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La paura ringiovanisce
Naturalmente non l'ho ucciso io, ma non nego di non aver sorriso vedendo la sua bella faccia da culo sul necrologio di questa mattina.
Al funerale quel ghigno l'ho tolto, ovvio, non voglio mica che il nuovo capo mi licenzi, e so per certo che il mio essere felice per un avvenimento così tragico è un sentimento comune tra i colleghi, perché era uno stronzo, ecco perché, un vecchio, bavoso, porco, pezzo di merda. E ci vado anche leggera, ho sentito di peggio uscire dalla bocca dei miei collaboratori e soprattutto dalle fauci delle collaboratrici.
Durante la cerimonia funebre ho spesso tenuto aperti gli occhi nel vento gelido, per farmeli lacrimare decentemente, effetto ottenuto con grande soddisfazione personale.
Passata una settimana, abbiamo tutti tolto il lutto al braccio, vi giuro, io mi ci asciugavo la bocca dopo pranzo, ed infatti le macchie di sugo al pomodoro con la luce giusta si vedevano parecchio... Vi chiederete, cosa avrà mai fatto Alfons Von Krauenberg, il dirigente dell'azienda tessile più grande della città? Quel delizioso vecchietto che ad ogni festa di beneficenza era il protagonista, con tanto di assegni giganti in cartone? Palpeggiava, ecco cosa faceva, e se eri precaria (come me) non potevi nemmeno permetterti di fartelo piacere (si mormorava che a qualcuno piacesse pure farsi toccare dove neanche tua madre avrebbe avuto l'immaginazione di sfiorarti, naturalmente questi elementi sovversivi venivano licenziati in tronco)... perché LUI godeva nel farti stare male, nel vedere l'umiliazione negli occhi, se ne cibava, assimilava la tua vergogna e ne usciva giovato, rinvigorito, voci di corridoio sostenevano addirittura che ringiovanisse dopo ogni scorpacciata di molestie.
Spesso mi chiedevo, soprattutto dopo aver pianto per 15 interminabili minuti in bagno, se qualcuno o qualcuna (palpeggiava e molestava chi gli capitava a tiro, uomo o donna non faceva differenza) avesse mai denunciato questo depravato alla polizia. Si scoprii che nessuno aveva mai trovato il coraggio, quindi, naïve come sono, ho tirato fuori le cosiddette palle e sono andata a segnalare il, "Nonno perfetto" (come certi giornali locali simpaticamente lo avevano nominato).
Era una giornata grigia, ricordo anche che il poliziotto che quel giorno era stato messo all'accoglienza, al solo nominare del binomio denuncia + nome del mio capo (vorrei dire EX capo) aveva sgranato gli occhi, il sorriso dietro al baffo folto era scomparso come per magia e mi aveva comunicato che sarebbe andato a chiamare qualcuno di più competente.
Morale della favola, la persona più competente era il fratello più giovane, ma non meno stronzo del Krauenberg (detto Kraut in ambienti informali). Mi tirai forse indietro, dichiarando di aver mentito perché innamorata segretamente di lui? No, da brava cittadina che i miei genitori avevano cresciuto a scodellate di morale e bistecche di giustizia svuotai il sacco, nominandolo nei più svariati modi. Lo sceriffo Kraut II (incoronato dalla sottoscritta) mi ascoltò molto attentamente, tanto da farmi credere per un attimo che il mondo, dopotutto, è giusto ed equo, ma qualcosa nei suoi occhi scuri e nella sua espressione lo tradirono, ma me ne accorsi tardi, quando già mi trascinavano in gattabuia, fino a nuovo ordine, parola di sceriffo Kraut junior. Tremavo, piangevo, e la persona in divisa, colui che dovrebbe servirci e difenderci, stava impalato davanti alle sbarre, ispirando a pieni polmoni la mia paura e il mio disgusto. Poi successe quello che definisco atto finale, Jeffrey Von Krauenberg, alias Kraut Jr. iniziò a tremare dalla testa ai piedi, mormorando parole incomprensibili... Trenta secondi dopo tutto si concluse con un urlo. Abbassò lo sguardo verso di me... e la mia mascella cascò... quello che prima era un 60enne leggermente obeso, ora ne dimostrava 40 massimo 45. Non credetti ai miei occhi, non era possibile!
Mi ringraziò, dandomi della ingenua puttana, girò i tacchi e scomparve. Tornò poco dopo con le mani dietro le spalle ora meno cicciottelle ma più larghe. La divisa azzurra li stava larga, si vedeva nelle pieghe, dove prima il tessuto era teso, sede del suo pancione. Fischiettava una canzone che riconobbi e che mi riportò indietro di anni, quando a scuola, durante un musical sugli anni 50-60 io impersonavo la ragazza per bene che incontrava il rocker senza regole, Haunted Dog di Elvis Presley.
Ho qualcosa per te, disse, diciamo un piccolo regalino, una luce accecante esplose dalle sue mani, e io vidi tutta la vita passarmi davanti, inutilmente visto che quel bagliore era solo il riflesso della lampadina su di uno specchio. Ammirati, più che un invito fatto da una parrucchiera al termine della seduta, sembrava un ordine prima dell'esecuzione.
La mascella ancora penzoloni scese di altri preziosi centimetri, la mia faccia, ero invecchiata di almeno 10 anni! Le zampe di gallina che prima ombreggiavano i miei occhi celesti, fonte di parecchi ammiratori, ora erano solchi profondi, come se un pollaio intero ci avesse ballato il tip tap. Schiaffai le mani sulle guance, come l'urlo di Munch, e poco mancò che non urlai veramente, le mani erano tempestate di rughe, un canyon di pelle raggrinzita. Il nostro caro sceriffo invece era l'altra faccia della medaglia, sorrideva, felice di aver regalato anni pesanti come macigni ad una povera 40enne, nel pieno della sua bellezza e Sexappeal. "Mi stavo iniziando a preoccupare che non sarei riuscito a tornare a questa età per molto tempo, ma per fortuna sei arrivata", disse, sboccando in una rauca risata. "Io e mio fratello ci divertiremo ancora molto con te", e per la seconda volta vidi il suo sedere allontanarsi da me.
Gridai, piansi; insomma, diventai isterica. Non ottenni risposta da nessuno, le celle erano tutte vuote. Allora smisi di urlare. Mi accorsi dopo parecchio tempo di essermi sdraiata sul letto. Nessuno arrivò a godere della mia paura, niente cibo e niente acqua.
Mi risvegliai a casa mia, fradicia e impaurita. Panico attanagliò il mio corpo, legandomi al letto in catene invisibili. Dopo 5 minuti i muscoli tornarono liberi dalla paura e mi alzai. La casa era la mia... Possibile che avessi sognato tutto? Strofinandomi gli occhi, decisi che il bagno doveva essere la mia prima tappa e dopo essermi liberata tornai in camera da letto. Controllai tutto, sotto, tra le coperte, negli armadi... Niente, nessun indizio che potesse dire se avessi sognato o no. Poi mi ricordai di guardami allo specchio...
Non urlai, non piansi, non svenni, semplicemente, mi imbambolai. Quello che un tempo era il mio amico più fidato, ammiccava, dava forma e proporzione alla mia faccia era diventato il mio nemico, rideva di me, della mia vecchiaia, delle mie guance cascanti. Svariati minuti rimasi ferma a guardare quello che ero diventata. Mi girai, spensi la luce ed uscì. L'orologio segnava le 09:30, ero già in ritardo clamoroso per andare in ufficio, così chiamai il mio capo, fingendo di avere un raffreddore ALTAMENTE contagioso. Non fece domande, e al solo pronunciare "ok" riattaccai e la schiena tornò dritta dopo essersi liberata, piegata da un peso indicibile. Quello che feci durante la giornata ora è solo un ricordo, nebbioso, solo in qualche punto la ragione si è messa di traverso illuminando qualche frammento. Ricordo per esempio di aver smontato tutti gli specchi che avevo in casa, ma non dove sono finiti, per quel che mi riguarda dal mio stato d'animo posso benissimo averli buttati giù dal balcone, se l'ho fatto spero solo di non avere sulla coscienza la vita di un povero ed ignaro passante...
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