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Serie Iberhial: Faccia Bianca (Parte 2 - L'ora della violenza
Mi portai le mani davanti alla bocca. Possibile che fosse stato quella specie di Faccia Bianca?
Era solo un visione, per la miseria! Ma allora... Poi, il pensiero di Silvia. Dovevo assolutamente andare da lei.
Uscii di casa e corsi verso il parco. Per quale ragione lo sto facendo? Se ha saputo del fratello non verrà di certo. Ma non vorrei sentirmi in colpa per non aver fatto niente.
Arrivato al parco la cercai con lo sguardo: la riconobbi, seduta nella stessa panchina di ieri. La raggiunsi correndo, rischiando di travolgere varie persone che passeggiavano.
Quando la raggiunsi mi vide e sorrise. Ancora non sapeva...
Proprio a me tocca dirle del fratello...
-Silvia!- La chiamai dopo averla raggiunta.
-Cos'hai?- Mi chiese, vedendomi agitato.
-Non l'hai ancora saputo?!-
-Cosa devo sapere?-
-Tuo fratello...- Dissi un po' ansimante. -È stato aggredito stanotte! In ospedale stava lottando con la morte e...-
Il suo volto si spaventò, all'inizio regna l'incredulità. Ma vede i miei occhi... Capisce che non è uno scherzo.
-No! Non può essere morto...-
Mi abbracciò piangendo, stavolta ha una vera ragione per farlo. Mi ricordai quello che avevo provato io quando mi dissero di mia sorella. La stessa morte, lo stesso incredulo dramma. La stessa disperazione. L'abbracciai forte, sentendomi male per lei... Le rimasi vicino.
Ma per qualcuno lo ero troppo.
Dopo qualche secondo sentii delle mani prendermi dietro le spalle. Vidi due uomini ben vestiti e piuttosto grossi. Ci dividono: uno di loro tiene stretta Silvia, l'altro mi gettò a terra colpendomi più volte. Sentii gli strilli di Silvia che cercava di fermarli, e della gente intorno che osservava la scena. Ma nessuno fece nulla. Intanto ne arrivarono degli altri; mi pestarono a forza di calci, sentivo dolori da tutte le parti. Poi mi presero e mi sbatterono in una macchina molto lussuosa, mi venne un sospetto su chi potevano essere.
Non vedevo più Silvia: ma sentii uno di loro che, durante il tragitto, m'insultava più volte, colpendomi.
Dopo un tempo che sembrò un'eternità mi fecero scendere di forza trascinandomi dentro un garage di una grande casa. Una villa grande e bianca con un giardino largo e diverse specie di alberi. Mentre venivo portato in garage vidi una urlante Silvia trascinata verso la porta principale della villa. All'interno del garage mi sbatterono a terra senza troppi complimenti. Pochi secondi dopo vidi delle scarpe marroni che già conoscevo. Alzai lo sguardo: di fronte a me c'era lui. Bill Callar, il "Dio Industriale", la sua freddezza si era trasformata in odio. Lo sapevo, perché io provavo la stessa cosa per lui. Non per la figlia, ma per lui sì...
-In piedi!- Mi urlò, chinandosi su di me, prendendomi per la camicia. Sentivo delle dolorose fitte in tutto il corpo.
-In piedi maledetto bastardo! Assassino schifoso! Ho capito quello che hai fatto! Giocavo a questo gioco prima che tu nascessi!-
-Ma di che stai parlando?- Chiesi io dolorante.
-Ti ordino di richiamare quello psicopatico che mi hai messo alle calcagna e di fermarlo!-
-È per tuo figlio vero? Ma io non c'entro, lo giuro!-
-Non provare a prendermi in giro, idiota. Ti ho capito, sai?! Hai fatto uccidere mio figlio, facendolo soffrire come nessun altro. Riducendolo in quel modo così orribile. Ora vorresti fare la stessa cosa a mia figlia, eh? Malato mentale-
Il suo atteggiamento era quasi irriconoscibile.
-Non ho fatto nulla a tua figlia. E nemmeno a tuo figlio. Io era andato ad informarla...-
-Lo hai fatto perché volevi vederla soffrire. Comunque non preoccuparti, so che non sei stato tu direttamente, sei troppo vigliacco per fare una casa del genere. Tu, bastardo, hai fatto il classico errore dei dilettanti. Ti sei messo nelle mani di uno psicopatico. E ora che è stato sguinzagliato, non riesci più a controllarlo. Vorrà dire che lo farò io per te, dimmi chi è, e dove posso trovarlo-
-Non lo so, te l'ho detto-
Mi venne quasi da piangere, sia per il dolore che per al situazione che si era creata. Bill Callar mi scaricò addosso un pugno potentissimo, quasi mi staccava la testa. Venni tenuto da due dei suoi sgherri. Me ne diede un altro sullo stomaco.
-Dov'è?- Mi urlò scrollandomi. I suoi occhi erano carichi di rabbia... Terrificante. Finirà per ammazzarmi se non m'invento qualcosa. Forse quel Faccia Bianca...
-È lui che viene da me, non ho idea di dove sia...-
-Allora quando lo incontrerai di nuovo, gli dirai che voglio conoscerlo. Gli dirai di prendere contatto con me. Così gli farò capire qual'è il vero significato della parola dolore. Hai capito bene?-
-Io...- Sussurrai appena.
-Stammi a sentire gran bastardo, dopo quello che è successo a mio figlio, non hai diritto di vita. Ti do un giorno di tempo per trovare lo psicopatico e metterlo in contatto con me. E quando lo trovi ti conviene convincerlo. Perché alla fine del giorno concesso, se non sentirò nulla, tu morirai al suo posto: e sarà una morte lunga e dolorosa. Ti dico subito che è inutile che provi a scappare! Toglietemelo dai piedi ora, prima che lo massacri!-
Venni riportato davanti casa mia, mi buttarono sul marciapiede, senza particolari problemi.
Mai avevo preso tante botte in vita mia... Per una ragione che nemmeno capivo, poi.
Rientrato a casa. Andai al bagno a guardarmi allo specchio: la mia faccia era disgregata. Come mi hanno ridotto...
Mi spostai verso la mia camera e mi sedetti sul letto. Tenendomi la testa tra le mani mi resi conto che quello che stava accadendo rischiava di distruggermi. Poi avvertii quella voce.
-Ciao fratello! Come va?-
Non lo vidi inizialmente. Mi alzai dal letto mettendomi al centro della stanza.
-Sono qui-, mi voltai verso destra, era lui. Quella Faccia Bianca, vestito come l'altra volta.
Gli saltai addosso, prendendolo per il collo, a quel punto mi resi conto che non era affatto un illusione: la sua faccia era un cappuccio. Rimasi bloccato, lui mi allontanò da sé con una spinta. Finii a terra senza accorgermene. Quello che avevo scoperto era orribile... Lo vidi avvicinarsi di qualche passo, torreggiava su di me, col piede destro mi calpestò sullo sterno acutizzando il dolore che già provavo. Non si spostò, continuò la pressione.
-È bello rivederti, ma in tutta sincerità mi aspettavo un benvenuto meno violento. Devo ammettere che non ti trovo molto bene. Il "Dio Industriale" ti ha conciato proprio male, eh? Ma del resto dovevi aspettartelo. Uccidere suo figlio, insidiare sua figlia. Ammetterai che è abbastanza... Come dire? Brutto. Nessuna meraviglia che si sia arrabbiato-
-Sei stato tu ad ucciderlo, maledetto!-
-Mi hai detto tu di farlo, non te lo ricordi?- Mi disse con voce sadica e divertita.
-Non è vero. Pensavo che fossi...-
-Cosa Tom? Un'allucinazione, un prodotto della tua mente? Suppongo che tu non abbia la minima idea del fatto che io potrei essere entrambe le cose. E nessuna delle due. Dopotutto non volevi arrecare lo stesso tuo dolore a quella famiglia? L'hai visto anche tu, la povera Silvia come ha reagito
alla perdita del fratello, non sei contento di avere avuto giustizia?-
Maledizione... Chiunque sia, questo è un dannato pazzo. Ma forse posso sfruttare la situazione.
-Bill Callar ha detto che vuole ammazzarti-, gli dissi con fatica, mentre continuava a premermi il piede sullo sterno.
-Grazie dell'informazione, ma ne sono già a conoscenza. Stai tranquillo, ho intenzione di fare una sorpresa stanotte a lui e quei gorilla che si porta dietro. Magari anche a sua figlia. E tu non interverrai-
Non feci in tempo a fare nulla, ne a dire nulla, che sollevò il piede. E mi colpì sul volto. Non capii più nulla, e persi i sensi.
Guardavo mio padre con odio. Come aveva potuto fare una cosa del genere. Far pestare in quel modo, il povero Tom. Per cosa poi?...
Proprio questo gli chiesi!
-Piantala di sparare idiozie-, fu la sua risposta. Dura e implacabile.
-Hai la minima idea di come posso aver reagito dopo la morte di tuo fratello?! E quella che è diventata di conseguenza la mia unica figlia, passa il suo tempo tra le braccia di uno squilibrato. Ma che ti credevi di fare, eh?-
Mi mollò un violento ceffone in faccia. Sentii la guancia bruciarmi da morire. Mi sgorgarono di nuovo le lacrime; cercai di andarmene, ma lui mi fermò.
-Non provare a fare l'offesa, signorina. Ti stai comportando in maniera idiota. Dovresti ringraziarmi, se sono arrivato in tempo!-
-Ringraziarti?! E di che cosa, tu sei solo un violento, distruggi tutto quello che tocchi. Alzi le mani persino su tua figlia!-
-Così... Ora il cattivo sono diventato io, eh? Sai chi è il tuo nuovo amico? È uno psicopatico, un folle, che vedeva cose che non esistevano. Internato per quattro volte in un manicomio. Ogni volta usciva dopo mesi!-
La sua voce era seria. Non stava scherzando, ma sul momento non volli credergli.
-Stai solo cercando di avere ragione, tanto per cambiare!-
-Io non racconto storie. Leggi-
Tirò fuori dalla giacca alcuni fogli piegati a metà, me li passò non senza irruenza. Li aprii e cominciai a leggere: si trattava di rapporti psichiatrici, parlavano di Tom. Aveva ragione mio padre, Tom era stato ricoverato davvero per instabilità. Diceva di vedere esseri orribili e misteriosi che volevano fare del male ai suoi cari. In realtà era lui che attaccava i suoi cari, diceva che voleva proteggerli. Aveva ferito sua sorella più di una volta. Poi quando usciva sembrava essersi ristabilito. Ma dopo qualche tempo ricominciava. Ma sua sorella non lo aveva mai voluto abbandonare, non dentro un manicomio. Lei gli voleva bene sul serio. Dopo il suo ultimo ricovero, sembrava essersi ripreso del tutto, lei lo fece vivere a casa sua. Quella ragazza era veramente tutto per lui... Ed io gliela avevo portata via.
-Scusami Papà-, salii le scale e mi andai a rinchiudere in camera mia, facendo volare il rapporto a terra.
Una volta in camera, mi gettai sul letto... Pensai a Dick. È morto, e non tornerà mai più. Ora capivo come si sentiva Tom. Eppure, in me avevo la sensazione che il peggio doveva ancora venire. Tra un singhiozzo e l'altro mi addormentai.
Venni svegliata, non so quanto tempo dopo, da uno strano lamento. Quanto avrò dormito? Fuori dalla finestra è buio pesto.
Deduco siano passate un sacco di ore. Mi ricordai quel lamento, da dove veniva? Forse da sotto. Decisi di andare a vedere. La casa era quasi del tutto al buio. Scendendo le scale, mi accorsi che stranamente non c'era nessuno in giro: né la servitù, né le guardie del corpo di mio padre; né tanto meno, mio padre. Dove diavolo erano finiti tutti?
Al piano terra, mi mossi verso l'interruttore della luce; non funzionava, che strano. Ancora più strano era il silenzio... Mi guardai in giro, vidi una luce debole giungere dal soggiorno. Forse c'era stato un guasto, eppure qualcosa non quadrava... Percorrendo il corridoio, sentii di nuovo i lamenti di qualcuno, sembrava una voce soffocata... Ma che sta succedendo? Corsi verso il soggiorno. Affacciandomi rimasi impietrita: al centro del soggiorno, illuminato da alcune candele, si trovava attaccato con delle catene al soffitto, e la pancia aperta con l'intestino arrotolato a terra... Mio padre; era mio Padre!
Attorno a lui sono tutti stesi a terra: le guardie del corpo, le cameriere e il maggiordomo. In un lago di sangue, tutti con la gola tagliata... Sistemati attorno a mio padre, che... O mio dio! Era ancora vivo, ha la bocca tappata con un nastro adesivo. Mi fissò facendo uno di quei terrificanti lamenti.
-Papà!- Mi sfugge dalla bocca. Poi la testa di mio padre si mosse, fece uno scatto verso l'alto. Nello stesso tempo sentii un'orribile suono, e vidi dietro di lui comparire un uomo. Rabbrividii. In mano aveva un pezzo di... Di... Spina dorsale insanguinata di mio padre!
Dio che orrore! L'uomo indossava un soprabito nero lungo fino ai piedi lui. Blu Jeans e delle scarpe nere. Mani coperte da guanti neri. All'inizio vidi che la sua testa: non aveva capelli, non aveva lineamenti, era completamente bianca. Gli occhi erano pallini neri, simili agli occhi degli squali, quasi senza vita, niente naso e la bocca sembrava un orrido taglio, dentro si scorgevano ogni tanto dei denti bianchi e aguzzi. Poi, un attimo dopo, mi resi conto che aveva una maschera, o meglio un cappuccio bianco. Quando mi vide, sembrò sorridere sardonicamente.
-Ciao, piccola Silvia, ti ho svegliato?- Mi lanciò contro la spina dorsale di mio padre, finisce ai miei piedi. La fissai con orrore.
-Tuo padre te l'ha lasciata con tutto il suo amore. Vieni da me coraggio, ora resti solo tu della famiglia Callar da sistemare-
Tirò fuori un coltellaccio dal soprabito, allora è lui che ha ucciso mio fratello. Si stava avvicinando, ed io non riuscivo a muovermi. Tremavo come una foglia, ero già morta di paura. Era la fine...
Era vicinissimo ormai, un metro circa, ero ancora bloccata. Allungò il suo coltello sulla mia bocca. Quell'orribile faccia bianca, mi osservava.
-Sei carina, ora capisco perché gli piaci- Di che stava parlando? Stava per mettermi la mano sulla spalla... Se non faccio subito qualcosa sono finita! Devo farlo o sono morta!
Nell'istante in cui mi toccò la spalla gli mollo un calcio in mezzo alle gambe. In quel momento guardò in basso, ne approfittai per spingerlo via e scappare. Corsi via, lungo il corridoio, semibuio e cercai di puntare verso la sala d'ingresso. Sentivo i suoi passi rincorrermi, non gli avevo fatto molto male... Corsi più veloce che potevo, ma non riuscivo a seminarlo. Anzi, lui era sempre più vicino. Passai vicino ad un lampadario, subito lo spinsi giù con una mano, avvertii la sua caduta. Ora dovevo riuscire a filarmela però! Raggiunta la sala d'ingresso, guadagnai l'uscita. Dopo un secondo già correvo lungo il giardino, c'era solo il cancello a fermarmi... Dannazione non si apre! Era elettronico, l'avevo dimenticato! Dio. Ora come faccio?!
Mi voltai, nessun movimento, che ci avesse rinunciato?! Non importa devo uscire.
Facendomi forza, iniziai a scavalcare il cancello. Era dura riuscirci, ma per mia fortuna già altre volte ero rimasta senza chiavi e sapevo come fare. Alla fine la mia sbadataggine che mi stava salvando la vita, incredibile a dirsi. In pochi secondi ero dall'altra parte. Di quel tipo nemmeno l'ombra... Corsi per strada e filai al primo bar aperto.
Chiamai la polizia, sperando che arrivino in fretta.
Mi risvegliai sempre scombussolato, guardai l'orologio, cavolo! Erano le nove della mattina successiva. Avevo dormito un intero giorno quasi, dovevo essere davvero stanco. Tuttavia, non ricordavo perché mi ero messo a dormire per terra. Già... Quel dannato Faccia Bianca, mi ha preso a calci. Maledizione! Mi ricordo che aveva parlato dei Callar. Forse voleva ucciderli, dannazione! Spero di essere ancora in tempo a mettere in guardia Silvia. Ma se avesse già colpito? Se davvero Bill Callar, il "Dio Industriale", era morto?!
Se fosse... Sarebbe stato su tutti i notiziari.
Mi feci coraggio e accesi la televisione. Beccai proprio il telegiornale: erano le notizie politiche, poi arrivò la cronaca. La cronaca parlò di un massacro avvenuto nella villa di Bill Callar: lui e tutte le sue guardie del corpo, e la servitù, erano stati trucidati. Lui, in particolare, era stato torturato orribilmente. La spina dorsale gli era stata strappata via. Solo la figlia Silvia si era salvata: in qualche modo, era riuscita a scappare dalla villa e ad avvisare la polizia.
Ma dell'assassino nessuna traccia: Silvia lo aveva descritto come un uomo con la faccia coperta da, un orrido, cappuccio bianco. Era caccia aperta all'omicida.
Spensi la televisione, non volevo sentire oltre. Era stato lui: l'aveva fatto, quel disgustoso essere. Ora un'intera famiglia era distrutta per sempre, insieme a non so quante altre.
Andai in camera mia, lo vidi in piedi che mi aspettava, sembrava contento, o perlomeno fiero di sé.
-Che cosa hai fatto?- Gli dissi io con voce spenta.
-Ho fatto quello che tu volevi, e smettila di fare la parte del dispiaciuto! Sarebbe ora che la piantassi di fare lo stupido, e cercassi vedere l'effettiva verità di tutto questo. La persona che odiavi è morta, non continuare a prenderti in giro. Guarda dentro di te-
Le sue parole erano strane non riuscivo a capire cosa intendesse... Era vero, io odiavo Callar, e avrei voluto che morisse. Non era solo per la morte di mia sorella: erano proprio i tipi come lui, che pensavano che tutto avesse un prezzo a darmi sui nervi. Li odiavo talmente tanto che avrei voluto ucciderli tutti. Però... Avevo l'impressione che qualcosa mi sfuggisse.
Lui continua a guardarmi.
-Spesso. Per fare quello che si vuole, bisogna ingannare tutti, anche sé stessi-, erano le sue ultime parole.
-Di cosa parli?- Gli chiesi.
-Tutto questo, è stato possibile solo grazie a te. Se non ci fossi stato tu, io non sarei mai nato-
Non riuscivo a capire, ma cosa stava dicendo?
-Hai dimenticato la ragione, per la quale, sei stato internato in manicomio-
In quel momento sentii qualcosa, un ricordo che avevo dimenticato tornarmi in mente.
-Ti dissero che vedevi cose che non esistevano, ma non era proprio così, vero?-
La maschera bianca l'avevo già vista. Quando ero piccolo me la misi per Halloween.
In quell'occasione mi feci chiamare: Faccia Bianca.
-Sì. Adesso capisci chi sono io? Sono colui che tu hai creato, per fare quello che tu non vuoi. Il sicario perfetto-
-Non è vero! Sta zitto!- Gli saltai addosso urlando, sembrava sgonfio, senza peso. Niente massa. Caddi addosso a vestiti completamente vuoti. Ma non può essere... Eppure non sto sognando!
Poi sentii dei passi dietro di me.
-Tom, sei qui?- Mi voltai. Silvia, era sull'uscio della mia stanza. Ma che ci fa qui? Come ha fatto ad entrare?
-Scusami se sono entrata senza permesso ma...-
Il suo sguardo si posò sui vestiti. E sulla maschera bianca. Inevitabilmente rabbrividì e incominciò a guardarmi con orrore.
Dopo essere stata con la polizia, mi hanno fatto domande per ore, cercai un posto dove rilassarmi. Mi sentivo strana, non riuscivo più a piangere, non comprendevo il motivo.
Forse perché: avevo odiato mio padre negli ultimi tempi. Ancora non riesco a capacitarmi di essere rimasta sola. Non avevo più nulla!
Ora capisco come deve essersi sentito Tom. Una sensazione tremenda, quel senso di non ritorno che senti in te... Sai che non ritorneranno mai, ma ugualmente ci speri. Speri che sia tutto un brutto sogno. Mio Dio!
Quando, finalmente, rimasi da sola mi ritrovai a camminare per la casa. Ma poi mi resi conto di voler uscire. Uscii a piedi, girando senza una meta. Per strada sui marciapiedi, sotto la luce del sole. Mentre camminavo vedevo tanti volti, la maggior parte seriosi, altri scherzavano mentre parlavano al telefono. Altri ancora erano in compagnia e ridevano tra loro. Mi ritrovai a detestarli, ridono perché hanno ancora tutto. Non sapevano cosa significava perdere i propri cari, cosa significava essere soli. In quel momento non avevo voglia di stare insieme alla gente. L'unica persona con cui voglio stare è Tom.
L'unico che poteva capirmi.
Arrivai a casa sua, prendendo i mezzi pubblici necessari, dopo qualche ora; senza aver dormito neanche un secondo. Eccomi di fronte casa sua. Mi chiesi cosa potevo dirgli. Poi convenni che era meglio non dire nulla, e poi... Se è informato di quanto è successo, saprà lui cosa dirmi.
Passai per il vialetto, arrivando alla porta. Strano è aperta. O diciamo leggermente socchiusa. Capisco che non abbia paura dei ladri, ma così è imbarazzante.
Provai a suonare il campanello, ma non si sentiva, forse era rotto. Decisi di entrare, le tapparelle erano tutte abbassate, starà ancora dormendo? Passai per la cucina, la luce era accesa ma non vedevo nessuno. Non conoscendo la casa, temevo di girare a vuoto. Poi sentii una voce debole, camminai lungo la cucina e arrivai in un anticamera oscura: c'erano due porte, una di fronte a me, l'altra era a sinistra, quella di fronte da sul bagno. La voce proveniva dall'altra, sembrava quella di Tom, mi avvicinai.
-Tom, sei qui?- Vidi un tizio sdraiato a terra, era lui. Ma come? Era riuscito ad addormentarsi così? Si voltò verso di me.
-Scusami se sono entrata senza permesso ma...-
Il mio sguardo cadde su quei vestiti a terra: li riconoscerei di fronte a mille, gli stessi che aveva addosso l'assassino. Cos'ha tra le mani? Un cappuccio bianco, uguale a quello che indossava quell'uomo. Non è possibile...
Il corpo si riempì di brividi, e tutto il mio essere trasudava orrore, mentre afferravo la verità.
-Silvia! Aspetta!- Si alzò e mi venne incontro. È lui l'assassino, e mi vuole uccidere!
Corsi via urlando come una pazza. Mi ero andata ad infilare nella tana del lupo, l'avevo voluto io, come potevo essere stata così stupida. Mio padre aveva ragione.
Attraversai velocemente la cucina, sentii i suoi passi, mi rincorreva. La stessa scena dell'altra notte. Oltre la cucina c'era il salotto e la porta, la sola salvezza. Il cuore mi batteva all'impazzata. Cercai di muovermi più veloce che potevo.
Ma da dietro mi afferrò, placcandomi, e cademmo a terra. Tom mi aveva preso e mi impediva di muovermi. Cercai di liberarmi con tutta la forza che potevo, ma era inutile! Il maledetto era più forte di me. Ci alzammo da terra mentre lui mi teneva entrambe le braccia. Poi mi buttò contro il mobile della cucina, non ci andò leggero, e la schiena mi scrocchiò.
Mise avanti il suo volto, lo sguardo era spiritato e l'espressione: quella di un folle.
-Tu credi di aver capito tutto, ma io ti assicuro... Che non hai la benché minima idea di quello che sta succedendo-, urlava con una voce che mi ricordò gli psicopatici quando perdono la pazienza. -Lui è qui... Te ne devi andare prima che riprenda...-
Improvvisamente fece un urlo soffocato, e si staccò da me. Si tenne la testa tra le mani, il suo corpo si contorse tutto. Poi, dopo un ennesimo urlo, perse i sensi cadendo a terra. Solo in quel momento mi resi conto che aveva in mano il cappuccio bianco.
Non riuscivo a capire cosa diavolo gli fosse successo, ma era chiaro che si trattava di un pazzo! Dovevo assolutamente andarmene e chiamare la polizia. Poi sentii un passo rumoreggiare, e un altro, e così via. Giungevano dalla camera. Ma non c'era nessuno oltre Tom...
Rimasi impietrita quando la fonte di quei passi rumorosi apparve. Era... I suoi vestiti, o meglio quelli sui quali era disteso Tom, si muovevano: sembrava che qualcuno li indossasse, ma non c'era nessuno dentro. Un corpo che cammina senza testa, i vestiti com'erano la sera prima. Poi vidi all'improvviso il cappuccio bianco... Si muoveva da solo, si sollevò nell'aria volteggiando come sostenuto da fili invisibili. Volteggiò verso il corpo composto solo di vestiti, arrivato all'altezza della testa ne prese la forma, attaccandosi sul colletto della camicia. La figura della sera prima, quell'orribile assassino dalla faccia bianca...
Ancora una volta rimasi impalata e tremante, non riuscivo a scappare stavolta. Camminava vicino il corpo svenuto di Tom. Lo guardò con quelli che sembrano due occhi da squalo.
-Quando è cosciente è più dura emergere-, disse mentre lo scrutava.
Prese un coltellaccio da cucina adagiato sul tavolo e rivolse la sua attenzione verso di me.
-Piccola Silvia. Piacere di rivederti. Scommetto che ti sono mancato-, disse strofinando quel coltello sporco sul viso. Con la mano libera mi tenne ferma la mascella. Quell'essere è mostruoso.
-Chi... Sei tu?- Chiesi con un filo di voce. Per un attimo non rispose, ma poi sembrò osservarmi e ridendo con quei denti aguzzi.
-Non sono un essere umano, ma questo penso che tu lo abbia già capito. Sono un sogno. O meglio un'essenza inventata da questo prodigioso ragazzo sdraiato ai miei piedi-, staccò il coltello dalla mia faccia per indicarmi Tom.
-Quando si crede fermamente ad una cosa. Chi può dire se sia reale oppure no? Lui inventò Faccia Bianca quando era molto piccolo, quando si mascherò per Halloween. Il look era più o meno questo. Gli rimase questa creazione, iniziò a disegnarlo su delle tavole, ne scrisse delle brevi storie. Capisci, crebbe con quel personaggio, ma non ero io. Quello era solo un personaggio inventato da uno che soffriva di solitudine, un tipo troppo introverso per cercarsi amici veri. Per lui era come un eroe, e incominciò a desiderare che esistesse sul serio. Allora successe che presi vita io, per una forza che solo la sua mente ha; la cui natura non ho mai compreso. Io potei nascere, prendendo i panni del suo eroe. All'inizio andavo in giro a conoscere questo mondo, per me era come essere appena nato. Dopo un po', quando gli apparii le prima volte non la prese bene. Ma non me ne preoccupavo. Tanto, quando lui dormiva potevo emergere tranquillamente. Quando parlò di me a tutti gli altri che conosceva, nessuno gli credette, e più gli comparivo e più veniva colto da crisi di orrore simile alla tua. Seguito da stati collerici e isterismi. Alla fine i genitori prima e la sorella dopo, lo internarono in manicomio. Quattro volte in tutto. Lo imbottirono di tanti di quei farmaci e gli fecero tante di quelle terapie di distruzione mentale, che alla fine non aveva potuto fare altro che rimuovere tutto-
Era incredibile quello che mi stava raccontando, eppure non sembrava che mentisse."
Ecco fatto, perfetto.
Oggi penso di aver fatto abbastanza, ora è tempo di posare la penna. Devo riposarmi un po', la prossima volta dovrei finirlo.
Certo che, non lo so. Forse non riesco ancora immaginarlo finito del tutto. Ma non importa, domani scriverò la scena finale di "Faccia Bianca".
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