La Schiava.
La mia signora, che il Signore l'abbia in gloria, trascurava sé stessa, per darmi tutto. Della sua abnegazione, me ne resi conto in una triste giornata di novembre, allorché, dopo la zuppetta mattutina, che mi preparava con amore, la vidi accasciarsi sul divano. Inutili i miei appelli e inutile la corsa all'ospedale. Se n'era andata per sempre, a causa di un volgare insulto cardiaco. Mi sarebbe mancata tanto... la zuppetta di latte, orzo e fette biscottate. Il solito via vai di queste circostanze, belle parole di conforto e qualche pranzo consolatorio.
Al di là delle facili battute sulle condoglianze o congratulazioni che spettano al coniuge superstite, va detto che, quando s'invecchia, la moglie è una gran bella cosa che serve e ne necessitiamo più di quanto si possa, immaginare. Di necessità si fa virtù e così mi ritrovai impegnato a cercare di risolvere affanni e pene che ogni giorno sa come fare per regalarci. Non ve ne dico e non ve ne conto di quanto e di cosa, le donne, siano capaci.
Volevano me al loro servizio e volevano anche tutelarsi, economicamente, a mie spese. È mala cosa essere uomini ed è mala cosa essere vedovi... ad una certa età. Se non fosse stato per il Magrebino Faraouc, starei ancora navigando tra flutti di guai grossi. "Dottore, voi avete bisogno di una schiava colta, giovane ed intelligente e se volete, ve ne procurerò una che è un vero affare". "Signor Farouc, non dica sciocchezze e poi quanto dovrei spendere?" "Dottore, la mia mediazione è di duemila euro e per il resto, siete voi a comprare la ragazza". "D'accordo, accompagnatela qui, domenica alle dieci". "D'accordo, domenica, Selimèna verrà ad incontrarvi".
La domenica mattina, come da copione scritto, sbarbato e rimesso a nuovo, studiavo le fattezze di una splendida donna e le sue sinuose forme, celate da un leggero vestitino. Riempiti gli occhi da tutto quel ben di Dio, mi accinsi a tempestarla di domande. Non me ne diede modo.
"Signore, sono maggiorenne e laureata in psicologia e scienze politiche alla Federico Secondo. Cerco lavoro e sono disponibile ad essere la vostra schiava per undici mesi all'anno, qualora accettaste, sarò fedele alla vostra casa e farò di tutto per non dispiacervi. In cambio, voi verserete sessantamila euro annui a favore della mia famiglia, che si trova ad Alessandria".
Ero imbambolato, vuoi per le dolci collinette che sapevano di buono, vuoi per la freschezza che emanava e vuoi anche per la situazione surreale che andava delineandosi. "Mia schiava? Non credo che lei, signorina, conosca questo termine e..."... Il termine lo conosceva bene e meglio della Britannica... Mi spiegò l'evoluzione della schiavitù e il suo sintetizzarsi tanto nel salario, quanto nel matrimonio, anche se non in assoluto.
"Signorina, con la cultura e con la bellezza che le sono proprie, lei può aspirare a traguardi importanti e a ruoli di primo piano nella società contemporanea, un vero peccato mercificare il suo intelletto e la sua persona in cambio di una cifra importante, ma poi... non così decisiva, da cambiarle per sempre la vita". "Quella cifra non sarà decisiva per lei, ma per noi che non abbiamo primavera che tenga, sessantamila euro sono un sogno da tradurre in elettrodomestici, acqua, riscaldamento, abitazione, studi e quant'altro." "Perdonami, Selimèna, ma la dignità dell'essere umano passa attraverso il lavoro e...". "Non è vero, signore, e poi per noi senza primavera c'è solo la prospettiva dello sfruttamento selvaggio e degli abusi sanciti dal diritto dei più forti".
La filippica mi stava sbrindellando, ma ritrovai il sangue freddo e le ragioni della nostra civiltà. "Selimèna, sei sempre disponibile ad essere mia schiava?"
"Sì, signore." "Benissimo, ma se non impari a prepararmi bene la zuppetta mattutina, ti restituisco senza indugi la tua libertà." "D'accordo, padrone".