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L'Oscuro Senziente (Il Sogno)
Dannazione, era buio. I lampioni della strada, su cui s'affacciava la mia camera, erano andati in cortocircuito proiettando sulle pareti umide degli edifici giochi di luci ed ombre evanescenti. Forme variegate, caotiche, che avrebbero destato la fantasia di chiunque si trovasse nei paraggi. Giochi che si riflettevano anche sulle finestre del mio appartamento e sulle mie palpebre, destandomi da una veglia pigra e leggera. Mi svegliai all'improvviso, nella notte, con il cuore impazzito. Avevo il fiato corto, mi mancava inspiegabilmente l'aria; sgranai gli occhi davanti all'oscuro ritratto del lampadario sul soffitto... le sue ombre in contrasto con i zampilli di luce, erano pronte ad attanagliarsi su di me, lunghe e caotiche, come i tentacoli di un mostro. Chiusi velocemente gli occhi impaurito, rapido, e feci forza cercando con le mani il morbido materasso su cui riposavo. Strinsi avidamente il tessuto, paonazzo, e poi... mi misi in piedi. Barcollai per qualche attimo, solo per un momento, allungando immediatamente la mano sinistra sulla parete fredda che circondava l'armadio, stranamente socchiuso. Sentivo freddo, le mie gambe erano nude e i peli del corpo si rizzavano impauriti come quelli di un gatto davanti al pericolo. C'era silenzio, le orecchie mi rimbombavano come se mille tamburi suonassero arrabbiati sui timpani addolorati, pronti a sanguinare. Come se il cervello volesse uscire a tutti i costi, premendo anche sulle tempie. Mentre il buio turbinava nella stanza continuando ad offuscare le mie sensazioni, iniziai a sentire un respiro profondo provenire da un punto imprecisato della camera. Un respiro da brivido, mostruoso. Che diavolo?... Era vicino a me, e avevo paura. Cercai di ragionare e strizzai gli occhi appesantiti dal sonno turbato, mentre l'oscurità, crudele, continuava a mischiare i colori e i suoni in un mix spettrale. No, era ben peggio... l'intero condominio era al buio, preda di uno strano gioco. Dentro di me lo sapevo per certo. Quell'agonia sembrava non finire, era un caos di sensi contorti e aggrovigliati in un cocktail mortale... ma alla fine, mi venne una idea. La luce. Dio, come avevo fatto a non pensarci prima? Ancora impaurito vicino a quella parete, l'unica cosa che cercai di fare fu accenderla. Ero fortunato, conoscevo la mia camera, avevo memoria della sua disposizione. Scorsi con il palmo della mano sul muro ruvido, macchiato, trovando poi quel rialzo di plastica. Le mie dita si tesero quasi convulsive sul tasto, prima di premerlo con decisione. Poi... 'Spack!' Cristo, no. Il mio corpo saltò impaurito, e il cuore accelerò la sua corsa contro un inevitabile infarto. Lo sentivo in gola, mentre questa iniziava a stringersi secondo dopo secondo come un cappio al collo. La lampadina della camera era esplosa senza motivo, e se solo avessi avuto la forza di gridare, lo avrei fatto. Caddi in ginocchio, le gambe senza forza, vittima di me stesso, sanguisuga dannata di un cervello complesso e paranoico. Portai velocemente la mano destra al cuore, stringendo disperato il tessuto bianco della maglia. Toccai la moquette con la fronte, sentendone il pizzicore sulla pelle tirata. Quel respiro che avevo sentito invece, continuava a tormentarmi. Era forte, incontrollabile. Aveva il sapore dell'alito di un assassino. L'eccitazione di un efferato crimine. Ma non c'era nessuno nella mia stanza! Questo lo sapevo per certo, ogni notte controllavo l'armadio e le finestre, chiudendole completamente. La porta era sbarrata, mi sarei svegliato se qualcuno l'avesse sfondata. Non c'era nessuno...
No. Mi sbagliavo. L'armadio... l'anta del mio armadio era stata aperta! Era un dettaglio fuori posto. Me ne accorsi troppo tardi: qualcuno era riuscito ad entrare in casa. Chi si nascondeva nel buio? Stavo diventando pazzo, mentre il cuore cedeva su sè stesso. Rantolavo, sconfortato, cadendo a terra con il fianco destro. Nell'angoscia della fine, i miei occhi si riaprirono in cerca d'un appiglio di luce. In cerca di conforto o dell'immagine del mio oscuro e sgradito ospite. Ma quello che vidi, ahimè, fu raccapricciante e sorprendente: il buio prendeva forma davanti a me. C'era qualcosa, nell'oscurità, nell'angolo su cui avevo portato lo sguardo. Le luci che entravano dalla mia finestra, mi concessero di disegnare quella figura attimo dopo attimo, come una diapositiva in bianco e nero, come delle spennellate caotiche di un artista che metteva in risalto le pieghe di un mantello. Un disegno sbiadito e magro. Una sagoma nera, mischiata alle ombre. Un uomo, forse.
Tuttavia, era tardi. Non riuscivo ad alzare ulteriormente la testa. Non avevo forza di guardarlo in faccia. Il mio corpo si era arreso. Il battito iniziava a scemare, la musica a morire; il cuore navigava indebolito su quella cascata disperata che sapeva di morte. La mia povera e avvelenata mente si offuscava secondo dopo secondo, e il corpo perdeva lentamente il tatto con il mondo. La vista si era annebbiata... ero troppo oltre. Mi sentivo lontano. Le luci erano diventate deboli, filtrate da una spessa coltre di arrendevolezza. Ero morto. Cosa mi era successo? Quell'incubo mi aveva strappato l'anima.
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