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La scalinata
L'inconfondibile odore di salsedine mi impregnava le narici in quella calda notte di metà giugno. La brezza marina mitigava il clima e le stelle componevano sulla volta celeste uno splendido mosaico degno di un sontuoso palazzo dell'antica Roma. Alle mie spalle, il clamore della città sembrava attutito dalla florida vegetazione di arbusti e alberi da frutto che circondava la radura dove il mio corpo si trovava senza un come: ero lì e basta. Dinnanzi a me una scalinata di marmo bianco si avviava, serpeggiante, a salire una scoscesa collina che era preclusa ai miei occhi da una fitta coltre di nebbia che saliva come una colonna a raggiungere le stelle: non avevo idea di dove si trovasse la sommità di quell'altura.
Senza sapere perché, le mie gambe si misero in moto e iniziai a salire con passo incerto, uno dopo l'altro, i gradini che mi trovavo davanti. Mano a mano che salivo, riuscivo a fendere con gli occhi la nebbia, ma senza riuscire a scorgere con certezza niente, se non un numero imprecisato di scalini. Dopo averne saliti un po', mi trovai in un piccolo spiazzo, e davanti ai miei occhi si parò una scultura a forma di croce. Possedeva, nella sua semplicità, una tacita eleganza, come se in quel pezzo di pietra, alto poco più di me, fosse nascosto l'impenetrabile segreto di quell'inquietante e oscuro paesaggio. Non seppi mai esattamente perché ma l'aver visto quella scultura mi diede la forza per riprendere con vigore la scalata verso l'ignoto.
Continuai a salire per quelli che mi parvero millenni. A tratti la nebbia si diradava, e riuscivo a scorgere un poco più distante, ma solo per brevi attimi. Ad un certo punto, una figura umana mi venne incontro dalla direzione opposta. Era un uomo alto, i cui occhiali a mezzaluna e i capelli brizzolati conferivano un aspetto autoritario. Si rivolse a me con voce piatta, ma allo stesso tempo la violenza delle sue parole mi parve inequivocabile. Mi disse di scendere, di tornare da dov' ero venuto.
"Questo è un cammino difficile ragazzo, tornatene alla radura, prima che la fatica della scalata e gli ostacoli che troverai ti uccidano". Continuò il suo sermone per diversi minuti, ma ciò che mi colpì fu che non mi diede la minima indicazione di come affrontare la scalata; si limitò a stilare una lista di tutto ciò che avrei potuto incontrare, sottolineando più volte che quello, per lui, fu un cammino che sarebbe stato meglio non intraprendere. Stanco delle sue chiacchiere e per nulla spaventato, gli chiesi come mai lui stesse tornando indietro. La sua risposta fu semplice e diretta: "Vivere nella radura è molto più semplice."
Gli risposi che al mio passaggio la radura era deserta, e che la monotonia di quel luogo mi avrebbe ucciso prima o poi. Egli, sbalordito, mi diede del pazzo. Disse che era piena di gente che sicuramente avrebbe trovato al suo ritorno. Io, stanco del suo blaterare, senza nemmeno difendermi dalle sue accuse e incuriosito sempre di più da quello che avrei potuto trovare sulla scalinata, continuai a salire. Salii ancora e ancora, senza scorgere nuove figure o problemi di alcun tipo. Mi sentivo bene: salivo le scale a due a due, a tratti anche correndo. La nebbia, tuttavia, a volte ricominciava a raddensarsi: era l'unica cosa che rallentava il mio cammino. Piano piano, inoltre, la scalinata cominciò a diventare sempre più stretta, e questo fatto mi incuriosì e mi incutè timore allo stesso tempo. Quando raggiunse la larghezza di circa un metro, vidi me stesso riflesso in uno specchio che mi sbarrò il cammino. Ebbi paura. Come per magia, il mio riflesso iniziò a parlare: "Cosa pensi di fare -disse- non vedi che la scalinata è ripida e oscura? Non vedi ad un palmo dal naso, e non vedi la cima, potrebbe essere una salita inutile. Troverai degli ostacoli, e io sono il primo. Come pensi di superarmi, Io sono il primo nemico che sbarra il tuo cammino. Io sono te. Torna indietro, o potresti pentirtene."
Gli risposi audacemente. Dissi che io non avevo paure, né tanto meno mi ponevo limiti. Gli dissi che era mio desiderio arrivare in cima alla scalinata, e che non mi sarei di certo arreso di fronte a me stesso. Presi la rincorsa e mi lanciai contro lo specchio. Fu sorprendente: nel momento in cui impattai sulla sua superficie, mi resi conto che era incorporeo, e come per magia mi ritrovai dall'altra parte. Del mio alter-ego non c' era più traccia. La scalinata cominciò a riallargarsi, e io potei proseguire il mio percorso.
La salita si fece mano a mano sempre più ripida. Nonostante ciò, il mio umore era ottimo, dato che avevo dimostrato a me stesso di poter farcela senza nessun tipo di aiuto: ero solo, ma potevo farcela. Ad un certo punto, curioso di sapere quanta strada avessi percorso, mi guardai alle spalle: non c' era nebbia dietro di me., mentre continuava ad essere molta e densa sulla scala ancora da percorrere. Mi accorsi di essere ad un'altezza vertiginosa. Un brivido mi scese lungo la schiena, madida di sudore. Mi voltai verso la salita, per la prima volta pallido di terrore. L'improvvisa apparizione di un uomo mi fece sobbalzare. Aveva press' a poco la mia età, e aveva il viso tagliato da una smorfia di soddisfazione. Mi parlò felice: "Amico, hai anche tu intrapreso questo duro cammino? Siamo arrivati in alto, eh? Guarda che splendido panorama!" Aveva ragione: da lì si godeva di una splendida vista, con le luci della città ormai lontana a contrastare, in un gioco di luci e ombre di austera bellezza, le stelle del cielo. Per un attimo, fui tentato di assecondare quell'uomo e di rimanere lì con lui a godermi il paesaggio fino alla fine dei miei giorni.
Ma fu solo un attimo: mi pervase la voglia di scoprire cosa quella nebbia nascondeva, quante scale ci fossero ancora da salire e quali sorprese riservasse quello strano luogo. Respinsi con educazione il suo invito, e continuai a salire.
La stanchezza fu compensata dall'entusiasmo: ero convinto di essere in grado di arrivare in cima. Salivo, salivo, salivo, e mentre salivo riflettevo, ero convinto di poter compiere l'impresa e arrivare fino in cima. Ad un certo punto mi trovai davanti, in un piccolo piazzale a forma di cerchio, un uomo anziano, vestito con un costosissimo smoking e con eleganti mocassini ai piedi. I suoi capelli bianchi erano raccolti in boccoli degni di un dispotico monarca francese del diciottesimo secolo. Anche lui, vedendomi arrivare, sorrise. "Bravo ragazzo -disse- sei arrivato davvero in alto. Anche io tanto tempo fa intrapresi la scalata, ma qui mi fermai, e ora ti mostrerò il perché. Con l'indice della mano sinistra mi indicò un qualcosa alle sue spalle. Guardai, e rimasi sbalordito: una montagna d'oro e banconote. Mi avvicinai, le toccai, assaporai l'odore della filigrana.
"Sono anche tue, ora, quelle ricchezze" disse l'uomo. "Possiamo tornare in città e spenderle, proseguire il cammino è inutile, questi soldi ci basteranno per condurre una vita di estremo lusso. Tutti ci invidieranno, vorranno essere come noi, stare in nostra compagnia. Non proseguire la scalata, hai già tutto quello che ti serve." Fui tentato, ma per godere di quelle ricchezze avrei dovuto rinunciare alla scalata. Alla fine, decisi che non mi importava più di tanto del denaro. Non mi volli arrendere. Decisi di arrivare in cima ad ogni costo.
Declinai l'offerta dell'uomo e proseguii.
Le mie gambe erano stremate. Durante la scalata avevo incontrato molti ostacoli, ma quella stanchezza fu il più duro da affrontare. I miei muscoli erano impregnati di acido lattico, e il mio cuore pulsava forsennatamente. Cominciò a pervadermi il terrore di non farcela. Questo pensiero mi pugnalò le tempie. Mentre queste paure mi costernavano, incontrai l'ultimo, terribile ostacolo. Al lato della scalinata vidi un sontuoso letto a baldacchino, sui cui cuscini si trovava, supina, una bellissima donna il cui corpo era avvolto da una vestaglia da notte di lino con ricami di pura seta. Mi guardò, e quegli occhi scuri mi sedussero in un istante. Con la punta del dito indice fece cenno di avvicinarmi; io lo feci senza alcun indugio. Appoggiai il mio corpo a fianco al suo, e di nuovo sussurrò, con un tono da amante: "Resta con me... sei arrivato fin qui, sei un uomo eccezionale, e io sarò tua per sempre." Detto questo, posò le sue labbra sulle mie, con una delicatezza e un candore che mai avevo sperimentato. Mi lasciai cullare da quella visione per attimi che mi parvero eterni. Ma ancora una volta, come la luce che sgorga all'orizzonte dopo il buio, la tentazione della donna fu vinta dalla voglia di raggiungere la cima. Quella volta non fui cortese, la spinsi lontana dal mio corpo con un gesto violento, scesi dal letto con un balzo e ripresi con ardore e convinzione la scalata verso il mio destino.
Ero esaltato: non sentivo più fatica, ogni passo voleva dire essere più vicini alla meta. La scalinata diventò meno ripida e più larga e ad un certo punto, come per magia, la nebbia svanì. Quello che vidi fu spettacolare: un gran numero di persone ai lati della scalinata di marmo incoraggiava il mio cammino, con urla e applausi. Fu un tripudio di emozioni. Arrivai in una piazza gigantesca, e riconobbi, nella folla, grandi personalità del passato: Seneca, Aristotele, Dante, Napoleone Bonaparte, Lorenzo De Medici, Charles Baudelaire, Virgilio, Giulio Cesare e Galileo galilei sono solo alcuni dei volti più noti che si congratularono con me. La salita mi era costata sudore, fatica e rinunce. Il mio nome sarebbe stato ricordato nei secoli dei secoli, ma quando la mattina dopo mi svegliai nel mio letto, senza alcuna bella donna, senza denaro e con un futuro tutto da costruire, mi chiesi se ne fosse valsa la pena.
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- Dimenticavo, un bel racconto scritto bene.
- Forse oggi l'unica cosa per cui vale la pena è sognare perche al di la dei sogni ci sono poche verità. continua a sognare. ciao. Salvo
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