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Critica a Wolfgang Goethe
Quello che è chiamato il "Paradosso di Goethe", per il fatto che lui è il suo ideatore, cita così: "Il sapere è come una sfera, più è grande, più sarà vasta la superficie di contatto che ha con l'ignoto".
È mia intenzione, con l'esposizione che segue, chiarire la radice del grave errore di principio che ha indotto Goethe a formulare questa considerazione contraddittoria, che si appoggia al simbolismo spaziale per definire il rapporto tra la conoscenza e la realtà mutevole:
Se il modo di conoscere può essere rappresentato analogicamente dalla sfera, questo modo di sapere ruoterebbe, secondo Goethe, sulla sua superficie ignorandone il centro. Questo centro, privo di dimensione, non è un qualsiasi punto della sfera, presa a immagine della realtà. Esso costituisce l'origine e la sintesi dei molteplici e divergenti punti di vista, suoi lontani riflessi capovolti, dei quali la circonferenza dell'esistenza si orna. Analogamente al punto geometrico esso non si estende in una forma, che è la definizione di un limite, costituendo il muto rappresentante dell'onnipresenza divina, perché è ovunque presente e invisibile ai sensi, ma non al diretto intuire dell'aspetto superiore dell'intelletto, di cui l'uomo è fornito, che è in grado di vedere, per una via non mediata dalla mente, l'universalità. Universalità che è radice di tutta la manifestazione dell'esistente.
Il punto di vista che rappresenta la conseguenza logica di un principio universale, il quale non può ammettere contraddizioni di sorta, non costituisce più un paradosso perché deve citare così: "L'ignorare è come una sfera, più è piccola, più sarà grande la comprensione dei propri limiti".
Goethe considerava la conoscenza come fosse situata sulla superficie della sfera e non nel Centro di essa. Poiché quella sulla superficie costituisce la conoscenza superficiale e quindi mai esaustiva, mancando della concezione del Centro che è sua causa, si deve perciò dire che questa conoscenza, stesa sulla superficie, è in realtà l'ignoranza. Per questo più diventa grande e più ignora. Per questo la "cultura", quando è di natura superficiale e sincretica, è puro accumulo nozionistico che ostacola la visione del Vero attraverso la configurazione di pregiudizi.
Per inversione analogica, quando è la conoscenza a essere sulla superficie della sfera, più questa sfera si rimpicciolisce e più il conoscere si avvicina al Centro della sfera, e quindi al punto d'origine dove il sapere trova la sua sintesi, che è al contempo origine, attraverso l'abbandono della conoscenza superficiale che sempre moltiplica le questioni che dovrebbe esaurire. È solo nel Centro, simbolo della Causa prima dell'esistenza, che la consapevolezza troverà la sua ragione di essere. Solo questi due ultimi punti di vista sono complementari tra loro nella risoluzione comune e centrale, mentre il paradosso di Goethe, essendo una contraddizione in quanto ogni paradosso deve, per definizione implicita, essere una contraddizione ai principi che vorrebbe rappresentare, non costituisce, in quanto paradosso, che una pura impossibilità.
Ci sarebbe anche il modo di osservare le cose con un'altra chiave interpretativa, quella che vede la sfera ingrandirsi. Questo implicherebbe che se fosse l'ignoranza a essere sulla superficie essa aumenterebbe con l'aumento della stessa, mentre se fosse il sapere... aumenterebbe a propria volta, ma resterebbe sempre privo di consapevolezza della propria, essenziale, centralità. È solo conoscendo la natura del principio che si possono comprendere le successive sue conseguenze. Questi altri due modi, che derivano da altre e diverse chiavi interpretative sono, a loro volta, complementari tra loro rispetto all'ingrandimento che, in questo caso, sostituisce la riduzione della sfera, analogicamente intesa a rappresentare il sapere o l'ignorare. Si deve dire, in definitiva, che tutto ciò che si allontana dal Centro, che è sua causa, compie un ciclo il quale, attraverso la sperimentazione delle proprie possibilità di essere subisce inevitabilmente un degrado, in questo suo allontanamento dalla perfezione del principio che l'ha generato. Esprimendosi, la realtà, attraverso una modalità ciclica, anche questo degrado esaurirà la propria funzione e preparerà le condizioni future di un altro e nuovo ciclo che potrà trovarsi su un livello superiore o inferiore al precedente, in dipendenza della consapevolezza che è riuscito a maturare, e questa legge vale tanto per il conoscere quanto per la vita stessa, sia nei suoi aspetti particolari che in quelli generali, in riferimento sia ai cicli microcosmici che a quelli macrocosmici i quali, inevitabilmente, riflettono le stesse modalità dei cicli minori dai quali sono composti. Lo stesso si deve dire per l'individualità che è compresa nell'universalità e che, per questo, non può comprenderla a propria volta, almeno finché resterà confinata in se stessa.
Il fascino che ha esercitato e che esercita il paradosso di Goethe dipende dalla sensazione che sia vero e applicabile alla realtà, perché vorrebbe spiegare che più sono le cose che si conoscono e maggiori saranno le nuove questioni che si presenteranno all'intelligenza, in un'amplificazione direttamente proporzionale alla conoscenza che, per questo perverso meccanismo, dovrà necessariamente riconoscersi inadatta al compito che le è stato assegnato dalla sua ragione di essere. In effetti è a ragione che si deve dire che per quel modo di conoscere, usuale e mediato dalla mente razionale, non sia possibile chiudere il cerchio delle risposte ai quesiti che continuamente si pongono, e questo è dovuto al fatto che quel modo mediato e interpretativo, proprio alla natura della mente quando quest'ultima non ha un collegamento diretto con la conoscenza immediata, dunque non relativa, dei principi universali e centrali dell'esistenza. Princìpi che sono i soli a costituire la perfetta origine dalla quale, procedono, a cascata, tutti gli altri principi, a gradi maggiori di relatività che sono proporzionali al loro allontanamento dal principio primo. Quando non c'è la consapevolezza dei principi universali, normativi dell'esistenza, si finisce inevitabilmente nella contraddizione alle leggi stabilite da questi principi, e nella conseguente incomprensione che segna l'incapacità di comprendere la realtà relativa e la sua ragione essenziale d'essere la quale, in quanto causa del relativo, relativa non può più essere.
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