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Jack dà passaggi agli sconosciuti
Non sapeva il suo nome, ne l'età, ne tanto meno la nazionalità, ma su una cosa era più che certo: quella merdosa troia senza denti cavalcava come se avesse venti anni di meno.
Lui la incontrava, o meglio, caricava sul tratto di strada che collega Roccapena a Fonte, quel tratto di strada lungo circa due kilometri della zona industriale di Roccapena, dove a tutte le ore ( o quasi ) ci trovavi di tutto: dalle ventenni da urlo ai trans con la barba.
Daniele Fesi, che al suo paese, e in fabbrica veniva chiamato jack ( jack stava per jack lo squartatore, per via della brutalità e la forza di Daniele quando faceva a cazzotti con qualche malcapitato) non era un tipo molto esigente, del resto, stava sulla quarantina, cominciava a perdere qualche capello ( la calvizia era una dote di famiglia ereditata di padre in figlio nel corso delle generazioni) e cominciava a mostrare peli bianchi sulla barba, rughe, e una pancia non indifferente. D'altro canto, le donne che frequentava Daniele, erano altrettanto prive di pretese, visto che erano tutte donne che per fartele dovevi pagarle.
La rumena che si caricava due o tre volte al mese ''lavorava'' a un centinaio di metri dalla fabbrica dove jack lavorava ed era mezza sdentata perché probabilmente era una tossica. Non che fosse una brutta donna, anzi, se lei e Jack si fossero conosciuti in qualsiasi altra circostanza lei non ci sarebbe andata nemmeno se fosse stato l'ultimissimo uomo sulla terra e non tanto perché fosse brutto, ma quanto perché era un vero e proprio animale. Era un uomo nerboruto e massiccio, con la forza tipica di chi lavora con le mani e la forza delle braccia, e a volte era violento, molto.
Quella sera di Ottobre dopo aver soddisfatto i suoi bisogni con la prostituta, verso le undici di sera, dopo il turno pomeridiano, ripartì per tornare a Roccapena per farsi un paio di birre, forse uno spinello e forse, se ne aveva voglia, dare una bottarella anche a sua moglie ( già, aveva una moglie).
Finito il tratto di strada della zona industriale, che si ricollegava alla superstrada, Jack accostò il veicolo, una fiat tipo del 1998, duecento metri prima dell'entrata in una stazione di servizio e autogrill. C'era un'autostoppista.
Il tipo saltò su, maschio, caucasico, una venticinquina di anni, scapigliato, puzzolente, sdentato e scavato in faccia. Un poco di buono. Andava anche lui a Roccapena, benché Daniele non lo avesse mai visto prima ad ora, e Roccapena aveva solo duemila abitanti, era ancora più piccolo di Fonte.
Lo strano ragazzo parlava di cose senza senso, farfugliava e a volte rimaneva a fissare Daniele.
Le cose si misero male quando il ragazzo cominciò a proporgli favori sessuali in cambio di qualche soldo, per comprarsi la droga, e dopodiché sarebbe anche potuto scendere al primo autogrill che incontravano.
Il tossico si avvicinò a Jack, si avvicinò troppo, urlandogli in faccia con quell'alito pestilenziale, che doveva farsi subito e che glielo avrebbe succhiato subito per venti euro, Daniele accostò la macchina in un piccolo spiazzo e gli disse di andarsene subito, altrimenti lo avrebbe massacrato.
Il tizio tirò fuori una pistola.
<< Dammi subito qualcosa, anzi, lo sai ora che facciamo, pezzo di merda? ora ti sparo in faccia e me ne vado con la tua macchina, con i vetri impiastrati del tuo cervello.>> gli disse il delinquente.
Daniele, detto Jack, Jack lo squartatore, Jack the animal, Jack il pazzo, e cosi via, sospirò, con aria rassegnata, si girò verso il malvivente e sussurrò :<< tu non ci proprio volevi stasera, non ho spazio ne tempo per te stasera, mi stai rovinando tutto il programma.>>
<< Scendi subito dalla macchina!>> sbottò il ragazzo. Jack sospirò di nuovo e scese, con le mani dietro la nuca.
<< Adesso tu ti metti in ginocchio e io ti ammazzo, lo sai si? >> gli disse il tossico con un sorriso sprezzante sulla boccaccia tumefatta.
<< Oook ragazzo, tutto quello che vuoi, ma calmati adesso>>, gli disse Jack e fece per inginocchiarsi quando si sentì un rumore da dietro il portabagagli, un rumore ovattato, un sibilo, un verso.
Nell'istante in cui l'autostoppista si girò istintivamente per vedere cos'era Daniele, con una velocità ammirevole per la sua età, scattò verso di lui, tirò fuori un coltellino a serramanico e glielo infilò in un ginocchio. Il tossico urlò di dolore e sorpresa e cadde rovinosamente a terra, premendo il grilletto della pistola, che era scarica.
<<AAAhhhhhhrghhh>> ora l'autostoppista urlava di dolore, mentre Daniele gli rigirava la lama nel ginocchio, guardandolo negli occhi. << Te l'avevo detto, che stasera non era proprio aria, ragazzo>> disse Daniele, con tono di chi sa di avere assolutamente ragione su qualcosa.
Il tossico urlava di dolore, urlava fortissimo e Daniele lo colpì in faccia, talmente forte che si sentì quasi un crack. L'autostoppista svenne. In quei cinque minuti che successe tutto questo, non passò nemmeno una macchina.
L'uomo, andò verso lo sportello del passeggero, apri il bauletto, e tirò fuori del nastro isolante. Lo avvolse intorno alla bocca del tossico, e poi gli legò i polsi con del fil di ferro che teneva nel portabagagli, lo prese per i capelli unti, lo trascinò sulla breccia di quello spiazzo, aprì il portabagagli, prese il ragazzo, e lo mise dentro.
A fargli compagnia, lì dietro, c'era già qualcuno.
Arrivato finalmente a casa, Daniele li portò tutti e due in cantina.
La cantina era al pianoterra, e le pareti erano ovattate con confezioni delle uova, come nelle sale dove si suona.
Seduti, uno di fianco all'altro, imbavagliati col nastro isolante, con le mani legate con il fil di ferro dietro lo schienale della sedia c'erano l'autostoppista, che cominciava a riprendere i sensi, e la prostituta.
La prostituta, con il trucco sbavato, colato, le lacrime, i lividi in faccia, il sangue, gli occhi gonfi e neri, cominciava anche lei a riprendere conoscenza. Per velocizzare il tutto Jack le diede uno schiaffo, lo diede a entrambi.
Lei trasalì, e con lo sguardo ancora perso e assonnato, guardò prima Daniele, e poi dietro di lui, e cominciò a urlare a pieni polmoni.
L'uomo stava indossando un grembiule da macellaio e si era messo una maschera, una maschera un po' troppo vera, anzi, a dirla tutta, era la faccia di una donna, cucita a mo' di maschera e indossata e dietro di lui, su un bancone di ferro, il cadavere fatto a pezzi di una donna.
Intanto anche il tossico aveva messo a fuoco la situazione e probabilmente mentre urlava non si era nemmeno accorto che Daniele stava accendendo il frullino. Fece tutto in silenzio, quasi fosse una meditazione, un rilassamento, li fece a pezzi, ma non prima di averli levigati per bene con i lati ruvidi del disco del frullino, un disco da sgrosso, per levigare il ferro.
Finito tutto, pulì, chiuse la luce, sali le scale, bevve una birra, vide un po' di tv, dopodiché salì in camera da letto, dove lo aspettava la moglie ( o almeno ciò che rimaneva di lei) si mise a letto, bacio', tocco' il suo cadavere e sussurrò: << che giornataccia >>.
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