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Il casolare
§ I
V****a è un posto sperduto, distante dalle aree metropolitane e cittadine. Un luogo tra alte colline scoscese, popolato da poche migliaia d'anime e attanagliato dalla noia di una vita priva di sorprese.
Il 28 di luglio Marco e Mariagiovanna s'incontrarono prima con Luigi e poi con Rita. Si trattava di quattro giovani studenti universitari fuori sede e squattrinati, come tutti gli studenti universitari, così niente vacanze se non per ritornare a trovare i genitori anziani, al paese. Ma erano lieti di rivedersi e si incontravano tutti i giorni, a quell'ora. Sedevano all'aperto, ai tavolini dell'unico bar con i tavolini all'aperto e prendevano la limonata. Un piacere che era diventato un'abitudine ulteriore. Il 28 di luglio di quell'anno, cadde in un periodo di caldo torrido e poiché V****a dista dal mare centinaia di chilometri, l'unico ristoro era costituto dagli alberi e dalla loro ombra rinfrescante.
< Ragazzi, fa troppo caldo qui. Andiamo alla radura, dài > propose qualcuno.
< Sì, veramente, fa troppo caldo, andiamo. >
I quattro ragazzi lasciarono il bar della piazza e montarono sull'automobile di Marco, parcheggiata poco lontano. Dopo poco meno di un quarto d'ora, arrivarono in un luogo che erano soliti frequentare, per appartarsi a pomiciare o fumare, bere birra e chiacchierare all'ombra di alcuni alberi di noce dalle chiome ampie. Per arrivare alla radura, come erano soliti chiamare il posto, bisognava arrampicarsi per qualche chilometro su per un'erta che poi sboccava in un altipiano circondato da colline basse dalla vegetazione incolta. I ragazzi si diressero verso i grandi alberi di noce che li accolsero nella frescura. Sospirando di sollievo, si sistemarono e cominciarono a rollare e aprir lattine, sorridendo rinfrancati.
Non appena cominciarono a girare le cannette e le prime lattine furono schiacciate tra le mani, il tempo atmosferico cambiò bruscamente e severamente. D'improvviso il cielo, fino a un momento prima, terso e sgombro di nubi si coprì di cumuli scuri, molto rapidamente ed in assenza di vento che evidentemente, data la velocità dell'accadimento, spirava forte ad alta quota.
< Raga', ma non è che viene a piovere?>
< Ma no, c'era quel sole prima. Poi, hai visto mai...>
< Se non passa in fretta e continua ad ammassare nubi - disse Luigi - viene a piovere di sicuro.>
Mentre ragionavano così, iniziarono a cadere le prime gocce. I ragazzi si strinsero attorno agli alberi ma la pioggia aumentò celermente fino a diventare un vero e proprio diluvio.
< Santo cielo, ma che è? una di quelle bombe d'acqua?> fece Rita.
< ehi, corriamo, raggiungiamo la macchina> esortò Marco
< come facciamo? s'è fatto un fiume sul sentiero - rispose Luigi - ci vorrebbe una canoa o un copertone>
La pioggia caduta in poco tempo ma in enorme quantità, cominciava a scavare rivoli e l'erta, diventata una discesa ripida, andava sempre più trasformandosi in un ruscelletto.
< Andiamo in quel casolare di campagna diroccato - indicò Giovanna - sto tutta bagnata fradicia. Aiutoooooo.> e corse verso il casale abbandonato.
Gli altri la seguirono di corsa. Trovarono riparo sotto la tettoia scalcinata della cascina ma la pioggia battente non risparmiava quel patio fatiscente.
< Dài, prova ad aprire la porta> disse Giovanna rivolta a Marco e questi, con una spallata nemmeno troppo vigorosa, spalancò la porta d'ingresso.
Entrarono e videro una casa misera, dagli intonaci scrostati, priva di mobilio. La casa aveva due stanze al pian terreno, disposte ad angolo ed una sola stanza al primo piano più un ampio terrazzo. Un antico casale di campagna composto da due corpi rettangolari disposti uno accanto all'altro, con il lato minore di uno adiacente al lato maggiore dell'altro, a formare una sorta di elle dalla braccia uguali. Intanto, fuori tempestava.
< Raga' io mi spoglio - fece Rita - sto troppo bagnata e lo consiglio pure a voi, se no ci viene un accidenti>
< Sì > concordarono gli altri e si svestirono degli abiti zuppi.
Nell'altra stanza a piano terra c'era una porta che, presumibilmente, dava all'esterno e dopo un po', senza spini e senza birra, ispezionando, i ragazzi la trovarono.
Luigi l'aprì e urlò, facendo un salto all'indietro.
Marco s'affacciò all'uscio e mettendosi le mani nei capelli, esclamò ad alta voce:
< Madonna.>
Oltre la porta si poteva vedere una pianura estesa fino all'orizzonte, adorna di alberi disposti con estrema armonia, tutto sotto un cielo turchese privo di nuvole, nel quale splendeva un sole radioso. Intanto, le ragazze erano accorse e urlavano stupefatte dalla meraviglia.
< Che cos'è? Signore, ma come è possibile?>
< Ma è assurdo >
I ragazzi corsero da una stanza all'altra e da una porta all'altra decine e decine di volte, come forsennati. Aprivano la porta d'ingresso, tempestata dalla pioggia battente che non si attenuava, e si trovavano di fronte al fortunale inferocito che li aveva sorpresi. Poi correvano all'altra porta e rimanevano sconcertati dal paesaggio soleggiato oltre la soglia.
< Non è possibile. È impossibile. No?>
< Che razza di posto è questo?>
<Venite fuori, venite. È bellissimo - l'invitò Maria Giovanna che, superati i suoi timori, aveva varcato la soglia - Si sta d'incanto e non fa nemmeno quel caldo insopportabile. Venite a vedere.>
Gli altri la raggiunsero e rincuorati dalla disinvoltura dell'amica, oltrepassarono la soglia.
Fuori, era bellissimo. Tiepido, profumato. Il paesaggio era di una bellezza sognante ed il suolo era morbido ma compatto. Si avviarono verso un palmizio che ombreggiava più in là quando, d'un tratto, Rita si fermò:
< No, non ce la faccio - disse - No no, no so, non ce la faccio.> e ritornò correndo verso la casa.
< Anche io > le fece eco Giovannella e raggiunse l'amica.
Marco e Luigi si guardarono e fuggirono via anche loro.
< Mi sono sentito male, sai, Marco - disse Luigi, rivolto all'amico - cioè, un senso di oppressione, non so, una cosa addosso>
< Uguale, Luigi - rispose Marco - uguale. anche a me.>
Raggiunsero le ragazze nell'altra stanza e le trovarono alla porta ad osservare l'uragano che non dava segno di smettere.
< Ma dove siamo capitati?>
< Guarda, non ci posso pensare. Pazzesco>
< Io ho paura - scattò Giovanna - Davvero. Che diavolo di posto è questo.>
< Anch'io ho paura - le fece eco Rita - ma come ce ne andiamo?!>
< Già - disse Luigi - Dobbiamo aspettare per forza che smetta. Non riesco a crederci> concluse e si diresse alla porta dell'altra stanza, che era rimasta aperta e offriva lo stesso impagabile spettacolo.
< Chiudi, chiudi quella dannata porta. Quello è un altro mondo, non è da noi. Da noi non ci sono pianure così. Da noi è tutto scosceso di rocce e salti. Da noi non è così. Chiudi quella fottuta porta.>
Le ragazze gemevano e non si capacitavano sebbene sembrassero più disposte ad accettare la loro sorte ed attendere la fine del temporale.
< Si sa - diceva Rita - d'estate succede, dura un poco e passa. Adesso restiamo qui e aspettiamo >
< Certo - tagliò corto Marco - non possiamo far altro, almeno finché le condizioni restano queste.>
Le ragazze parvero quietarsi e Luigi fece cenno a Marco di seguirlo. Nell'altra stanza aveva scorto la scala che portava al piano superiore.
< Andiamo a dare un occhiata.>
Marco acconsentì con un gesto, e salirono le scale.
Trovarono una stanza uguale a quelle di sotto e un balcone che si apriva su un terrazzo.
< Andiamo fuori - disse Marco - vediamo che tempo fa.>
Facendosi coraggio a vicenda, i due aprirono le ante del balcone e uscirono in terrazza.
Non c'era niente, non si vedeva niente, nulla tranne una leggera nebbia giallina, lentamente in movimento, melliflua ed attraente, illuminata da una luce evanescente e seducente che ricordava la visione che si ha, da un aereo in volo, di un esteso banco di nubi, o dello spazio tra le linee parallele.
I ragazzi allibirono e si scoprirono assorti e sporti alla ringhiera benché attaccati ad essa con le mani in maniera così stretta che le loro nocche erano diventate bianche.
< Cazzo. Via di qui, via.>
In un balzo furono di nuovo nella casa
< Ma hai visto? Inconcepibile. Come è possibile?> fece uno
< Non lo so, proprio non lo so. Era uno spettacolo incredibile affascinante, molto attraente, troppo. Mi ci sarei tuffato, non lo so... > disse l'altro.
< Anche io. Mi sarei tuffato. Roba da matti. Sai, inizio ad aver paura sul serio. Ma dove siamo?>
< E chi lo sa?! Daì, cerchiamo di non andare in panico, con le ragazze che sono già in paranoia. Dobbiamo controllarci, lasciare perdere queste maledette porte e balconi, aspettare che il temporale passi, o che perlomeno si attenui.>
< Sì, scendiamo giù, ma non diciamo niente a loro, sono già troppo impressionate.>
Scesero e Rita domandò: < sopra che c'è, un altro mondo ancora? Perché, raga, quello di là, al sole, è un altro mondo, sicuro!>
< Chi lo sa - le rispose Luigi - Comunque, non c'è niente, sopra; è una soffitta. Molti ragni e forse qualche topo. Vuoi darci un'occhiata?>
< Figuriamoci - sbottò Giovanna - mi bastano i topi della soffitta di casa mia.>
Intanto, mentre parlavano, la pioggia cominciò a diminuire d'intensità, fino a diventare una pioggerella sottile ed affrontabile.
< Wow, ha smesso, dài, rivestiamoci e filiamo.>
< Sì. dove sono i vestiti> - chiese Marco
< Li ho messi fuori dalla porta al sole, ad asciugare > sorrise Rita
< Grande idea. Andiamo a prenderli e filiamo.>
Andarono tutti a ritirare gli abiti ormai asciutti da un pezzo e di nuovo si incantarono dinnanzi alla bellezza estatica della visione, al suo esatto equilibrio, alla sua perfezione insostenibile, ineffabile.
< Non vi incantate. Non vi incantate. I vestiti sono asciutti. Andiamo - disse Marco perentoriamente - e chiudete quella stupida porta>
Si vestirono e sebbene ormai non piovesse più, dovettero procedere con cautela, ma alla fine raggiunsero l'automobile di Marco. Salirono in macchina, ancora frastornati e in parte sotto shock. Marco avviò l'auto e abbandonarono il posto.
Si accorsero del tempo cronologico pochi minuti dopo, quando il giovane fu costretto ad accendere i fari anabbaglianti.
< ... Si sta facendo notte. Ma che ore sono?> chiese Luigi
< Accidenti - sbottò Rita meravigliata - ma sono quasi le nove. Le nove.>
< Assurdo. Assurdo. Incredibile. Abbiamo trascorso in quel casale di campagna diroccato, dieci ore. dieci ore. Come è possibile? avrei giurato che fossero passate due, al massimo tre ore, ma dieci...>
< Anche io. Cose da pazzi. davvero.>
Arrivarono in piazza che era ormai sera inoltrata e si lasciarono con il solito appuntamento per l'indomani.
< Oh, ragazzi, scappo, vado a casa. Sai che casino, adesso a casa. Sono uscita stamattina alle nove e non ho dato alcuna notizia. Mado', che rogna.> si lamentò, salutando, Maria Giovanna.
< Non me ne parlare - disse Rita, prima di andar via - non lo dire a me. Ci si vede domani e ne discutiamo. Sì, perché di questa cosa qua, ne riparliamo. Che fai, Luigi, ti fermi ancora?>
< No, vado a casa. sto morto - rispose il ragazzo - Ciao Marco>
< Ciao, ci vediamo domani - salutò Marco - vado a dormire pure io. Però domani ne dobbiamo parlare di questa storia, ne dobbiamo parlare bene.>
§ II
Il giorno seguente, i ragazzi si incontrarono, come di consueto, presso i tavolini all'aperto dell'unico bar del luogo con tavolini all'aperto. Arrivarono quasi simultaneamente Luigi, Rita, Marco e trovarono Maria Giovanna già seduta che sgranocchiava patatine fritte. Indossavano occhiali da sole e la loro andatura strascicata o lo stravaccarsi sulle poltroncine di rattan la diceva tutta su una notte trascorsa in bianco.
< Buongiorno>
< Oh, cia'>
<Buongiorno>
< che fai, Giovanna, mangi patatine fritte a quest'ora?>
< Sono nervosissima e esaurita. non ho dormito tutta la notte. Sempre quelle cavolo di immagini davanti agli occhi. La tempesta, la pianura soleggiata... Gesù. Che paura. Ma come era bello, incantato, coinvolgente e sconvolgente, meraviglioso. Ho avuto tanta paura.> ripose la ragazza, sgranocchiando le ultime patatine e togliendosi gli occhiali, mostrò un volto segnato da occhiaie profonde e occhi arrossati.
< Anche io non ho dormito tutta la notte> fece Rita, togliendo gli occhiali da sole, a sua volta e mostrando un volto nelle identiche condizione della amica.
< E chi ha dormito, stanotte. Vero Luigi?> disse Marco
< Macché, una nottataccia e una visione allucinata continua. Comunque le patatine fritte, a quest'ora, è eretico.> concluse Luigi rivolgendosi a Giovannella.
< Sì, sì. Ora so' finite e sto nervosa e poi c'era una macchinetta fotografica con sei pose. Bellino gadget e l'ho preso. Una iniziativa di Marino il fotografo. Le foto le devi sviluppare da lui.>
< E ti pareva...> esclamò qualcuno
< Comunque, qua stiamo a parlare d'altro invece che discutere di ieri - sbottò Marco - e stanotte ho ricordato qualcosa. Io, quel casale lì, non l'ho mai visto. Ho fatto mente locale, ci sono stato centinaia di volte alla radura e non ricordo di averlo visto. Mai.>
< Sai, Marco, ora che mi ci fai pensare, è vero. anche io non l'ho mai visto. Luigi, tu?>
< Non so dire, non mi ricordo. Non potrei giurare che c'era e nemmeno che non c'era.>
< Nooo, io l'ho visto, c'è sempre stato - aggiunse Mariagiovanna - mi pare, però non ricordo bene benissimo.>
< Sì, vabbe' - riprese Marco - io dico che l'unica è a andar a controllare>
< Sì - confermò Luigi - avevo pensato la stessa cosa. È l'unica.>
< Noooo, chi ci entra di nuovo in quel casolare, per amor d'iddio, ho paura io - si lamentò Giovanna - nemmeno per tutto l'oro del mondo.> concluse.
Rita la guardò con uno sguardo di divertita compassione e rispose:
< Nemmeno io ci rientrerei lì, ma andiamo solo a dare un'occhiata e ci leviamo il dubbio. Perch, é sai, anche a me pare che non ci fosse, prima. Però, non so, potrebbe anche essermi sfuggito. Andiamo a vedere.>
< Senza entrarci. Allora sì. > decretò l'altra ragazza.
Lasciarono il bar, raggiunsero l'automobile di Marco, montarono a bordo e si diressero verso la radura. Durante il tragitto non dissero una parola e una volta arrivati, scesero dalla macchina e iniziarono a salire per il sentiero che li avrebbe condotti al pianoro.
Arrivarono alla spianata dopo dieci minuti buoni di cammino e si diressero verso la vasta ombra dei noci dalle grandi chiome. Giunsero e si accorsero, senza troppa meraviglia, che il casolare diroccato, non c'era.
Si slanciarono all'unisono lungo la radura per raggiungere la balza sollevata dove il casale avrebbe dovuto trovarsi. Guadagnarono la breve collinetta e si fermarono di colpo, le bocche spalancate, i volti allungati dallo stupore.
Il casale non c'era ma sul terreno dove avrebbe dovuto essere, era perfettamente delineata la forma del casolare, completamente e fittamente ricoperta di fiori. Si poteva osservare la pianta dell'edificio, una ampia elle dalle braccia regolari, vasta più di cento metri quadrati, totalmente zeppa di fiori multicolori, di foggia composta, eleganti, graziosissimi; tutti della stessa altezza e con i lati della figura che li comprendeva, così esattamente delimitati da poter pensare fossero stai spigolati con un enorme flex ad alta precisione, o un laser.
I colori spaziavano in tutte le tinte e tutti i toni. Una profusione di colori primari e sfumature di rosa, d'arancio, fucsia, indaco, pervinca, uno spettacolo indescrivibile alla cui malia i ragazzi non seppero sottrarsi.
Il sortilegio lo infranse Luigi, esclamando:
< O signore degli eserciti, ma che robb'è questa?!>
< Bellissimo - saltò su Maria Giovanna - stupefacente, meraviglioso. Ho paura ma ci ballerei dentro.>
< Non osare entrare > l'ammonì Rita
< No, no. ho paura ma com'è bello! Ho troppa paura, stai tranquilla, non ci andrei, su quel tappeto fatato di fiori, nemmeno per tutto l'oro del mondo. Ma è meraviglioso.>
Esclamò Giovanna. Dopo qualche minuto di contemplazione assorta e stupefatta, i ragazzi
cominciarono a girare intorno a quell'emblema variopinto e geometricamente perfetto, profumato, finanche. Infatti, l'aroma che sprigionava da quegli innumerevoli fiori sembrava indurli in stato di ebbrezza, sebbene fossero sobri. Giravano intorno ai fiori stando sempre ben attenti a tenersi a debita distanza dai bordi, finché Maria Giovanna strillò:
< Le patatineeee...>
< Le patatine?>
< Sìììì, la macchina fotografica di Marino...>
< Sììì - rispose Marco comprendendo subito a cosa si riferisse l'amica - andiamo a prenderla.>
In men che non si dica i due scesero alla macchina, presero la piccola camera e ritornarono su. I ragazzi restati sulla balza, intanto, erano stati lì, fermi a contemplare la traccia del casolare inzeppata di fiori, senza scambiar parola.
Quando Giovanna e Marco ritornarono:
< Bene, abbiamo sei scatti soltanto. Usiamoli bene, mi raccomando> disse Rita.
< Luigi ha esperienza più di tutti, con la fotografia. Facciamole scattare a lui.>
< No, no.- rispose il ragazzo - dobbiamo fare foto buone, buone. Faremo così.> e espose il suo piano.
Si organizzarono e Giovanna, che era una biondina magra e leggera, a differenza di Rita che era più tonda e di carnagione e capelli bruni, montò sulle spalle di Marco, che era il più robusto dei ragazzi. Luigi e Rita sostenevano Maria Giovanna sulle spalle di Marco e la ragazza avrebbe scattato tre pose dall'alto, prima di passare la camera a Luigi. Un osservatore esterno avrebbe visto quattro ragazzi che si muovevano lentamente, di cui due, uno sulle spalle dell'altro e gli altri due, ai lati della piramide, con le braccia tese in alto per sorreggere l'equilibrio.
Dopo che i tre scatti furono effettuati, soddisfatti, sorridenti e silenziosi, presero a girare intorno ai fiori, per trovare le angolazioni migliori in funzione degli scatti che ancora rimanevano. Alla fine, anche le altre tre pose furono prese.
Si guardarono ridenti, contemplarono ancora la meraviglia senza dare in esclamazioni di stupore né altre agitazioni, attoniti e assorbiti dalla più che singolare visione, finché qualcuno disse:
< Occhei, è fatta. Andiamo, portiamo le foto a sviluppare e poi ne parliamo. Andiamo.>
Tutti si trovarono d'accordo senza parole, poiché il prodigio li aveva così pervasi da eliminare ogni altra struttura o sovrastruttura mentale. I processi logici usuali si erano arrestati di fronte all'inspiegabile e solo il silenzio poteva tentare di cercare un qualche senso. Raggiunsero la macchina rapidamente, salirono nella vetturetta e Rita esclamò interdetta.
< Ma, ma, il sole è tramontato. S'è fatta sera. Un'altra volta. Noooooo... e a casa chi li sente, mamma mia, un'altra volta, due giorni di fila. A casa sai che casino, sai che casino.> Piagnucolò la ragazza, contrariata e scossa.
< Sì - le fece eco Giovanna - pure stasera, anche da me saranno casini casinissimi. Però, quei fiori, quella figura esatta, che meraviglia, che profumo, che colori. Che paura - concluse - Però, bellissimo.>
I ragazzi si guardavano senza parole, spesso scuotendo il capo o esprimendo con gesti del volto le loro sensazioni di stupore e perplessità.
< Ferma - disse Rita - Marco, fermati da Marino, gli consegni la macchinetta fotografica e ce ne andiamo>
Il ragazzo accostò e Luigi, che gli era seduto accanto, scese, consegnò la camera omaggio, risalì in macchina e arrivarono alla piazza.
< Un'altra giornata memorabile - fece Marco - ma è meglio non dir niente, anche perché io mi ritiro, adesso. Devo pensarci un po' su. Come si dice, elaborare.>
< Anche io - aggiunse Luigi - anche se non credo che elaborare sarà sufficiente, comunque tocca capire, anche solo un po'.>
< Sì - condivise Marco - poi domani partirò di buon mattino coi i miei genitori. Si va al mare e torniamo domani l'altro.>
<Dopo questo poco, andare al mare è perfetto. Beato te - disse Giovannella - io me ne sto a casetta. Dopo i casinissimi di questi giorni è meglio che me ne stia buona. Mi riprenderò, perché mi sento uno straccio, a casa si calmano e elaborerò un po' anche io, immagino. Anche se so che piangerò d'estasi e di paura.> concluse ridacchiando.
< Rita ed io, si va fuori, per questo fine settimana. Elaboreremo anche noi, ovviamente.> Disse Luigi ammiccando a Rita che voltò il capo di scatto sollevando in alto un naso all'insù già di suo.
< Bravi piccioncini - sorrise Marco - Adesso però io devo scappare, mi aspettano a casa per cena. A lunedì, allora.> Montò in macchina e andò via. Insieme a lui, si ritirarono tutti, accomiatandosi.
< Ciao. Divertitevi, state bene.>
< Ciao, e ricordiamoci, lunedì pomeriggio, le foto sono pronte, ha detto Marino.>
§ III
Il primo di agosto fu una giornata con temperature in linea con la stagione, intorno ai trenta gradi. Come s'erano ripromessi, i ragazzi s'incontrarono, tra le nove e le dieci, al loro solito posto, ai tavolini all'aperto, dell'unico bar con tavolini all'aperto, del luogo.
Per ultimo arrivò Marco che subito fu apostrofato da Maria Giovanna:
< Ehi bello! bentornato. come stiamo abbronzati... >
< Dici pure scottato come un pollo. > Le rispose il ragazzo, sorridendo.
Si scambiarono i saluti anche con Luigi e Rita e prendendo posto, Marco aggiunse:
< Allora, avete elaborato?>
Tutti risero ma poi tornati seri, furono informati da Giovannella su alcune sue ricerche.
< Ragazzi non ho proprio idea di cose possa esserci capitato, comunque, ho scartabellato un po di qua e un po' di là tra i miei testi, ed ho trovato qualcosa sulla distorsione del tempo cronologico che abbiamo sperimentato>
Maria Giovanna studiava Filosofia e Storia delle Religioni, all'università cattolica di T*****o
<Sputa!> le fu ingiunto
< Bene. Questa distorsione percettiva è chiamata tempo escatologico. Cioè quando tre ore ti sembrano dieci ore o viceversa. San'Agostino, il Santo cattolico Dottore della Chiesa, Vescovo d'Ippona...>
< Lo sappiamo chi era sant'Agostino. Continua e arriva al nucleo.>
< Dài, zitto un po', lasciala dire.>
< Sant'Agostino - continuò rincuorata Mariagiovanna - fondò una parte della sua filosofia e della sua teologia proprio su questo, la percezione atemporale di dio, cioè svincolata dai criteri consueti di tempo. Ma il concetto affiora in epoche molte più remote, presso popolazioni primitive. Concepita la natura come insieme organico unitario, si configura, l'escatologia, nelle religioni 'primitive' quale rappresentazione di una realtà al di fuori del tempo. Questo spiega perché credenze escatologiche s'incontrino sia tra le popolazioni cosiddette 'primitive' sia presso le religioni superiori. È una specie di esperienza trascendente.> concluse Giovanna con tanto di occhi spalancati.
I ragazzi si guardarono assentendo col capo e Luigi disse:
< Ci può stare, anzi, ci può proprio stare. Un che di trascendente, in quello che ci è capito, c'è, indiscutibilmente e potrebbero esserci anche delle risultanze scientifiche.>
<Scientifiche, addirittura?> domandò Marco sempre più interessato.
<Sì - s'intromise Rita - Luigi ed io, elaborando, elaborando - e guardò l'amico di sottecchi ridacchiando - abbiamo ricordato qualcosa che studiammo e abbiamo trovato notizie davvero intriganti. Racconta, Luigi.> Concluse esortando l'amico che le restituì lo sguardo malizioso e cominciò:
< Voi sapete che Rita ed io studiamo Fisica e c'è una teoria, in fisica, che si chiama Teoria dei Ponti di Einstein-Rosen. L'abbiamo riguardata - sorrise -
Un ponte di Einstein-Rosen o cunicolo spazio-temporale, detto anche wormhole (in italiano letteralmente "buco di verme"), è una ipotetica caratteristica topologica dello spaziotempo che è essenzialmente una "scorciatoia" da un punto dell'universo a un altro, che permetterebbe di viaggiare tra di essi più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la distanza attraverso lo spazio normale. Il wormhole viene spesso detto galleria gravitazionale, mettendo in rilievo la dimensione gravitazionale strettamente interconnessa alle altre tre dimensioni: spazio e tempo... >
< Wow - saltò su Giovannella - uno Stargate, wow abbiamo attraversato uno Stargate o forse siamo stati nell'Arca e siamo redenti. Chi lo sa. Fantastico. E solo per noi. Terrificante.>
Rita la calmò dicendo: < Gio', dài, datti una regolata. sì, uno Stargate, come dici tu, o un tesseract, un'altra assurdità plausibile teorizzata da scienziati scellerati che ci starebbe pure, collimando la traccia dei fiori, con la traccia di un tesseract su un piano. Ma che uno Stargate o un tesseract possa essere a forma di casale diroccato, a due piani con terrazza e svanisca lasciando una traccia di fiori multicolori e odorosi di quella maniera, evvabbe' proprio non saprei. Quello che so, è che non so esattamente quello che abbiamo vissuto e che probabilmente mai riuscirò a saperlo.>
< Tutto questo - riprese Marco - un po' ci aiuta, ma trascendente o no, quell'esperienza è stata una testimonianza di potere grande e noi ne siamo stati i fruitori. Anche se resta, per me, ancora del tutto inspiegabile. Faccio fatica a pensare che, quando eravamo in quella bellissima pianura assolata, eravamo, effettivamente, fattualmente, in un altro mondo. sarà un mio limite, ma tant'è.>
< Già> fece Luigi < però qualcosa quadra, cioè, qualcosa in merito è stato contemplato, osservato quindi deve essere accaduto già, anche se resta incomprensibile fino in fondo.>
<Sì, però quell'esperienza trascendente bellissima, estasiante, una meraviglia inconcepibile, che incuteva tanta tanta paura - sorrise Giovanna - è stata per noi, indirizzata a noi, dedicata a noi. Ed è stato indescrivibilmente bello viverla, per me, paure, paranoie e panico inclusi.>
< È giusto, ha ragione la biondina. - disse Marco - Mi ritorna un mente qualcosa che lessi tempo fa a proposito di uno sciamano pellerossa, un indio yaqui che istruiva il suo discepolo ai protocolli della stregoneria, raccontandogli le Storie del Potere che allibivano il giovane neofita. - continuò Marco - Don Juan, questo era il nome, presumibilmente falso, dello stregone, rincuorava l'allievo, spiegandogli che, alcuni eventi extra ordinari, sono esperienze di potere solo per chi li vive. Per gli altri, sono storie. Solo storie.>
< Infatti - esclamò Rita - per questo voglio vedere le foto. Quelle foto saranno un conferma, una testimonianza così sapremo se, per noi, è stata una storia o cosa.>
< Un ricordo di un'esperienza indicibile.>
< Una possibilità.>
<Una percezione superiore.>
< Sì, giusto. Ma per ora, lasciamo perdere. Marino apre alle quattro nel pomeriggio. Vediamoci fuori dalla sua bottega, alle cinque.> concluse Marco. Accettarono tutti ed essendosi fatta ora di pranzo, pensarono bene di rientrare per tempo.
Alle diciassette del primo di agosto, i ragazzi si incontrarono fuori alle vetrine addobbate da foto di sposi, bambini e macchine fotografiche del negozio: Foto Marino. Mentre aspettavano che Luigi li raggiungesse, Mariagiovanna disse:
< Che cavolo di nome: Marino. Il mare ce lo sogniamo, in mezzo alle montagne, ma come lo chiami uno: Marino, qua?! - disse ridacchiando e indirizzando un
< Baciiii> a Luigi che arrivava e che salutandoli disse: <Ci siamo, avremo la nostra storia e la nostra testimonianza. Poi tenteremo di capire che cosa è accaduto.> L'asserzione fu accolta da un coro di <Giusto> e dal momento che il negozio era aperto già da qualche ora, i ragazzi ne guadagnarono l'ingresso.
< Ciao Mari'> < Marino> < Ciao> - salutarono
< Ciao ragazzi, tutto bene?> li salutò a sua volta, il fotografo.
< Tutto bene, sì. Allora, Marino, sono pronte le foto?>
< Certo - rispose l'uomo - ce le ho nel laboratorio di là, e sono venute pure bene, devo dire, pensando a quel giocattolo che le ha fatte.>
< Belle eh?!>
< Sì belle foto, nitide, ve l'ho già detto, considerando la macchina che le ha scattate. Solo che avete ripreso sempre lo stesso soggetto.> disse Marino, sorridendo rammaricato.
< Sì, rigorosamente sempre lo stesso soggetto.> gli rispose Marco.
< Sono foto eccezionali, non è vero?> domandò Rita
< Dici, Mari', sono stupefacenti, eh?> incalzò Giovanna.
< Straordinarie, ecco il termine. Sono straordinarie. Giusto Marino?> - aggiunse eccitato ed accaldato, Luigi.
< Va bene, adesso valle a prendere, vai. Poi ti raccontiamo.> lo esortò, Marco.
< Si ora vado, sto andando, vado. Ma dopo mi dovete spiegare, ragazzi - disse Marino mentre si avviava al retrobottega del negozio - che cosa avete trovato di così eccezionale, stupefacente e straordinario in un vecchio casolare di campagna diroccato.>
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- Ti ringrazio per l'apprezzamento, Ellebi.
Il disordine che hai notato, è stato voluto per rendere il contesto straordinario e di forte stress, chiaramente, al quale i protagonisti vanno incontro già all'inizio. L'appunto sul troppo 'urlare', è decisamente opportuno e ne approfitterò per trovare sinonimi e allegerire, del che te ne ringrazio di più.
- Forse un racconto fra il fantasy e la fantascienza, non saprei bene. Però l'idea mi pare buona e anche lo sviluppo della narrazione era buona; ho avuto l'impressione tuttavia, di un certo disordine compositivo, dovevano forse essere più accurati i dialoghi, e trovati alcuni termini alternativi ( urlo, tutti urlano soltanto in questo racconto) ma complessivamente si tratta di un bel racconto, e a me è piaciuto. Complimenti e saluti.
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