maggio ed Eliot passava la maggior parte delle sue giornate in quel cortile a sbucciarsi le ginocchia cadendo dalla bicicletta regalatagli da suo padre per il dodicesimo compleanno.
Il padre restò in silenzio e non si mosse. Continuò a trangugiare quel pezzo di carne dura e sottile.
Erika a quel punto prese la saliera che stava davanti il bicchiere di suo marito e senza farsi troppo notare la passò a suo figlio Eliot. Si cenava in silenzio, in modo da poter sentire il rumore metallico delle forchette che graffiano il piatto. Non appena Jack finì di mangiare, Erika, benché avesse ancora il piatto pieno, si alzò. Si avviò in cucinino per prendere la frutta. erano avanzate solo due mele rosse. Jack tuffò la mano callosa e grassoccia nel vassoio e scelse la più rossa, poi con violenza cominciò a morderne pezzi. Erika si sedette al tavolo e riprese a mangiare. Ingoiato l’ultimo pezzo di carne Eliot domandò a sua madre: “ Posso andare al bagno?”. Acconsentì con un semplice cenno di testa. Una volta che si sentì il rumore della porta del bagno, Jack s’alzò e si avvicinò alla moglie che terminava ciò che aveva nel piatto.
“Voglio scopare”. Disse con alito puzzolente di vino.
Erika rimase in silenzio facendo finta di non aver sentito nulla. La fece alzare dalla sedia con la forza e cominciò a toccarla tutta.
Eliot finito di fare pipi tirò l’acqua e cominciò a lavarsi le mani. Richiamato dalle urla di sua madre con le mani gocciolanti corse per tutto il corridoio, si buttò su suo padre e lo prese a calci nel culo con tutta la forza che un ragazzino potesse avere. Per tutta risposta il padre si girò verso di lui, e gli piazzò un pugno sul naso. Rovinò a terra e non si rialzò.
“Ti prego… non adesso”. Urlò Erika. “C’è il bambino, per favore”.
“ Zitta troia!”.
“ No! No! Ti prego, smettila, smettila”. Cercando di districarsi tra le braccia che la cingevano.
“ Ho detto zitta… Troia”. Ribadì il concetto. Alzò la mano sopra la faccia della moglie e scaricò la rabbia contro la sua guancia. Le tirò giù i pantaloni e le mutande con foga, poi la girò con la pancia rivolta sul tavolo da pranzo, la prese per i polpacci per tenerla ferma e la violentò, come fosse un giocattolo.
Eliot sanguinante a terra concentrò il suo sguardo su un posacenere indiano sul televisore. Portò le mani alle orecchie e premette fortissimo. Nessun suono penetrava attraverso le mani sudate, se non il suono dell’orrore. La sua faccia era sbiancata, il pallore contrastava il rosso vivo del sangue che colava dal naso senza sosta. Gli occhi divennero lucidi e poi carichi di lacrime che cadendo si congiungevano alle linee di sangue, come in un triste matrimonio tra liquidi. Sul tavolo da pranzo come un animale in preda al panico sua madre continuava a dimenarsi per liberarsi dalle mani callose e pelose. Una volta finito, Jack riallacciò il suo pantalone jeans bottone dopo bottone con estrema calma e noncuranza, la sua ira improvvisamente si era placata, poi tornò al bar di sotto a bere Whisky. Erika si rialzò, ritirò su le mutande e i calzoni e tentò di celare al piccolo la sua faccia sporca di trucco e lacrime. Camminò fino al cucinino, aprì l’anta dell’armadietto dove v’erano riposti i medicinali e scartò due pasticche di tranquillanti: se le calò giù per la gola. Eliot con le mani alle orecchie e il naso sanguinante, fissava ancora quel posacenere indiano. La madre, con le mani tutte tremanti versò un bicchiere d’acqua e lo porse al piccolo Eliot che sorseggiando continuava a lacrimare, sanguinare e guardare il posacenere indiano.
Dissetato restituì il bicchiere vuoto nella mano destra della madre che non lo afferrò. Il bicchiere di vetro cadde a terra rompendo quel silenzio. Erika gli tese la mano per aiutarlo a tirarsi su, lui la strinse e si drizzò in piedi. I due andarono a coricarsi.
Dopo tre ore, Jack ritornò più sbronzo di prima ed impiegò un buon minuto a far entrare la chiave nella toppa. Contemporaneamente Erika, sveglia nel lettone, strinse forte a se il piccolo Eliot.
Lui si svegliò con quella stretta e capì subito cosa stava accadendo. Velocissimo si rigirò nel lettone verso la madre. Per non farsi sentire sussurrò:
“ Mamma… cosa facciamo?”
“ Non lo so piccolo mio”.
“ Non piangere mamma.” Attimi di silenzio e poi sempre Eliot “Andiamo via… ti prego”.
“ Dove?”
“ Dallo zio per me va benissimo”.
“ Aspetta”.
Alcuni secondi dopo, Jack riuscì a centrare la toppa, e di nuovo la mamma strinse a se il figlio, più forte di prima. Due passi verso il bagno e poi un tonfo più forte: cadde a terra tanto era ubriaco. La mamma accese l’abatjour sul comodino, s’alzò e uscì dalla camera seguita da Eliot. Prese le chiavi di casa e poi quelle della macchina dalla credenza. Uscirono scavalcando la carcassa dormiente del padre tra loro e la porta. Salirono in macchina e attraversarono tutta Clatskanie. Erano circa le cinque di notte, ed Eliot guardava fuori dal finestrino. Erika gli prese la mano sudaticcia e la strinse ancora una volta. Arrivati davanti a casa dello zio David, Eliot allungò la mano e citofonò tre volte. A rispondere fu la zia Julia con la quale avevano entrambi un buon rapporto.
“ Chi è?”, assonnata.
“ Erika…”.
“ È successo?”
“ Si”. Con tono sommesso.
“ Sali”.
Julia li aspettava sullo zerbino. Indossava pantofole rosa e una camicia da notte grigia lucida e corta tanto da far veder le gambe sode e giovani. Entrarono subito per non far disperdere il calore dell’appartamento, pulirono entrambi le scarpe sullo zerbino verde con la scritta “welcome” che presentava la “elle”, la “ci”, e la “o” consumate dal continuo sfregare dei piedi esclusivamente sulle lettere centrali. La zia Julia precedette la cognata preparando subito una tazza di Tea caldo. Eliot, invece, si sedette al tavolo e abbassò la testa fra le braccia; nel fare questo movimento scorse sul televisore incastrato nella credenza, un posacenere uguale identico a quello di casa sua. S’incupì enormemente. Pronto il Tea anche le due donne si sedettero al tavolo. Julia prese una matita spuntata dal tavolo e poi se la attorcigliò fra i capelli in maniera da farli rimanere dietro la nuca. Poi, chiamò il piccolo Eliot battendogli con la mano sul braccio e gli mostrò la nuova acconciatura. Eliot sorrise. Dopo ancora qualche secondo di quiete comunicativa, Julia ruppe il silenzio.
“ Potete restare sin quando volete”.
“ Grazie”. Rispose Erika.
“ Zia… posso andare a dormire?”
“ Certo… sdraiati sul mio letto”.
Eliot si alzò, come stabilito, e si avviò verso la camera da letto. Erika guardò l’enorme orologio da muro sopra la sua testa e domandò:
“ Dov’è David?”
“ Ha il turno di notte”.
“ Fino a che ora lavora?”
“ Fino alle otto, circa”.
Sbadigliò prima Erika e poi quasi per compagnia anche Julia.
“ Andiamo a dormire”. Suggerì Julia.
“ D’accordo”.
“ Vai pure in camera con Eliot. Io rimarrò qui sul divano”.
“ Mi sciacquo solo un po’ la faccia”.
“ Prendi un asciugamano pulito nel mobiletto azzurro a fianco alla doccia; dovrebbe stare nel terzo cassetto”. Con gentilezza Julia. Appena entrata, il box doccia campeggiava all’angolo sinistro del bagno; davanti a lei era un lavabo bianco e proporzionato, sopra il quale dominava uno specchio riquadrato da una cornice di legno scuro, che all’estremità sinistra presentava un bicchiere con dentro due spazzolini, uno rosso e uno verde. Lo specchio era incredibilmente pulito a differenza di quello di casa sua che era sempre macchiato da gocce d’acqua e dentifricio. Si lavò la faccia eliminando le tracce di trucco, che trasportato dalle lacrime, se n’era andato un po’ qua un po’ là. Con la faccia bagnata, dimenticatasi di prendere l’asciugamano dal terzo cassetto del mobiletto dietro di lei, bagnò il tappetino azzurro chiaro sotto i suoi piedi. Aprì il terzo cassetto e scelse un asciugamano verde: il suo colore preferito.
Uscì dal bagno e guardò la zia Julia che già dormiva sul divano, si fermò appoggiata con la spalla destra sul battente della porta del tinello ed osservò la pettinatura che aveva fatto sorridere Eliot: sorrise anche lei e andò a coricarsi vicino al suo piccolo.
Notò come anche in quella camera tutto era in ordine e pulito. Era straordinaria la simmetria perfetta che scandiva il mobilio della stanza. Affaticata dal susseguirsi di tanti pensieri e dai sonniferi, Erika si addormentò con il naso fra i capelli di suo figlio. Passarono tre ore.
Un bussare di porta assordante rompe il rumore stantio di ventola del frigo. Julia per prima si sveglia. I battiti si fanno più ravvicinati e assordanti così che anche Erika ed Eliot aprirono gli occhi. Julia s’alzò in piedi, infilò le pantofole e si avviò verso la stanza da letto. Erika disse ad Eliot di non muoversi dalla camera per nessun motivo; gli diede un bacio sulla fronte e varcò la soglia della stanza. Al centro del corridoio dell’ingresso Julia ed Erika s’incontrarono, si guardarono e si avvicinarono alla porta con passi lenti e silenziosi.
Julia domandò:
“ Chi è?”
“ Sono Jack. Dì ad Erika di uscire”. Qualche secondo e poi l’ordine si fece più preciso. “ Subito”.
“ Mi spiace. Erika non è qui”.
“ Non ci provare”. Rimproverò Jack dall’altro lato della porta. “ Dille di uscire”.
“ Mi spiace. Erika non è qui”. Rispose ancora una volta Julia asettica.
“ Non mi fare arrabbiare oppure farai la sua stessa fine”. Alzando leggermente il tono di voce.
“ Mi spiace, ma non è qui”.
“ Adesso entro”.
Cominciò a sbattere i pugni contro la porta, facendo un gran baccano. A questo punto Julia ad Erika:
“ Corri a chiamare la polizia. Svelta”, pressando le mani contro la porta per contrastare la forza crescente dei colpi.
Erika corse al telefono. Nel frattempo uscì una donna sui settanta da un altro appartamento che vide un uomo sbattere pugni e piedi contro la porta dei loro vicini. Richiuse subito e si precipitò anche lei al telefono per avvisare la polizia di cosa stava accadendo sul pianerottolo. La situazione si faceva critica: la rabbia di Jack saliva di colpo in colpo, l’intervento della polizia richiedeva tempo, e come già detto, Jack colpiva la porta con violenza sempre maggiore.
Come per incanto i battiti cessarono improvvisamente, Julia alzò la testa tra le braccia, che ancora spingevano nella direzione contraria a quella dei colpi. Jack dall’altro lato della porta adagiò le mani arrossate e rovinate sui fianchi, rifiatò con lo sguardo piantato sempre lì sulla porta. Tirò un ultimo pugno carico di rabbia nevrotica contro la porta, scese le scale, e uscì dalla porta sbattendola con violenza. Il rumore attraversò le scale, la porta, le orecchie di Julia, il suo esofago, e colpì infine il cuore, che scaricò elettricità alle sue membra e al suo stomaco. Jack camminava lesto guardando per terra. Alzò lo sguardo e incrociò il balcone dove abitavano i suoi cognati, e dove affacciava la stanza da letto. Julia si girò per tornare indietro e trovò Erika a terra, con le gambe che occupavano buona parte del corridoio. Si sedette accanto a lei con la schiena appoggiata al muro. Erika scoppiò in un pianto dirotto e angosciante. Allo stesso tempo Jack si arrampicava per il tubo che arrivava alla grondaia sul tetto, arrivò all’altezza del balcone e abilmente scavalcò la ringhiera. La finestra era aperta, e le persiane concedevano solo cinquanta centimetri d’apertura. S’inginocchiò ed entrò. Ad aspettarlo c’era Eliot. Come il padre sporse leggermente il muso subito Eliot sferrò un calcio dritto sul naso. Lo distrusse e cominciò a fluire sangue per terra. Eliot urlò in cerca d’aiuto, Julia ed Erika entrarono in camera da letto in corsa e videro Jack che teneva il piccolo, alto da terra, appeso per le braccia, come un sacco di patate, così da mettere fuori gioco le gambe, che più volte lo avevano colpito.
“Ferme e zitte perché altrimenti gli faccio del male serio”, raccomandò Jack.
“Non fargli del male ti prego”. Sbottò Erika.
“Che cosa vuoi?” Domandò Julia con tono minaccioso.
“Voglio Erika e mio figlio”.
“Tu sei ubriaco una sera sì e una no”. Parlò Eliot che ancora penzolava dalla stretta di suo padre.
“Quando ti ubriachi sei violento, lo sai, ma lo fai lo stesso”. Aggiunse Julia.
“Julia stai zitta… puttana che non sei altro. Adesso basta, ne ho abbastanza”. Dichiarò Jack e cominciò a menare il figlio che, per l’occasione, aveva sbattuto sul letto. Cominciò a colpirlo con le mani su tutto il corpo con una furia indescrivibile. Julia ed Erika gli si gettarono contro e provarono a fermarlo. Lui non contento prese anche loro a schiaffi e pugni per liberarsi dal loro avvinghiare. Nel mezzo delle urla della colluttazione nessuno sentì entrare lo zio David dalla porta. Sentito il frastuono si era precipitato in casa e, presa coscienza della situazione assai critica, mise subito mano al manganello da custode che teneva legato alla divisa, lo alzò contro Jack ancora sanguinante, e lo scagliò con violenza inaudita contro la sua testa. Svenne immediatamente. Persa conoscenza s’accasciò sul comodino affianco al letto. Eliot tutto spettinato e sanguinante dal labbro, scese dal letto, si mise davanti al padre e cominciò a pestarlo con violenza, come quando ci si vuole staccare la terra da sotto le scarpe.
Jack, la stessa mattina fu arrestato, scontò la sua pena, e tornato in libertà si affidò ai servizi sociali per liberarsi dall’alcool. Guarito completamente, si mise alla ricerca della moglie e suo figlio. Julia si era sposata un altro uomo. Per Eliot, dopo un lungo corteggiamento, tornò ad essere un padre.
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