Narrate dalle cantilene femminili
e recitate ai bambini nelle lunghe serate invernali,
quella conoscenza,
inconsapevole atto di un unico accettato sapere,
diveniva per me, piccolo partecipante di un antico disegno,
ben più di una sequenza ritmata di suoni.
Era la melodia di un amore che srotolando la passione, il timore,
la paura che in essa ospitava, imbrigliava il mio essere,
ora invitandolo, ora atterrendolo.
Il sopraggiungere, poi, della controversa ed inquietante figura selvatica,
“l’Om Sarvaigru”,
abitante della regione Fragota,
forse un po’ ridicolizzato per sminuirne la portata aggressiva,
non taceva ancora lo spavento,
quando il percorrere accelerato dei miei passi sull’accidentato
e selvatico sentiero
della Strà Vegia d’an Ara,
o l’incedere del mio sguardo
sulle ciclopiche figure degli affreschi delle Chiese,
forse nel San Cristoforo,
temeva di incontrarne le tracce.