racconti » Racconti brevi » Una zolla per un sorriso
Una zolla per un sorriso
Davanti al fuoco ci siamo fermati stanchi morti e versatoci un bicchiere del nostro buon vino, in un momento che non può avere ricordi di tempo, i nostri occhi si sono incontrati e senza l'uso della parola abbiamo rivisto come un flash, i nostri ultimi cinque anni.
Diamine sono arrivato a festeggiare il mio trentasettesimo compleanno tra cipolle e galline starnazzanti. Come sono arrivato a questo punto della mia storia?
Mi chiamo Riccardo, sono laureato in Scienze Naturali, mi sono specializzato in botanica e zootecnia. Sempre zelante studioso fin da bambino, i miei genitori e ancor più i miei nonni vedevano un futuro per me sicuramente migliore del loro presente. Talmente migliore che appena laureato non ho potuto fare niente di meglio che andare a lavorare all'estero, con la scusa di perfezionare la lingua e di cambiare aria. La Francia, l'Inghilterra e la Germania, di sei mesi in sei mesi mi sono girato l'Europa e, in un ambizioso progetto FAO, sono arrivato perfino in Africa, in Nigeria e in Kenia. Di stabile nulla solo progetti faticosi e mal pagati.
Fin dall'epoca dell'università mi sono trasferito a casa dei miei nonni, che avevano un cascinale vicino Viterbo. Alternavo le lezioni e lo studio aiutando mio nonno nella cura della terra e soprattutto della vigna. Sembrava sua figlia quella vigna tanto ci dedicava tempo e lavoro, la schiena curva con la vanga pesante. Ricordo ancora la sensazione di fatica che provai la prima volta ad usare quegli attrezzi, quel ferro pieno e annerito da una ruggine tenuta insieme dal grasso umano. Le mani la sera erano dolenti e piene di piaghe, tanto da agognare i miei amati libri.
Non sono fatto per vivere lontano dalla mia terra, dai miei affetti familiari, così alla fine del secondo progetto FAO, dopo cinque anni da pellegrino, ho deciso di tornarmene a casa dei miei nonni.
Erano trascorsi più di dieci mesi dall'ultima volta che li avevo visti, Dio mio quanto erano invecchiati! Certo anch'io non ero più un ragazzino, nonostante dimostrassi meno della mia età, avevo raggiunto i miei trent'anni.
Un senso di completa frustrazione si era impossessata di me, mi sentivo un fallito, inutile dirvi che prospettive non ne avessi, nessuno le ha in questo paese. Di ripartire non avevo voglia, si stava così bene in quel cascinale, dalle cui finestre il mio sguardo si perdeva nelle valli verdi. I miei nonni, seppure anziani e con tanti problemini di salute, mi adoravano, ero, tra i loro sei nipoti, il preferito. Erano felici che fossi tornato da loro, si sentivano sicuramente protetti dalla mia presenza ma non mi chiedevano alcun aiuto; anzi, mia nonna in particolar modo, mi viziava cucinandomi ogni genere di manicaretto, felice di vedermi mangiare con gioia. Sono un ragazzo esuberante e spargo intorno a me l'allegria, sono un vulcano di idee, una valanga che non ti lascia indifferente.
Una mattina, svegliatomi di buon ora, incontrai mio nonno che finiva il suo caffellatte prima di andare sul campo. Lo guardavo muoversi per la cucina, i movimenti lenti come ad esprimere un dolore sottaciuto dalla bocca.
" Nonno "
" Dimmi figlio "
" Ma la terra la lavori da solo? "
" Viene ogni tanto un rumeno a darmi una mano ma ogni anno ho seminato meno terra. Ora sono in trattative per vendere tutto ed andarmene con la nonna a Viterbo città. Non ce la faccio più sono stufo, mi danno una discreta sommetta, pare vogliano costruire un centro residenziale "
" Vendere, NOOO!!!! Un centro residenziale, non se ne parla proprio nonno sei matto? "
" Non ce la faccio più e chi ci sta dietro a tutta sta terra tu, forse, dottorino? "
Aveva ragione, con che faccia dicevo a mio nonno di spaccarsi la schiena, solo perché io ero legato a questi luoghi, a questa casa.
Rimasi muto per qualche secondo poi d'impeto eruppi:
" Aspetta nonno vado a prepararmi e vengo con te "
" Lascia perdere altrimenti mi fai litigare con tua nonna, lo sai che non vuole, sei il suo orgoglio "
" Nonno non voglio che vendi tutto e non voglio continuare a girare per il mondo. Ti aiuto io e chissà che con la mia laurea non riesco a fare qualcosa di buono per davvero? "
Senza attendere una risposta filai di sopra a vestirmi, fui un lampo, ero emozionato.
Una giornata intera nei campi è un'esperienza di una durezza e di una esaltazione senza paragoni.
Vidi, tra quelle zolle, tanta della mia sapienza intellettuale liquefarsi di fronte alla saggezza millenaria, di quei movimenti lenti delle mani e dei piedi, ormai consunti da una disperata stanchezza, di mio nonno. Toccai, con il dolore della mia schiena, l'apice della gioia assoluta quando mangiai il primo pomodoro frutto della mia fatica.
Di questa nuova esperienza l'unica a non essere felice fu mia nonna:
" Insomma Riccardo se dovevi fare il contadino, tanto valeva che non studiassi " esordì con il volto rugoso corrucciato, mentre mi metteva sotto il naso una minestra di fagioli fumante, dal profumo accattivante.
" Nonna a parte che i miei studi di botanica non sono affatto incompatibili con l'attività della campagna. Poi la cultura serve a migliorare la persona e non sempre si può fare il lavoro per il quale si è studiato. Oggi non c'è un gran futuro in Italia per quelli come me. Preferisco la terra.." la guardavo e speravo che il mio volto le trasmettesse tutto il mio amore di nipote.
Povera nonna, una donna nata nella prima metà del novecento! Tutto quello in cui aveva creduto e per il quale aveva sofferto sembrava sgretolarsi davanti ai suoi e ai nostri occhi. Solo che i miei sono occhi privi di rughe e forti di vista, la mia povera nonna li ha stanchi e vagamente lacrimosi.
Non volevo che vendessero ma non avevano soldi per comprare una casa e certo non potevano accollarsi mutui. C'erano poche speranze, mia madre aveva i guai suoi non poteva aiutarmi, forse mio padre chissà...
Continuai a lavorare con mio nonno ma nutrivo un dolore sordo e una voglia di partorire un'idea buona, che non arrivava, come non arrivavano i soldi ma del resto da dove potevano arrivare?
Una sera mi recai ad un pub del borghetto dove conoscevo un po' di gente.
Fu lì che rividi Carlo e Marco, i miei ex compagni del liceo. Rimasi sconcertato perché l'ultima volta che li vidi eravamo a Roma:
" Ehi ragazzi come va? Qual buon vento vi porta fin qui? " ero veramente basito ma molto felice. Erano ospiti di un loro amico, che non c'era perché impegnato nel turno di notte all'ospedale.
Una birra ghiacciata e gradevole si presta ad un dialogare disteso. Ci raccontammo la nostra vita, i nostri fallimenti: sia di lavoro che di donne.
Carlo si era laureato in ingegneria meccanica e il lavoro per lui era in paesi lontani, che aveva raggiunto per brevi e lunghi periodi ma era angosciato perché non era fatto per la vita da nomade, così come avrebbe richiesto la sua professione e non sapeva che fare. Ci si mettevano pure le donne ad appesantire l'aria, ci raccontò di un paio di storie importanti finite male, apparentemente senza grandi motivi, una consunzione lenta di un sentimento rivelatosi un fuoco di paglia e nient'altro, che gli aveva lasciato solo un'amarezza sterile.
Marco, si era laureato in scienze ambientali. Subito dopo la laurea si era trasferito in Australia, dove aveva trovato lavoro come ricercatore. I primi quattro anni erano stati meravigliosi, dopo gli anni grigi dell'università, soldi, donne e tanti divertimenti, oltre alle innumerevoli soddisfazioni lavorative.
" Scusa ma che ti è successo? Perché sei ritornato in questo pantano? " esclamai in un impeto di sottile invidia
" Hai ragione che sono tornato a fare? Non ci crederai non ne potevo più, volevo ritornare alla mia vita. Come e perché non me lo spiegherò mai, senza cadere nella solita retorica. Non mi guardate così, lo so che ho fatto una fesseria! Pazienza voglio provare a lavorare a casa mia "
Non lo capivo fino in fondo ma non me ne fregava niente alla fine, contento lui!!!
Di fatto eravamo tre disoccupati, con tanta cultura, senza futuro.
Prima di decidere il patto per il nostro futuro, credo che ci saremo scolati almeno due litri di birra ciascuno. Forse fu proprio la sbronza ad offrirci l'illuminazione, per mettere fuori la testa dal fango.
L'idea mi era saltata in mente mentre ascoltavo le storie dei miei amici. Tutte simili le nostre vicende, solo pochi i fortunati, la cosa che mi consolava nell'ascoltarli era di non essere il solo a non voler emigrare. Possibile che bisogna fuggire da questo fottuto paese?
" Ragazzi io vorrei proporvi una cosa? " decisi di buttarla lì e snocciolai, con la voce leggermente impastata dalla birra, tutto il mio progetto di reperire soldi, per rilevare il cascinale e la terra di mio nonno. Il loro iniziale silenzio sembrò un bicchiere di acqua gelata sul viso in una sera di vento freddo.
Mi ero dimenticato quanto fossero riflessivi per natura. Le loro interrogazioni erano sempre state le più lunghe. Me lo ricordai solo quando finalmente Carlo cominciò a parlare: " Ricca' sai non mi sembra una brutta idea? Tu che dici Marcolì ? " Marco sembrava piuttosto pensieroso, gli occhi persi nell'ocra spumeggiante della birra, fece attendere la sua risposta, tergiversando con la scusa di recarsi in bagno. Rimasti soli esordii: " Forse a Marco non interessa " Carlo sembrava non ascoltarmi, era infatti entrata nel pub Carmela, una bella ragazza mora che portava il suo corpo da urlo, strizzato in abiti succinti ed esageratamente attillati. Era simpatica Carmela, aveva gusto a sbattere sotto il muso dei paesani quelle sue tette sfacciate, ad ancheggiare con quelle gonne cortissime lungo il corso principale. Le ero andato subito a genio, quando ci conoscemmo alla mensa dell'università. Non dava confidenza facilmente ai ragazzi. Si sentiva braccata e nascondeva le sue insicurezze dietro una sfacciataggine, maschera di un'emancipazione ancora tutta da costruire.
Carlo aveva visto con quale calore Carmela mi aveva salutato e illuminatisi gli occhi, aveva subito preso informazioni: " Ehi ma chi è quella? Una delle tue donne Riccà? Sei sempre stato il peggio..." Rimasi sconcertato ad ascoltarlo, non ci avevo mai pensato. Per me il rapporto con le donne non è mai stato un problema, le capisco dalle mosse impercettibili del loro viso e adoro quel leggero mistero dei loro occhi inquieti.
Marco interruppe il nostro discorso e con un entusiasmo inaspettato:
" Sapete che vi dico, Riccardo non hai detto una scemenza. Ho dei soldi da parte per l'anticipo, poi potreste prendere un prestito, magari i vostri vecchi possono fare da garanti no? "
Era fatta, ora non c'era altro che partire per questa nuova avventura.
Gettate le basi di un sodalizio, che era destinato a durare nel tempo, ci presentammo ai miei nonni per fare loro una proposta: " Cari nonni avremmo una proposta da fare, abbiamo deciso di comperare noi questo terreno e questo cascinale, alcuni soldi li abbiamo subito, gli altri vi chiediamo di aspettare un mese o due, vi prometto che li riusciremo a trovare "
Conoscevo i miei vecchi e soprattutto la nonna, la quale si tradì per prima alzandosi e venendo a baciarmi, con un trasporto che nessuna delle mie amanti ha mai avuto.
Senza che me ne accorgessi, la nonna mi aveva osservato mentre lavoravo insieme al nonno e quest'ultimo era così orgoglioso di vedere le mie braccia forti affondare la zappa nella terra, che impudica mi si concedeva vogliosa di essere seminata.
" Figlio io e tua nonna non vogliamo soldi, non vogliamo neppure andare via di qui. Questa casa è la nostra vita, ha visto nascere e crescere i nostri figli; ha visto morire i nostri genitori. " rimasi a bocca aperta ma non resistetti: "Ma come sembrava che non volevate più stare qui in campagna...! "
" Lo volevamo fare per te, tua nonna era convinta che avresti trovato, in città, un lavoro adatto alla tua cultura. " nonno parlava tenendo gli occhi rivolti a terra, mentre nonna mi dava le spalle, fingendosi assorta nella preparazione di un dolce.
" Ora visto che hai proprio deciso di intraprendere questo duro lavoro e hai pure coinvolto degli amici par tuoi, noi vorremmo continuare a vivere qui, possiamo esservi d'aiuto... " non lo feci finire, gli buttai le braccia al collo in preda ad una commozione, che mi levava il fiato.
Si ribaltarono gli orizzonti, avevamo la materia prima. Formammo una piccola cooperativa agricola, io avevo messo la quota capitale più cospicua, gli altri misero quel che avevano.
Partimmo come un treno, c'erano da fare numerosi lavori di ristrutturazione. Carlo, in quanto ingegnere, seppure specializzato in tutt'altro settore, assunse la direzione dei lavori e contattò un suo caro amico architetto e quello a sua volta coinvolse altri suoi amici. Ovviamente le spese erano talmente tante che ci ingegnammo nel reperire altri fondi. Le banche furono quelle meno disponibili con i loro cavilli. Allora forti del possesso di una struttura già esistente, ci buttammo a capo fitto a presentare progetti in sede di comunità europea e fondazioni. A qualcosa doveva pur servire la nostra cultura. Ricordo ancora la faccia dei nonni quando ci guardavano chiacchierare, con le scarpe ancora piene di terra, sempre con un occhio allo schermo di un computer. Strani contadini del duemila.
Trascorse più di un anno prima di vedere qualche frutto di tanto lavoro. Ci furono finanziati due progetti: uno riguardava il vino, visto che la vigna lavorata ne produceva uno di buona qualità; l'altro il recupero di specie da cortile in via d'estinzione.
Fummo i primi volti giovani su quelle terre ma non rimanemmo soli a lungo. La crisi del sistema economico occidentale fondato sul consumo sfrenato ed irrispettoso dell'ambiente, non lasciava tante scelte ad un ragazzo, se non voleva emigrare. Avevamo la terra come unico patrimonio. La terra abbandonata dalle nostre madri e dai nostri padri. Stavamo invertendo la rotta o almeno ci stavamo provando.
La sfida era quella di modernizzare la campagna, una grande sfida che ancora inseguiamo.
Insieme ad altri giovani agricoltori, formammo un consorzio per tutelare i nostri interessi.
Facemmo gioco di squadra nella produzione di alcuni prodotti quali l'olio, il vino e i formaggi.
Stavamo creando un indotto intorno alla terra, che produceva e che, malgrado le enormi difficoltà aveva riacceso un dimesso entusiasmo per il futuro.
I guadagni non erano e non sono dei più ambiti. Il rapporto forza lavoro, fatica e salario è decisamente sballato: fatica tanta, guadagno magro e soprattutto non sicuro.
La terra è viva, respira, soffre e gioisce insieme a noi, che facciamo parte di un tutto di cui non possiamo darci spiegazione, scienza a parte. Ritornare alla terra ha rappresentato per me un affondare le mani nelle profondità del tempo.
In tre anni la fattoria l'abbiamo tutta rimodernata. Gran parte del lavoro lo abbiamo fatto pressoché da soli, a turno si erano offerti amici, alcuni dei quali ci hanno fornito il loro prezioso contributo.
I miei nonni si ritrovarono circondati da ragazzi e ragazze, che piombavano dalla vicina capitale per trovare rifugio in questa vallata di silenzio.
A nonna tutto quel trambusto metteva allegria e si chiudeva in cucina a preparare dolci e succulenti piatti. L'inizio di questa avventura entusiasmò tutti quanti, nonni compresi. Serate di risate davanti al fuoco, innaffiate dal nostro vino genuino. Sorprendevo spesso mia nonna a guardarmi di sottecchi, magari seduta nel punto più lontano da dove mi trovavo. Sentivo il suo sguardo appiccicarmisi addosso e nonostante fingessi di rimanere indifferente, ero infastidito, al punto che una sera, arrivatole vicino: " Senti nonna mi dici perché ho sempre i tuoi occhi addosso? " ero furioso ma il rispetto verso mia nonna non mi avrebbe mai consentito di alzarle la voce. Lei per nulla turbata, alzato il viso mi puntò i suoi cerulei occhi, un tempo sicuramente brillanti e sensuali, e con una sicurezza, che non poté non spiazzarmi: " Figlio ti guardo è vero ma dimmi cos'altro dovrei guardare se non te. E poi voglio vedere quale è la tua ragazza, non ce ne hai ancora presentata una "
" Ma nonna sei forte..." l'abbracciai non potevo fare altro
Chiara l'ho conosciuta una sera di novembre in discoteca, oddio parlare di discoteca è dire una parola grossa, era un locale molto più simile alla vecchia balera, dove si suonava musica anni ottanta. Un ambiente simpatico dove ci si ritrovava con un po' di ragazzi per passare il fine settimana.
Era la prima volta che la vedevo, biondina non molto alta ma con un corpicino delizioso, per non parlare del viso, incorniciato da un caschetto sbarazzino. Come sono entrato, lei era seduta ad un tavolo a destra dell'ingresso e non so per quale alchimia gli occhi mi erano caduti proprio lì, lì sui suoi occhi verdi grandi e vivaci. Io non ho mai creduto al colpo di fulmine, l'ho sempre ritenuta un'invenzione della letteratura amorosa, sono piuttosto materialista e il mio concetto dell'amore è privo di fronzoli e di balocchi.
Quella sera tutte le mie convinzioni vennero meno. Il colpo di fulmine esiste eccome, lo posso affermare ed è difficile da gestire quando si è in compagnia di amici ed amiche, alcune delle quali hanno avuto con te un rapporto di amicizia, diciamo più approfondito.
In quel momento di tutti loro non me ne importava più niente e, approfittando di un pezzo degli Eurythmics, mi staccai dal gruppo con la scusa di ballare. In verità volevo girare per il locale per trovare l'occasione per rivolgerle la parola. Non mi sono posto il problema se fosse impegnata con qualcun altro ma non sembrava, in quanto sedeva ad un tavolo con quattro amiche.
La vita mi ha insegnato che bisogna tentare e io tento sempre.
Ha ragione Carlo quando dice che con le donne sono fortunato. Dopo aver ballato un po' mi sono diretto al bar, avevo bisogno di una birra. Mi sono seduto su uno sgabello e stavo sorseggiando quel liquido fresco e frizzante quando mi sentii urtare, con la coda dell'occhio la vidi era scivolata a terra. Allora, poggiato il bicchiere sul bancone: " Ehy, ehy che succede? Aspetta ti aiuto " oddio quanto era bella, per me era la più bella in assoluto.
" Accidenti, questo scalino non lo vedo mai e spesso cado, scusami sono distratta "
" Ma che dici. Piuttosto ti sei fatta male? " credo che gli occhi non mantenessero le stesse distanze delle parole, avevo il cuore a mille e volevo allacciare un discorso che non si esaurisse a pochi convenevoli.
" No, sono abituata " fece lei sorridendo, mentre si riaggiustava il maglioncino di lana bianca, che sembrava disegnarle un seno, la cui vista credo mi avrebbe mandato in estasi, ma cercai di non pensarci e mi concentrai sui suoi occhi azzurri:
" Intanto visto che sei venuta a sbattermi contro facciamo una costatazione amichevole dell'incidente che dici? Io mi chiamo Riccardo e tu? " partire decisi è quella la caratteristica che piace alle donne e che mi è propria, perché fa parte del mio carattere. Lei non fu da meno delle altre e, nonostante mostrasse un cipiglio eccitante, non resistette e con un sorriso largo, che scoprì una fila di denti, i quali mi ricordarono la collana di perle della nonna, di cui ne andava fiera quando la indossava la domenica mattina per la messa.
" Io Chiara "
" Ma sei nuova di queste parti? Non ti ho mai incontrata eppure ormai sono cinque anni che il fine settimana lo passo qui. Vuoi una birra? "
" Veramente è un anno che lavoro a Viterbo e qui ci sono venuta forse due mesi fa per la prima volta. Sono stata impegnata con gli esami e con il lavoro, non ho molto tempo da dedicare al divertimento " la voce squillante e profonda mi dava una vertigine mai provata, eppure non sono un ragazzino di quindici anni alle prese con la prima bimba!!!
" Con degli amici ho rilevato la fattoria di mio nonno, visto che ci eravamo stancati di fare gli extracomunitari in giro per il mondo, solo per poter utilizzare la nostra laurea. Così ci siamo riciclati contadini e abbiamo messo su un'azienda agricola, nella quale stiamo realizzando progetti interessanti: sia nel campo della zootecnia che in quello agro alimentare " ero partito come un treno a parlarle di me, la scrutavo e cercavo di capire che impressione le facessi ma volevo non dare l'idea del solito lumacone da discoteca, che non ho mai sopportato
" Io vengo da Roma sono una psicoterapeuta, mi hanno assunto a lavorare in una casa famiglia, i cui ospiti sono disabili psichici. Hai detto che hai una fattoria vero? "
" Si, era dei miei nonni, che tuttora abitano con me. "
" Ma avete gli animali e di che tipo? " si interessava alla mia attività , UAO!!!, allora non le ero rimasto indifferente.
" Cani, gatti e tanti animali da cortile, alcuni in via d'estinzione, sai di questo me ne occupo personalmente, una passione di sempre, mi sono trasferito dai nonni ai tempi dell'Università " Lei dopo avermi ascoltato riprese ad informarsi su cosa facevamo in fattoria, se preparavamo marmellate, formaggi etc. Poi mentre eravamo fuori a fumare mi chiese a bruciapelo: " Ma se venissi a trovarti con i miei ragazzi, hai dei problemi? " In quel momento la desideravo a tal punto che avrei consentito qualsiasi cosa pur di avere in cambio un suo bacio e con un sorriso risposi:
" Problemi? E quali? Domani, vuoi venire domani? "
" Domani sono di riposo e dormo, però dammi il numero di telefono tuo o della fattoria e ci sentiamo. Sai Riccardo stiamo cercando un posto per fare delle attività con i nostri ragazzi. Hanno un'età tra i venticinque e i quarant'anni ma la disabilità psichica sembra annullare il tempo. Magari adesso mi dici di sì, poi quando li vedrai... "
" Certo esperienza in questo campo non ne ho. Però la vita mi ha insegnato che la cultura è fatta di incontri e che gli incontri sono una novità da non lasciarsi sfuggire e che la paura è una sensazione sgradevole ed inutile. Poi se li accompagni tu... "
A questo punto non vi tedio col narrarvi tutti i mascherati artifici amorosi, che sfoderai per far colpo su Chiara. Ma a dispetto di come mi capita di solito non sembrò particolarmente colpita, lei non era come le altre ragazze conosciute finora. Rideva, parlava e beveva ma per il resto un muro invisibile ci divise per tutta la sera.
I miei amici si dimostrarono di una riservatezza unica e distrassero la Monica, che mi aveva puntato e di cui sinceramente non avrei disdegnato la compagnia, se non fossi rimasto abbagliato da quella principessa del duemila.
Trepidai per quasi una settimana nell'attesa di una sua telefonata. Avevo perso le speranze quando il venerdì sul tardo pomeriggio sento squillare il telefonino, è lei, e vai penso tra me, pur mantenendo un tono simpatico ma vagamente sostenuto. Voleva portare la mattina successiva i ragazzi a fare una merenda in fattoria. Io, da parte mia, pure il pranzo le avrei offerto ma mi trattenni. Concordammo di vederci l'indomani mattina alle dieci circa e le spiegai come raggiungere la fattoria.
Ero al settimo cielo non mi pareva vero. Parlai coi miei soci della visita di questa cooperativa di servizi ai portatori di handicap psichico, mi guardarono come fossi un marziano.
Mi ero molto informato sulle fattorie sociali, che in Europa avevano ridato ossigeno a molte imprese agricole. Mi sbracciai nell'illustrare le possibilità di sbocchi nuovi e interessanti del nostro lavoro.
Marco non ci seguiva più di tanto, era preso dalle sue conversazioni in chat. Carlo rimase perplesso ma quel suo silenzio poteva far ben sperare in un lavorio del suo cervello. " Fammici pensare, la notte porta consiglio " e alzatosi se ne andò a dormire. Marco, che sembrava non aver seguito la chiacchierata con Carlo, se ne uscì tutto d'un tratto: " Non è mica una fesseria la storia della fattoria sociale, mi piace sai? "
Certo il primo impatto con questo tipo di disabilità fu sufficientemente scioccante, per chi, come me, non ha mai avuto a che fare con questa realtà.
Una sottile ripugnanza verso quella loro saliva, che spesso veniva giù a pioggia da quelle bocche mai chiuse, mi aggrediva lo stomaco ma lo sguardo amorevole di Chiara, che veniva in mio soccorso, mi rasserenava. Per lei ero disposto a sopportare qualsiasi fatica e qualsiasi ripugnanza.
Spesso ho pensato di aver commesso un errore, di non essere adatto ma non posso nascondere, che questo mondo mi ha acciuffato per i capelli e non mi ha più mollato.
I ragazzi cominciarono a venire in via sperimentale due giorni la settimana. Un piccolo gruppo, coordinato e diretto da Chiara, fu inserito in un progetto di lavoro protetto presso la nostra struttura, che nel frattempo si era adeguata agli standard, e cominciò a lavorare tutti i giorni per quattro ore.
Un'esperienza esaltante per me vedere come prendessero confidenza con l'ambiente circostante e come tale confidenza si traduceva in autonomia personale e lavorativa.
Mi feci coinvolgere da Chiara e seguimmo insieme dei corsi sull'approccio agli animali nel ritardo e mentale e nella sindrome di spettro autistico.
Oggi a distanza di tempo devo ammettere che ho imparato tanto da queste teste matte.
Entrare nel mondo dell'handicap grave di tipo psichico è come vivere in un grande sogno.
L'irrealtà è una condizione normale per molti di questi soggetti. L'onirico è gioia ma anche paura, terrore. Il panico improvviso che si scatena in queste teste mi spiazzava, non nascondo che mi spiazza tuttora a volte. Se il primo anno non vi fosse stata Claudia con la sua voce rassicurante, con il suo volto luminoso e gaio, io non avrei mai goduto della gioia di un sorriso di gratitudine che solo queste menti nude e semplici sanno donare.
Questi ricordi sembrava galleggiassero nei nostri bicchieri. Avevamo fatto tanto e non avevamo fatto nulla, perché mancavano sempre i dannati soldi. Guardare dalla finestra della cucina di mia nonna, quella terra rigogliosa, quei ragazzi un po' pazzi, che urlavano zappando o parlavano e ridevano alle galline, non posso non essere soddisfatto. Appena sette anni fa questa terra stava per essere venduta ai costruttori, che avrebbero trasformato questo meraviglioso paesaggio in una colata di cemento a forma di villini.
Mentre sorseggiavo il caffè, preparato amorevolmente da mia nonna, mi sovvenne una frase di Elena Bono, non mi ricordo neppure il titolo del libro, ma la frase mi aveva colpito: - trasforma in oro il tuo verde ostinato a non morire -
Quando ho letto questa frase non avevo neppure l'idea che un giorno mi sarei trovato di fronte a questa terra schietta e rigogliosa, ritornata tale grazie alla forza delle nostre mani, alla tenacia della nostra volontà di resistere, nonostante tutte le avversità. Non avrei mai pensato di tradurre in pratica un concetto così astratto apparentemente.
Queste zolle dure e selvatiche opportunamente domate hanno saputo regalare un sorriso al nostro e all'altrui futuro, che seppur incerto, ora fa meno paura.
123456789
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
3 recensioni:
- Hai ragione Oissela sul web è così ma io le cose corte corte non le so scrivere sorry. All'anonimo lo ringrazio. Ciao e grazie a tutti
Anonimo il 23/08/2014 15:54
Forse prima di essere una narratrice sei un poeta. Le tue frasi quasi quasi cercano una rima che non puoi e non vuoi assegnargli, Un racconto che parrebbe voler trattare molti temi ma il principale è quello della disabilità che, mi par di capire, fa parte del tuo vissutoe, come tale è molto ben trattato. Come non condividerti. Sei sufficientemente consapevole di quel che hai scritto e questo fa di te una maestra di vita. Sono daccordo con Oissela sulla sintesi anche se i concetti da esternare sono tali da richiedere il processo inverso. Brava, brava, brava.
- Carissimi amici di rete Rocco sempre presente con i suoi commenti e poi c'e' Giacomino... dai non mi dire che alla fine ho sbagliato il nome... grazie sapevo di contare sul tuo occhio attentoe critico, lo correggero'. Per quanto riguarda la trama caro Jack non e' autobiografico magari... avrei dato a mio figlio disabileun futuro meraviglioso. È stato scritto per un concorso maera troppo lungo e ne ho scritto un altro che e' stato inserito in un'antologia... volev vincere ma c'erano in palio quattrini figurati se scieglievano il mio! Non sono tutti generosi come voi. Grazie grazie
Anonimo il 23/08/2014 11:49
Scusa... le prime tra pagine, non righe... ormai c'ho quella fissa delle cinque righe... eheheheh...
Anonimo il 23/08/2014 11:48
Ho letto le prime tre righe... ma il commento vero lo farò più tardi... la prima sensazione è che hai descritto talmente bene quel ragazzo, i suoi nonni e i suoi compagni di scuola da farmi sospettare qualcosa di biografico... comunque me lo voglio gustare con calma... credo che alla fine, viste le premesse, dovrò ammettere( e lo sai che mi costa... ahahahah) che sei brava ed il racconto è buono... mannaggia... ahahahah...
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0