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E perché no?
Dio, quanto lo amavo quel ragazzo! Amavo quella sua aria di pensatore tenero.
Quella delicatezza nei gesti e nelle parole mi illanguidivano, eccitandomi al contempo la fantasia.
Sono un'inguaribile entusiasta, sanguigna, sempre pronta allo scontro, un modo come un altro per nascondere la mia fragilità, le mie paure ma lui mi rendeva forte e sfrontata.
Lui, con quella sua perenne inadeguatezza, era riuscito a rompere il guscio spinoso di terrore, entro cui si celava la mia sessualità curiosa, sfrenata e bizzarra.
In quel tempo lavoravamo per il censimento, un lavoretto per ragazzi.
Ci avevano dato due quartieri limitrofi, dal momento che eravamo una coppietta di buffi bimbetti.
Lui serio e composto era per me un punto fermo, un'ancora di salvezza in quello strano tempo di fine adolescenza.
Al suo fianco mi sentivo euforica e sicura, tanto da sfoderare comportamenti a volte sfrenati.
Come cominciammo a girare per palazzi, ogni volta che arrivavamo all'ultimo piano, mi assaliva un'irresistibile voglia di fare l'amore, lì, in mezzo alle scale.
Una fantasia eccitante: la scomodità del posto, la paura di venire sorpresi, tutto concorreva a convincermi a tentare, solleticandomi il desiderio.
Mi trattenevo perché conoscevo il mio lui fin troppo bene, così educato e vergognoso.
Ma non ho retto a lungo e dopo una settimana, all'ennesima vista di quelle scale, esordii:
" Senti posso dirti una cosa? " sentivo un bruciore strano agli occhi e quasi distrattamente feci scivolare la lingua sulle labbra, che avvertivo leggermente riarse.
" Dimmi " rispose tranquillo e ignaro dei miei strani pensieri erotici.
" Facciamo l'amore in cima alle scale ti va? " quelle parole mi erano uscite come un siluro, trattenendo il fiato, mentre cercavo di leggere un consenso nel suo sguardo.
Figurati! Neanche a parlarne. Un mucchio di sacrosante ragioni, gettate a secchi, come acqua sul mio incendio erotico.
Un lampo d'odio attraversò il mio cervello, ma lo amavo troppo per odiarlo.
Tenace e volitiva confidai nella prima occasione, che si fosse presentata; decisa, vista l'esperienza, a non far più parlare l'intelletto ma bensì i sensi, gli odori, i suoni sottili, le mie fantasie erotiche.
Ci sono sempre le situazioni che cerchiamo, tutto sta nell'aspettare.
La situazione favorevole si ripresentò dopo nemmeno una settimana.
Era una giornata uggiosa, il cielo grigio ammantava la città in una nebbiolina lattea, che contribuiva a rendere l'aria ancora più fredda, con il suo carico di umidità.
Avevamo salito e sceso le scale di diversi palazzi e, dopo un frugale pasto all'osteria della strada, ci eravamo rimessi al lavoro, decisi a finire prima il giro di quella giornata.
Saranno state circa le tre e mezzo del pomeriggio. La pioggia picchiava sulle vetrate grigie e sporche dell'ultimo palazzo di quel giorno. Era un caseggiato di cinque piani se non ricordo male, su ogni pianerottolo si affacciavano quattro porte. Sembrava mezzo disabitato, in quanto a quell'ora la maggior parte dei condomini era ancora a lavoro.
La stanchezza e l'umidità accumulata nelle ossa ci faceva pesare le gambe.
In quel momento, giuro, non pensavo alla proposta indecente, che gli avevo fatto la settimana precedente e sicuramente non ci pensava neppure lui quando mi ha detto: " Uffa che palle oggi, con questa pioggia neanche una sigaretta si può fumare all'aperto, senti andiamoci a sedere all'ultimo piano, ci fermiamo una manciata di minuti, fumiamo e poi a limite ci rifacciamo un giro "
Non me lo feci dire due volte, una sigaretta ci voleva proprio!
A tutta prima fumammo seduti uno accanto all'altra in un silenzio carico di pensieri. Lo guardavo cercando di non farmi scorgere. Era un ragazzo piuttosto taciturno e cercavo di interpretare i suoi pensieri dalle sue espressioni. Poi, come una brezza improvvisa, mi sovvenne quella strana fantasia e senza tante inutili parole, partii lancia in resta, tanto tutt'al più poteva dirmi di no.
Mi avvicinai piano cercando la sua attenzione.
Quando si è giovani ogni lembo della nostra pelle sprizza una vitalità, una sensualità che il tempo consuma insieme con la levità dell'incarnato.
Ci perdemmo in un lungo e sconfinato bacio, la pioggia sembrava produrre un coinvolgente ticchettio, quasi fosse una colonna sonora studiata per l'occasione.
Perdersi vuol dire non avere più la percezione uggiosa della realtà.
Lo stordimento dell'eros mi fece staccare dalle sue labbra e, prima che la coscienza lo obbligasse ad un rigore noioso, ero già persa tra la sua carne.
Mi sentivo un'esploratrice di una fantastica foresta amazzonica.
Avvertivo un'eccitazione pruriginosa sul volto, come quella prodotta dagli arbusti e dal fogliame nel sottobosco umido, in cui la luce del giorno filtra a malapena.
Mi persi con la voluttà tutta infantile del gioco.
Mi persi con la perversa convinzione che il mio lui fosse quella poesia composta ed estatica, tipica della letteratura italiana tanto poco amata da me all'epoca, per quanto amata da lui.
Ero la violentatrice dei poeti trasognati, li vedevo rappresentati su quel volto amato.
Mi eccitava quel suo sgomento. Quella sua sprovveduta espressione mi faceva pensare ad una barca che, sotto la furia dei marosi, mollava a fatica le corde dell'ormeggio e io, tal quale al mare e ai venti, infierivo con la sferza del mio languore morbido..
Ci rivoltammo scomposti tra scalini e fredde mattonelle, ruvide pareti e balaustre d'appoggio.
Quella sottile adrenalina che mi aveva messo quell'idea stramba per la testa era la stessa, che mi faceva vedere il sole in un lampo d'acciaio e che mi faceva sentire una melodia nel rombo del tuono.
Ero andata e lui dietro a me, partiti in quel piccolo viaggio di luce alla ricerca sfrenata di quella meravigliosa sferzata di dopamina, unica vera droga, che usata bene non presenta controindicazioni.
Il palazzo sembrava scomparso nel suo silenzio, rotto soltanto dal rumore sottile della pioggia, nessuna porta, nessuna voce arrivava lassù, forse qualche lontano rumore, prodotto da televisori perennemente accesi nelle case di anziani soli.
Mentre riscendevamo per la scala, dopo che con cura avevamo raccolto tutte le nostre carte e ci eravamo sistemati alla meglio, ci siamo guardati negli occhi e lui con quel cipiglio da professorino in erba: " Ma guarda che mi hai fatto fare, pensa se veniva qualcuno, ma ti pare? Io! " non ce la faceva a rimanere serio, proprio non ce la faceva, poi figurati con me, che al settimo cielo ridevo come una matta..
Fuggimmo da quel palazzo a passo svelto, mano nella mano quasi correndo.
Per quel giorno il censimento finì lì su quel pianerottolo antistante la terrazza condominiale.
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l'autore silvia leuzzi ha riportato queste note sull'opera
Questo racconto fa sempre parte della serie dei Virtuosismi sulle note di... questo è sulle note di Duke Ellington... un esperimento
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