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Un altro giorno difficile
Un altro giorno difficile sembra non volermi guardare, pur riguardandomi, e io sono stanco di sopravvivere senza capire il perché. Ogni giorno cerco di aggiungere un mattoncino di deduzioni nuove a questa costruzione traballante di pensieri, per rinforzarla, per renderla stabile, per fare in modo che non mi crolli addosso con la massa della sua vanità.
Ho cominciato da piccolo a esercitarmi, per colpa di un cielo insieme nero e sfavillante.
Lo osservavo spesso la sera, incantato e con la testa piegata all'indietro, dalla staia sotto casa mentre accarezzavo Alì, il cane del cortile che mi amava senza che gli avessi mai dato un boccone e che mi si appoggiava pesante e caldo, come se volesse consolarmi, dicendomi che anche lui non capiva.
A quel tempo la mia costruzione era appoggiata solo alle domande che non trovavano risposta ed era bassa, larga e stabile, nella sua bruttezza.
Crescendo, la vita si è insinuata tra le fessure di quel chiedersi e le ha apparentemente chiuse, con l'appiccicarsi di desideri sempre nuovi e più grandi, mai soddisfatti davvero. Sembrava che tutto fosse una realtà provvisoria che attendeva qualcosa di meglio per essere vera, e che anche quel meglio aspettasse di meglio.
Poi la mia testa si è abbassata a contare le pietre che non si lasciavano contare, per decidere dove appoggiare i miei piedi senza più il timore delle distanze, perché ovunque andassi la mia costruzione mi seguiva, aumentando di peso.
Tanti sono stati i passi, tanta la frenesia nel dolore, ma quando alzo la testa al cielo, ridivento bambino.
Per questo ho deciso di abbattere tutto e di ricominciare dal primo mattone, senza pregiudizi e pronto a perderci se il risultato lo vorrà.
Posso ricominciare solo grazie agli errori fatti, e da bambino mai avrei potuto decidere quello che è possibile oggi.
Alzo la testa, guardo il cielo come se fosse la prima volta e sento che questo sentirmi piccolo non mi fermerà più, perché il grande che vedo è l'insieme di tanti piccoli.
Per questo ogni cosa che lo compone è proporzionata a tutte le altre, perché ogni cosa si complica causandone altre che si complicheranno a loro volta, in un continuo vibrare sia crescente che decrescente.
Decido allora di tornare indietro col pensiero, per cercare la cosa più semplice che ha cominciato a complicarsi.
Un granellino di sabbia non può essere, perché mi pare ovvio che se qualcosa si estende in una forma deve essere divisibile, anche se ancora non si possiedono gli strumenti per farlo.
Devo cercare più in là, prima che la forma si compia.
Prima della forma c'è il punto ipotetico che, in fondo, è solo l'idea dello spazio senza estensione.
Un po' mi viene da ridere, perché lo spazio è l'estensione.
Ma il punto senza forma ha bisogno di un altro punto per definire una forma, la quale sarà determinata dalla distanza infinitesimale che separa i due punti informali.
Per esserci e avere una forma, la distanza ha bisogno della possibilità di estendersi, occorre quindi che ci sia l'estensione.
Poiché l'estensione è una conseguenza del punto dal quale trae origine, non sarà l'estensione a spaventarmi, perché non è lei che cerco.
Io devo guardare oltre.
Fino a quando non avrò capito cos'è il punto non potrò spingere il pensiero, sempre che sia il pensiero a poter guardare la luce, e mi sembra evidente che il cielo non è un gigantesco punto.
È solo costellato di punti.
Cosa è questo punto, allora?
Se il punto non ha forma e da lì deriva il tutto delle forme, quel tutto proviene dalla possibilità che non ha ancora forma.
Allo stesso modo del tempo che nasce dall'istante, privo di durata, che si replica continuamente, creando la durata.
Quindi ci deve essere una realtà senza forma che viene prima di quella caratterizzata da una forma, e che si mostra attraverso idee ancora prive di forma, cioè il punto e l'istante.
Ma se il punto è inconsistente, la Realtà essenziale che gli si nasconde dietro dovrebbe potersi vedere, perché è senza riparo.
Quella realtà quindi, non si vede perché, anche lei come il punto, non è nella dimensione dell'essere.
Questo significa che ci deve essere una realtà che non appartiene all'esistente e che deve "essere", con evidenza, causa dell'essere.
Una Causa che "Non è".
Un "Non essere" che è più che l'essere perché lo contiene in principio come potenzialità inespressa.
Ciò che è nasce, quindi, da ciò che Non è.
Ciò che Non è, palesemente, è superiore a ciò che è.
Ho davanti al mio pensiero due realtà: una che Non è, e l'altra che è.
Quella che Non è contiene, necessariamente per precedenza logica e successivamente anche per quella temporale, l'altra che è.
Quindi le è maggiore e deve contenere anche ciò che non è manifestato ancora, ma si manifesterà, insieme a quello che non è suscettibile di manifestarsi. Solo l'impossibile ne è escluso, perché contraddittorio, e la contraddizione non è partecipa della Verità.
Ne deriva che il "Non essere" e l'essere costituiscono, nel loro complesso, l'interezza della Possibilità universale.
Poiché quella che è sta dentro a quella che Non è... non può, a propria volta, contenerla e comprenderla.
A questo punto mi sento un po' meno imbecille, ma non lascio la presa.
Cos'è, quindi, la realtà che non è?
Più che l'essere di sicuro, altrimenti l'essere non sarebbe sua conseguenza.
Si deve ancora dire che la Possibilità universale è infinita e si esprime con l'insieme di "Non essere" e di "Essere", che rappresentano la prima divisione dell'Infinito, che in Sé non può essere relativo e diviso, ma che è causa prima del riflesso speculare, capovolto e relativo che da Essa zampilla, prima nel "Non essere" e poi nell'Essere.
Se relativo indica l'avere dei limiti, ciò che gli è superiore e lo contiene in principio... non deve avere limiti.
Deve essere oltre l'essere: Assoluto, Infinito ed Eterno.
Chiedersi se Dio "esiste" è, quindi, contraddittorio, perché se esistesse dovrebbe essere, in quanto Causa dell'esistenza, esteriore all'esistenza, come lo sono tutte le cause nei confronti dei loro effetti, le quali non possono, da questi effetti, essere modificate.
Ciò che non ha limiti non può essere circoscritto da definizioni, anche se è tradito dal punto e dall'istante immobile, suoi riflessi che ne denunciano l'Essenza.
Sento che stavolta i mattoncini del mio pensiero sono più stabili.
Nella loro trasparenza, ma stabili.
Meglio che consistenti e instabili.
Poiché il "Non essere" e l'"Essere" sono due realtà conseguenti, nessuna delle due può dirsi assoluta.
Non essere ed Essere non costituiscono una opposizione, e non sono complementari tra loro, perché il Non essere contiene l'Essere in principio e nessun contenitore può opporsi al proprio contenuto.
Non c'è modo di concepire una Realtà inespressa, ed è per questa ragione che la chiamo Non essere, ma in realtà essa non è la negazione dell'Essere, ma è la sua fonte.
Ciò significa che l'idea di Dio che mi hanno rifilato da piccolo non corrisponde al vero, perché Dio, che è il primo Essere, in quanto causa dell'essere non può partecipare all'essere e, quindi, alla stessa esistenza.
Cavolo!
Non si può nemmeno avere un'idea di Dio senza che questa si trasformi in una falsità.
È per questo che il Sacro sfugge?
È per questa ragione che ciò che è Sacro può rivelarsi solo attraverso il sacrificio di sé?
Per questo l'amore è la forma sacra che ha il sacrificio?
Rialzo la testa al cielo, e mi tremano ancora le ginocchia.
E non c'è nemmeno Alì al quale appoggiarmi.
Resta il Mistero a guardarmi in silenzio, e capisco che il mio esserci sarà davvero prezioso solo quando sarà identico alla verità così difficile da conoscere.
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