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Serie Iberhial: Faccia Bianca (Parte 1 - Vendetta tremenda vendetta)
-L'imputato è prosciolto per le diverse attenuanti che, non giustificano il suo comportamento, ma ne precisano, senza ombra di dubbi, la sua non dolosità-
Questa era stata la sentenza del giudice. Inaccettabile per me. Praticamente perdonava quello che avevano fatto quei maledetti.
Me l'avevano detto: "guarda che sono figli di Callar".
Bill Callar. Grande industriale, uno dei più potenti. Intentare una causa contro di lui era inutile. Nessun giudice e nessuna giuria avrebbe mai fatto qualcosa contro di lui. Insomma... La solita storia.
Intanto però, quei due idioti dei suoi figli ubriachi, al volante della loro macchina, erano andati fuoristrada colpendo una coppietta che passeggiava tranquillamente. Il ragazzo si ruppe le gambe, non avrebbe mai più camminato; lei invece non se la cavò. Quella ragazza era mia sorella: l'unica famiglia che avevo. Ero solo...
L'avvocato mi sconsigliò di fare alcunché, sono cose che capitano tutti i giorni, alla fine non c'erano mai pene troppo severe nei confronti di quelli che guidano.
In questo caso non ce ne sarebbero state.
Ebbi modo di capire l'aria che tirava qualche giorno prima del processo. Con mia gran sorpresa si presentò a casa mia il padre di quei due ragazzi: Bill Callar, il "Dio industriale", per come se ne sente parlare. Dopo i vari convenevoli si sedette ed iniziò a parlare con una grande calma, o forse si trattava di freddezza; chi poteva dirlo...
-Sono molto dispiaciuto per quanto è successo alla tua sorellina. Mi rendo conto di quello che si può provare in certe situazioni. La morte di tua sorella non mi lascia indifferente, credimi. Sono venuto a porgerti le mie scuse, anche se so che non serve a molto. In ogni caso, se hai bisogno di qualcosa devi solo chiedere. Sono pronto anche ad accollarmi la spesa medica per il ragazzo di tua sorella. Se poi hai bisogno di qualche raccomandazione per il lavoro, devi solo dirlo e me ne occupo io-
-E che cosa vorresti in cambio?- Gli chiesi io, velenoso.
-Solo che questa storia finisca. In fin dei conti è stato un incidente... A nessuno conviene portare la cosa in tribunale. Anche se non ci crederai, i miei figli sono dispiaciuti per quello che hanno fatto. Il maschio non dorme la notte. Hanno già la loro parte di inferno... Arrivare in tribunale sarebbe inutile-
-Sei venuto qui a corrompermi, in poche parole-, arrivai al punto della questione.
-Sono venuto a proporti un accordo. Un accordo vantaggioso per entrambi, è da stupidi intentare una causa con chi ha più soldi di te, si sa fin troppo bene come va a finire- scandì bene le parole, molto sicuro di sé.
-Ah sì? Bé, allora vai al diavolo! L'unica cosa che avrai da me, sarà la possibilità di vedere i tuoi figli puniti come si deve-, urlai scattando in piedi. -Vuoi fare qualcosa per me? Fai in modo che i tuoi figli prendano il massimo della pena: almeno una ventina di anni ciascuno, e allora ti perdonerò tutto!-
Vidi Bill Callar alzarsi in piedi e guardarmi con occhi freddi, il tipico sguardo di chi non ha intenzione di perdere tempo, ulteriormente.
-Il dolore ti fa sragionare, vedo. Avrei dovuto capirlo... Ho cercato di venirti incontro, ma tanto è inutile. I miei figli non conosceranno mai la galera, nessun padre lo permetterebbe mai- Fece, mentre stava per andarsene. -Mi spiace, speravo che potessimo accordarci, hai gettato un'occasione-
Guardandolo con odio smisurato, lo chiamai a gran voce.
-Li conosco quelli come te! Credete che tutto abbia un prezzo, anche la vita delle persone, ma non è così! E se esiste un minimo di giustizia te ne accorgerai-, e gli puntai contro il dito. -Ti avverto "Dio industriale" non metterti in mezzo. È una cosa tra me e i tuoi figli. Se impedisci alla legge di intervenire come dovrebbe, lo farò io! Ricorda le mie parole-
Lui continuò a guardarmi per qualche secondo con quei suoi occhi freddi, poi si voltò e se ne andò senza proferire parola.
Era inchinato con la testa fra le mani, rannicchiato in un angolo, come se cercasse di proteggersi da qualcosa che non poteva fermare. Così terrificante, così drammatico; ormai mio fratello non parlava più...
Non reggeva più gli sguardi di nessuno; da quando aveva saputo della morte di quella ragazza, si era chiuso in sé stesso.
-Dick, ti prego cerca di reagire. Lo so che ti senti in colpa, è umano questo. Ma non puoi fare così. Ti prego, almeno parlami-, gli dissi con voce piangente.
Ogni volta che lo vedevo, mi veniva da ripensare a quell'incidente, e ogni volta mi veniva da piangere. Sentivo le lacrime che mi sgorgavano dagli occhi.
Mi avvicinai a mio fratello, e gli posai una mano sulla spalla: solo in quel momento voltò la testa. Il suo volto era una maschera, fatta di drammatico orrore per sé stesso.
-Io l'ho uccisa Silvia. Che io sia dannato se non l'ho uccisa... Come ho potuto? Non ricordo nemmeno la sua faccia, a stento conosco il suo nome. Ci siamo incontrati solo una volta nella nostra vita, anzi... Nemmeno incontrati... Incrociati! E lei è morta! Lo capisci? È morta! Come farò a convivere con questo-
Il suo tono era disperato come il suo volto, distrutto come la sua anima. Tentai di abbracciarlo, ma mi respinse.
-Lasciami stare! Ho rovinato la vita a tante persone. Ora questa causa che suo fratello ha intentato contro di noi. Quel ragazzo ha tutte le ragioni, ha tutte le ragioni per odiarci. Come farò, eh?
Quando lo dovrò guardare in faccia in tribunale, come farò a sostenere il suo sguardo?!-
Sapevo che Tom, il fratello di quella ragazza, ci odiava a morte; ma lo capivo. Gente che guida in stato di ebbrezza. Per quello aveva perso una persona a cui voleva bene...
Io non avevo bevuto granché, era Dick che si era sbronzato troppo quella sera. Aveva voluto guidare a tutti i costi, ed io non glielo impedii. Sì, la colpa era di entrambi.
-Andiamo, siamo tutti e due pentiti di quello che abbiamo fatto. Dobbiamo solo essere sinceri con noi stessi e gli altri, il resto verrà da sé. Forse anche Tom ci perdonerà-, cercai di tranquillizzarlo, e di tranquillizzare me stessa. Mi rise sadicamente in faccia.
-Tu credi veramente che nostro padre permetterà che le cose... Vadano come devono andare? Sei un illusa Silvia, come al tuo solito, una sognatrice. Solo nella fantasia sdolcinata, le cose vanno come devono andare-
-Cosa vuoi dire?- Domandai io allibita, le lacrime continuavano a sgorgarmi. -Che vuole fare nostro padre?-
Lui continuava a ridere, colmo di disperazione. La forza della disillusione: riusciva a ridere e piangere in un solo tempo.
-Lui farà tutto il necessario per farci assolvere. Anche arrivare a corrompere, o peggio, minacciare le persone chiave del processo. È molto bravo in questo! Sta già cominciando, è andato da Tom oggi, a proporgli chissà quale accordo-
Sgranai gli occhi. Impossibile! Mio padre non può fare questo... Non è giusto.
-Ma noi, abbiamo ucciso una persona!- insistei con disperazione.
-Sì?! Vaglielo a dire-, stavolta fu più cinico.
Per qualche attimo mi ritrovai ad odiarlo; in ogni caso, se mio padre farà quello ha in mente; la tragedia non era ancora scoppiata.
Quei due sono stati prosciolti senza nemmeno piccole pene per ubriachezza, o chissà che altro avevano nel sangue quella sera...
Maledetti! Se solo sapessero quanto mi hanno rovinato la vita. Avrei voglia di ammazzarli tutti e due, insieme al loro genitore.
Alla fine la sua forza economica aveva avuto ragione: quando sentii la sentenza fui colto da una grande disperazione. Poi, qualche minuto dopo, li vidi poco lontano da me. Il ragazzo evitava il mio sguardo. Il loro padre, il "Dio industriale", che allargava le braccia come a dirmi: 'te l'avevo detto', oppure 'te lo dovevi aspettare'. L'unica persona che sembrò in qualche modo compatirmi era la figlia di Callar. Silvia, l'unica che sembrava contrariata. Oppure semplicemente, mi stava prendendo in giro, forse era così.
Lei, una ragazza di buona famiglia, perché avrebbe dovuto preoccuparsi per uno straccione? O per sua sorella.
Sentivo una rabbia dentro di me, stavo così male. Dopo la rabbia mi riprese lo sconforto. Quando tornai a casa incominciai a piangere.
Io e mia sorella vivevamo insieme: quante volte avevamo litigato per le piccole cose, succede quando si convive, allora non li sopportavo quei litigi. Ora mi mancavano così tanto...
-Mi dispiace sorella mia... Ho perso! Non avrai mai giustizia...-
Mi trovavo in camera sua, al buio. Non vedevo granché. Fu allora che sentii quella voce.
-Povero piccolo ragazzo, sei sconfortato. Talmente sconfortato da aver già rinunciato alla lotta-
Ma cosa diavolo stava succedendo?! Chi era che parlava? Mi girai di scatto in direzione della voce, e lo vidi: c'era un tipo strano, in piedi dietro di me. Indossava un soprabito nero, lungo fino ai piedi. Aveva inoltre dei blu Jeans e delle scarpe nere. Mani coperte da guanti neri e, all'inizio vidi che la sua testa non aveva né capelli, né lineamenti, era completamente bianca. Gli occhi erano pallini neri, simili agli occhi degli squali, quasi senza vita. Non aveva il naso, la bocca sembrava un orrido taglio, dentro si scorgevano ogni tanto dei denti bianchi e aguzzi. Non mi aspettavo una visione del genere; persi l'equilibrio, urlando dallo spavento.
-Chi diavolo sei?- Sussurrai con un filo di voce.
Lo sentii ridere, poi si avvicinò.
-Stai calmo, vengo da amico- cercò di rassicurarmi, malgrado avesse una voce scura.
-Che il cielo mi fulmini se ricordo di aver mai avuto un amico come te!- La mia voce invece, che fosse agitata era dire poco. -Se sei venuto a derubarmi, caschi male amico! Non ho un soldo-
-Sì, lo so. Hai speso tutto per il processo contro i figli di Bill Callar. So che sei nei guai con il mutuo di casa-
-Come fai a sapere tutte queste cose?!-
-Io so tutto di te, Tom. So anche che la morte di tua sorella ti ha devastato, molto più di quanto sei disposto ad ammettere. So che stai morendo dalla rabbia. Una rabbia senza sfogo. È per questo che piangi, giusto? Sai che non avrai mai altro modo per sfogarti-
Ma cosa diavolo significavano quelle parole... Un essere arrivato dal nulla che sa tutto su di me. Forse sto impazzendo... Del resto è normale, con la confusione mentale che ho...
-Tu non sei qui, sei solo un 'immagine creata dalla mia mente sconvolta. Sparisci. Tu non sei veramente qui-
Lo sentii ridere di nuovo, stavolta fu una risata satanica.
-Pensala anche così, se vuoi. In ogni caso se sono un prodotto della tua mente, non dovresti sorprenderti se so tante cose su di te-, alzò la mano aperta imitando un veggente. -Io ti leggo dentro. Odi quelle persone che ti hanno rovinato la vita. Vuoi vederle soffrire, ma non sei capace a fare del male a qualcun altro. Lascia fare a me, ci penserò io-
Sembrava parlare sul serio.
-Tu non sei niente, questa conversazione non ha senso-, la mia voce era completamente stranita, impaurita, quella di un folle.
-Allora assecondami. Tanto se sono un prodotto della tua mente, che cosa ti costa? Di cosa hai paura? Sono solo un illusione-
E rise di nuovo.
-Fa un po' come ti pare-
Parlai con voce irritata, volevo solo che quella maledetta figura scomparisse. Infatti pochi secondi dopo successe. Con un ghigno di soddisfazione l'essere scomparve nell'ombra. Non sentivo più nulla, ero solo adesso.
Dio, che mi stava succedendo? Non devo lasciarmi andare... Devo reagire in qualche modo. Distrarmi. Ma come?
Sentii il cellulare vibrare. Lo tirai fuori dalla tasca e vidi che mi era arrivato un messaggio da un numero che non conoscevo.
Strano, pensai.
Lo aprii quindi. C'era scritto: 'per favore vieni al parco sulla quinta strada, ti aspetto lì. Dobbiamo parlare. Silvia Callar.'
Rimasi un attimo sgomentato.
Non ero affatto contenta di quanto aveva fatto mio padre. Lui continuava a dire che non aveva fatto nulla. Mentiva.
Lo conosco abbastanza da sapere quando mente.
Quando tornammo a casa, dopo il processo, volli parlargli; evitando che mio fratello sentisse. Ci ritirammo in sala da pranzo, mentre i suoi uomini portavano mio fratello nella sua stanza. Poverino, negli ultimi tempi era sempre meno sé stesso. Forse solo io ho una minima idea di quanto abbia sofferto. Il senso di colpa lo corrodeva ogni giorno di più, non mi ricordavo quando aveva riso l'ultima volta.
Mi concentrai su mio padre: lo guardai negli occhi e mi feci coraggio.
-Come hai potuto fare una cosa del genere, Papà?- Gli urlai. -Hai distrutto la vita di mio fratello! Hai distrutto la vita di quel povero ragazzo. Perché non hai lasciato che le cose facessero il loro corso. Perché?-
-Parole grosse, Silvia. Sei sicura di voler andare fino in fondo? Perché non ti conviene, ti avverto-
-Come sarebbe a dire? Non è forse vero che hai usato il tuoi dannatissimi soldi per fare in modo che dal processo uscissimo senza un graffio?- Domandai con tutta l'indignazione possibile.
-Piantala! Il processo è andato come doveva. E non sarebbe potuto andare in nessun altro modo. E poi, fammi un favore, basta con questa storia! Ve la siete cavata tu e tuo fratello, lasciatevi alle spalle tutto questo e andate avanti- disse con voce arrogante, e infastidita. L'argomento non gli piaceva nemmeno un po'.
-Andare avanti? Papà è morta una ragazza! Un ragazzo è finito su una sedia a rotelle e ci resterà per il resto della sua vita!-
-Queste cose succedono di continuo, non sono i primi e non saranno nemmeno gli ultimi. Io ho fatto quello che qualunque padre avrebbe fatto. Ho protetto i miei figli. Non pretendo ringraziamenti, ma vorrei un minimo di rispetto-, il suo cinismo era rivoltante. -Quell'idiota di Tom poi... Gli ho offerto un sacco di cose, e ha voluto andare in causa lo stesso. Eppure l'avevo avvertito-
Quando lo sentii dire questa frase, un'ondata di rabbia nei suoi confronti s'impadronì di me.
-Per i soldi... È solo per questo che lo hai fatto allora... I tuoi maledetti soldi!-
-Ah! Così adesso i soldi sono diventati maledetti, eh?! Ma quando ti servono per pagare gli studi, oppure per qualche vestito che ti piace, certi scrupoli non te li fai, vero?-
Tipico di mio padre... Credeva sempre di avere tutte le ragioni del mondo. Mai una volta che accettasse la parte del torto. Non riuscivo più sopportarlo.
-Papà, ti odio!-
Gli urlai, allontanandomi. Uscii dalla stanza e raggiunsi la porta di casa. Ignorai tutti gli urli che mio padre mi lanciò dietro e guadagnai l'uscita. Presi la macchina e mi allontanai il più possibile da quella casa.
Dopo aver guidato per, non so nemmeno io quanto, mi fermai vicino un parco. Dovrei essere sulla quinta strada se non mi sbaglio, cominciai a pensare a Tom. Non dovrebbe vivere troppo lontano.
Ci pensai su, ci pensai molto su.
Alla fine presi la mia decisione: forse non la più semplice, ma quella più giusta. È ora che parli con lui... Così gli mandai un messaggio, firmandomi. Speravo che venisse.
Scesa dalla macchina, mi sedetti su una panchina del parco. Vedevo abbastanza bene la quinta strada, se arriverà, verrà sicuramente da quella parte.
Dopo quasi mezz'ora di attesa ancora niente: stavo cominciando a pensare di aver sbagliato a mandargli quello stupido messaggio, sarei dovuta andare direttamente a casa sua. Però non era troppo tardi, avevo il tempo per farlo.
Quando stavo per alzarmi, improvvisamente lo vidi. Ad una ventina di metri da me: era lui. Si muoveva con passo un po' indeciso. Evidentemente ancora non mi ha visto.
Una parte di me vorrebbe andarsene, non so se riuscirò a reggere questo confronto, ma ormai era tardi; mi alzai e gli feci un segno con la mano. Quando mi vide corresse il passo e venne verso di me. Non distaccai mai l'occhio dalla sua figura: così piccolo all'inizio, s'ingrandiva sempre di più. Quasi senza accorgermene c'è l'avevo di fronte.
-Ciao-, cercai di cominciare col piede giusto. -Sono felice che tu sia venuto-
I suoi occhi mi scrutavano in un modo che non mi piaceva per niente, aveva uno sguardo spiritato, sembrava quasi folle.
La giornata per lui doveva essere stata pesante. Cominciavo a pensare di aver sbagliato... No! Non posso tirarmi indietro proprio ora.
-Perché mi hai fatto venire qui?- Mi chiese senza altre cerimonie.
-Volevo conoscerti-
La sua faccia divenne un po' dubbiosa.
-Posso chiederti come facevi a sapere il mio numero di telefono?-
-Te l'ho detto. Volevo conoscerti; già da diverso tempo in realtà. Per il resto ho a disposizione tanti soldi. Quando si hanno tanti soldi e tanta volontà si può trovare chiunque. Avrei voluto farlo già da prima, ma...-
-Avevi paura?- Mi anticipò.
La sua voce era un po' più calma.
-Sediamoci per favore-
Mi diede retta, anche se un po' titubante. Una volta seduti sulla panchina eravamo l'uno fianco all'altra. Voltai la testa, cercai di reggere il suo sguardo.
-Senti. Con questo incontro non mi aspetto che tu mi perdoni per quanto è successo. Ma volevo solo dirti che...- Mio dio, non trovavo le parole. Devo lasciarmi andare, è il solo modo. -Ascolta... So che pensi che siamo cattivi, o malvagi, ma ti giuro che non è così... Io e mio fratello non abbiamo dimenticato, anzi siamo schiacciati da quanto è successo. Dick non dorme più, non ride più, anche io ogni volta che ci penso. Non...-
Sento le lacrime che mi sgorgano, penso alla notte dell'incidente, penso a lui che ho visto sempre distrutto dal dolore. Ora che mi è vicino, non riesco a non piangere, non riesco a smettere di piangere...
La sentivo piangere e singhiozzare, le fissai gli occhi gonfi e coperti di lacrime. Perché provo pena per lei? Non devo provare pena per lei. Se sta soffrendo è bene che soffra. Che strano: sentivo in me un sentimento di... Compassione nei suoi confronti! No! Lei e suo fratello hanno ucciso la mia unica famiglia, è sbagliato provare compassione.
Me ne devo andare.
-Ho perso solo tempo a venire qui- Dissi, alzandomi in piedi, le parole mi uscirono quasi senza pensarci. -Credevi che ti sarebbe bastato venire qui a fare la scenetta drammatica, e tutto si sarebbe risolto. Tu non hai perso tuo fratello, non hai cercato di fare giustizia senza riuscirci. Non azzardarti mai più ad avvicinarti a me!-
Le voltai le spalle e mi allontanai. La sentii urlare che non era stato facile per lei avvicinarsi a me, ma scacciai la sua voce, e tornai verso casa.
Tornato a casa, entrai e sbattei la porta alle mie spalle. Mi rimbombavano ancora le sue parole piagnucolanti nella testa. Per un po' non feci che girare a piedi per casa. Ma non riuscivo a liberarmi dalla sua dannatissima voce... Quel suo faccino triste, certamente non recitava... Cercai di non pensarci.
Passarono le ore, avevo appena finito di mangiare. Ormai era notte, eppure ancora pensavo a lei. La mia rabbia era svanita, e mi rendevo conto che forse ero stato troppo duro con lei. Voleva solo farmi sapere che le dispiaceva, ed io glielo avevo rigettato in faccia...
Ad un certo punto presi il cellulare, composi il numero del messaggio. Forse sto facendo una stupidaggine, ma voglio provare.
Dopo un paio di squilli, mi rispose, riconobbi la sua voce.
-Ciao- Mi salutò. Incredibile, dopo come l'avevo trattata.
-Ciao. Ti ho disturbato?-
-No, figurati. Cosa volevi?-
-Volevo scusarmi per come ti ho trattato oggi. Insomma, tu hai avuto un grande coraggio a venire da me, ma non sono nel mio stato migliore ultimamente... In ogni caso, ti ringrazio per esserti preoccupata-
-Scherzi! Non potevo mica dimenticarmi di tutto e andare avanti come se niente fosse. Volevo solo che sapessi quanto quello che è successo ci abbia segnato. L'ho dico a nome mio e di mio fratello. Se potessi tornare indietro nel tempo. Ti giuro che...-
Stava di nuovo singhiozzando: piangeva, doveva essere una ragazza emotivamente debole. Tutto il contrario del padre. Eppure, è stata l'unica ad avere il coraggio di ammettere quanto fosse grave quello che aveva fatto. Questa la si può chiamare responsabilità.
-Non è necessario piangere, ti credo. Senti se vuoi possiamo vederci domani, magari sempre al parco. Questa volta non t'impedirò di parlare-
-Sì, d'accordo. Facciamo domani mattina?- La sua voce era tornata normale, quasi.
-Perché no? Sempre alla solita panchina, però-
-D'accordo-, disse dopo un breve riso. Poi riattaccò. Anche per me, era ora di dormire. Quella ragazza, Silvia...
Questo incontro-scontro mi aveva fatto dimenticare quella visione, quella specie di Faccia Bianca. Meglio così.
Mi risvegliai il mattino dopo, mi sentivo un po' scombussolato. Dopo essermi fatto un caffè, accesi la televisione, cercando il telegiornale. C'era ancora un po' di tempo prima di andare da Silvia.
Vidi scorrere le notizie, sempre le stesse notizie, gente che muore per le cose più futili e lo Stato che non fa nulla...
Le varie stupidaggini dei politici, ed altre notizie di poco conto; talvolta mi chiedo se i notiziari informano, oppure sfottono. Ad un certo punto l'annunciatrice, dopo aver parlato di politica, passa alla pagina della cronaca, parlò di Callar. Alzai il volume: quella notte era successo qualcosa al figlio. Qualcosa di brutto, qualcuno lo aveva aggredito mentre rincasava. Qualcuno che lo aveva ridotto molto male. Il ragazzo era stato torturato e ferito in maniera insanabile. La pelle delle braccia, delle gambe, persino della faccia; gli era stata tagliuzzata con un coltello e poi strappata via, lasciando scoperti i muscoli. L'avevano trovato un'ora fa circa, era stato portato subito in ospedale, ed era... Morto.
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