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Buio
Non sapeva se fuori fosse giorno o notte.
Non sapeva che giorno fosse, non sapeva da quanto tempo era là, con i piedi e le mani legate da una corda robusta, steso su quel pavimento dimesso e ruvido.
Cosa certa era che in quelle condizioni ci era da troppo tempo perchè aveva la gola riarsa dalla folle sete e sentiva il forte dolore all'ossatura delle mascelle inattive da troppo.
I calci nello stomaco che gli avevano dato i suoi aguzzini, lo avevano spinto a vomitare più volte, e lui non sapeva cosa vomitava, ma aveva avveritito il sapore caldo e amaro del suo sangue.
La benda gli copriva gli occhi gli stringeva la testa dolorante. Nessun raggio di luce la trapassava e questo lasciava presagire che la stanza fosse immersa nell'oscurità più densa.
I suoi persecutori non avevano volto, nè nomi.
L'avevano assalito da dietro, l'avevano caricato su un camion e l'avevano colpito e lui aveva subito perso i sensi.
Quando si era risvegliato, non sapeva quanto tempo fosse passato di preciso, si era ritrovato lì, così legato.
Non sapeva nulla, dunque. Non immaginava neanche perchè lui era una persona tranquilla che, a vederlo, non sembrerebbe stato capace di uccidere una mosca fastidiosa.
Non aveva mai dato torti nè tantomeno si era sognato di commettere angherie e soprusi.
E ora era lì, inerme, allo stremo, che non ce la faceva più a gridare, e aveva le labbra rotte e gli occhi gonfi al di sotto della benda.
Tutto era buio, un buio doloroso e lancinate, e il tempo era fermo e sembrava che mai più sarebbe ripartito.
Sentì un rumore poco distante. Forse, l'aveva sognato, forse stava dormendo, forse era morto, non se ne era accorto. Era morto e quello era il buio della sua bara.
Era questa la morte, allora? E il paradiso, l'inferno, dov'è che sono?
Il rumore si ripetè, e pensò che forse era ancora vivo.
Ci fu ancora, e allora si disse che, per ora, era ancora in vita.
ci furono dei passi in avvicinamento, e venne assalito dal terrore.
Riconobbe in quei passi quelli del suo aguzzino. Forse non era uno, erano in due. O forse in tanti, tantissimi, una legione infernale che era venuta lì per ucciderlo e trasportarlo via, con loro, nel più profondo e disperato degli abissi.
I passi risuonarono attorno a lui.
Lui si raggomitolò.
"Ti prego." Biascicò, vincendo il dolore al volto " Liberami."
Si udì un risolino.
Qualcosa gli punse il braccio, senti un liquido entrargli in corpo, il buio lo fu ancor di più e tutto girò.
Aprì gli occhi.
La stoffa gli solleticò gli occhi pesanti.
Un altra volta gli tornò il dubbio.
Vivo o morto?
Non sentiva gli arti, il cuore in petto, non sentiva più i dolori nè la fame.
Il Dolore sarà l'unico modo per sapere che sei vivo.
Una strana frase gli tornò in mente, forse era un morto e quella era la voce di un demone che gli sbilava nell'orecchio.
Allora strisciò e le ossa gli fecero male, dovevano essere tutte rotte, distrutte, ridotte a brandelli.
Ma lui voleva qualcosa di più concreto, ormai lo sapeva, era vivo, ma quello non gli serviva per non impazzire.
Con grande sforzo, si mise a sedere. Gemette.
Si spostò fino a trovare la parete, la seguì, arrivò all'angolo e comincio a strusciare la corda che gli stringeva le mani.
Ancorà più forte, e la corda si ruppe, tornò ad avere le mani libere.
Si sciolse la benda, sbattè più volte gli occhi, come previsto era tutto buio.
S'intravedevano appena le pareti rotte di quella sua prigione. Si guardò le mani, le toccò.
Due enormi segni rossi erano incisi nella carne, erano putride e nere, sporche di sangue e con le unghie rotte.
Si sbrigò a sciogliere anche i piedi e vaccillando, si alzò in piedi.
Fece qualche passo e la gioia di sentirsi libero nei movimenti gli fece salire alla gola la voglia di urlare, ma si trattenne, per paura che gli aguzzini potessero sentirlo;
Cominciò a correre in tondo e cadde più volte che i muscoli non avevano abbastanza forza per reggerne il peso.
Si guardò attorno e notò che non c'era niente che potesse permettergli la fuga, apparte la porta, rigorosamente bloccata.
Allora la disperazione gli tornò a pesare sul cuore. Si lanciò contro il muro, più volte, voleva spaccarsi e morire, stava impazzendo, la morte era più facile di tutto quel buio, era l'unica via di uscita, era l'unica... si, era l'unica luce in quelle tenebre.
Si rigettò ancora, come un mulo impazzito, e il naso gli prese a sanguinare.
Notò un vaso di ceramica. Lo prese e, con quanta forza avesse nelle braccia, lo gettò a terra e quello si ridusse in tanti pezzettini taglienti.
Si sedè per terra, si alzò le maniche della maglietta putrida e si guardò la pelle bianca, piena di graffi. Al di sotto s'intravedevano le vene blu, gonfie.
Non aveva scelta.
Prese un pezzo del vaso, quello che gli sembrava più tagliente, e si tagliò.
Il primo solco fu leggero perchè ancora gli dispiaceva di dover lasciare la vita in quella fottutissima oscurità.
E poi più forte, a fondo, e il sangue era molto, e le vene si aprivano e riversavano il contenuto.
Il cuore martellava, e lui continuava, sulle braccia, e sul petto, in faccia.
Poi il sangue non potè più uscire, che era finito, e lui cadde a terra.
Quell'oscurità si era preso la sua vita.
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