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La Buca
Nell'aria fredda del mattino Maria aveva qualche brivido; si era affrettata a
raggiungere i compagni che l'attendevano al di là del cancello, in fondo al
giardino. Era scesa rapida dalla scalinata di casa andando circospetta e di
nascosto all'appuntamento, eludendo la sorveglianza di sua madre che
sicuramente non le avrebbe dato il permesso d'andare al fiume con gli amici.
La vita in campagna permette certe libertà che sono impensabili altrove: E'
un luogo rassicurante, una distesa verde che si vede a perdita d'occhio; le
insidie quasi non ci sono perché la gente è semplice e poca e tutti si
conoscono. Non è facile compiere azioni di cui ci si debba vergognare, senza
che vengano prima o poi a conoscenza di tutti. Ciascuno usa le proprie astuzie
non certo per creare rotture tra gli amici, con le famiglie e nemmeno con i capi
delle colture. Inoltre sono diversi anche i criteri di valutazione sui fatti che
accadono rispetto a quelli di chi vive in città. Ad esempio può essere
gravissimo rubare un grappolo d'uva nella vigna altrui, tanto che se un
proprietario se ne accorge si mette tranquillamente a sparare per difendere ciò
che è suo; altri reati invece, come vedremo in seguito, anche gravi sono
sottaciuti, addirittura coperti da omertà quando meriterebbero la galera.
Il collo e le braccia, bruniti dal sole, uscivano scarni dal vestito di cretonne
fiorato che le stava largo. Il suo aspetto appariva un po' malinconico ma il volto
leggermente appuntito era bello; il colorito di pesca matura, gli occhi ampi e
lucenti sotto l'arco dei sopraccigli ben disegnati, il naso piccolo e un po' rivolto
all'insù le davano un'aria da cerbiatta assai grazioso.
Il mento breve e sfuggente quasi spariva nel luminoso sorriso, fitto di quelle
perline bianche che aveva per denti e le ciocche di capelli ricci, raccolti in due
fiocchi di nastro azzurro, ben si armonizzavano con l'età tenera che aveva.
Il padre era stato richiamato al servizio militare e sua madre rimasta sola
affidava a lei il fratellino per riuscire, con l'aiuto di un'amica, a lavorare alle
macine del mulino, senza del quale non avrebbero saputo di che vivere.
Il mulino serviva anche il paese vicino, in tutto circa cinquecento abitanti e
c'era sempre il codazzo della gente per gli approvvigionamenti di farina.
Veniva distribuito anche il riso che veniva coltivato nelle zone ma prevalentemente
era venduto all'estero con grande profitto. Alla gente del posto ne rimaneva
poco ed era importante arrivare presto per non rischiare di rimanerne senza.
I figli della Mugnaia erano diventati amici di Maria e la sera si ritrovavano con
lei ed altri ragazzetti della cascina vicina per farsi compagnia e rincorrere le
lucciole.
Qualche volta si fermavano a cenare con loro; la madre li conosceva ad uno ad
uno ed era lieta di offrire la cena per rivedere i propri figli contenti e per
risentire nella casa il suono gaio delle giovani risate che si erano spente da
quando il papà era partito, richiamato per fare il soldato. Le davano sollievo, le
facevano dimenticare per qualche ora la pena, l'ansia, la paura.
Le serate dell'estate erano lunghe e calde nella pianura; bisognava difendersi
dalle zanzare e dalle faine che di notte facevano scempio nei pollai.
Verso la fine della stagione, sull'ampia aia si adunavano tutte le donne della
fattoria a spannocchiare il granoturco e Maria cercava di rendersi utile anche in
questo lavoro che, tuttavia, era eccessivo per lei e che le procurava vesciche
sulle mani, molto lente a guarire.
Allora passava il tempo aggirandosi intorno al gruppo delle madri, rincorrendo
lucciole cercando di imprigionarne qualcuna nello scatolino che portava
sempre in tasca.
Le madri si raccontavano ciò che sapevano sugli avvenimenti del giorno: ciò
che aveva detto il prete, ciò che avevano detto alla radio. Più raramente parlavano
di una lettera ed allora in quel caso, nel silenzio, l'attenzione di tutte si faceva
totale; saliva dalle donne sedute sull'aia un'aria sinistra, un cupo incrociarsi
di sguardi, mentre Maria si accoccolava ad ascoltare riuscendo a distinguere
soltanto, tra il frusciare delle foglie, il singhiozzo di qualcuno.
I ragazzi le erano andati incontro un po' spazientiti poiché era da molto che
l'attendevano per andare insieme al fiume. Scesero per un sentiero e
camminarono a lungo per più di due ore, attraversando campi coltivati e frutteti,
in silenzio, scambiando qualche parola di tanto in tanto nella tacita
consapevolezza di essere talmente conosciuti gli uni agli altri da sentirsi un
tutt'uno compatto, unito. Uno dietro l'altro mettevano i piedi sulle orme di chi
stava davanti ed avevano gli stessi pochi pensieri. Percorsero un lungo viale
all'ombra di due filari di peschi che fiancheggiavano la strada e che facevano
da confine a due poderi. I frutti erano insoliti ed essi ne raccolsero alcuni
poiché crescevano selvatici e non appartenevano ad alcun podere. Avevano la
buccia verde e liscia e la polpa rosso scuro; il sapore era asprigno ma ai
ragazzi piaceva e li avrebbe dissetati alla sera, sulla via del ritorno.
Dai rami dei gelsi non staccarono neppure una bacca ma ne avrebbero
raccolte con tanta voglia per il sapore molto dolce somigliante a quello delle
more; sapevano che i frutti marcivano sugli alberi, mentre le foglie servivano ai
bachi da seta che se ne cibavano per produrre il prezioso filato in quella zona.
Senza fare altre soste proseguirono il loro cammino; ognuno di essi aveva in
sé la paura: paura d'essere soli, paura dell'ignoto in un tempo in cui la guerra
faceva sparire di casa le persone care. Sentimento nascosto, celato nel
profondo dell'animo, inconfessato per non turbare la consuetudine della quieta
quotidianità che li sosteneva e permetteva loro di trascorrere in una apparenza
di pace il tempo della adolescenza, nel bel mezzo di una guerra atroce la cui
eco giungeva ogni giorno nelle loro case.
Molti avevano lasciato la città e si erano rifugiati nei paesi di campagna,
cercando di salvare quanto era possibile dalla devastazione dei
bombardamenti che quotidianamente avvenivano. Innanzitutto gli anziani ed i
bambini e chi rimaneva in città per motivi di lavoro, doveva affrontare pericoli
ad ogni uscita e ad ogni rientro.
Alla domenica i più fortunati che ancora avevano un lavoro, raggiungevano le
campagna con le biciclette per trascorrere qualche ora di riposo lontano dalle
bombe. Quando avvistavano in lontananza le sagome scure dei posti di blocco,
si affrettavano a scendere dalla bicicletta per nascondersi dietro un piccolo
argine di fosso, o tra gli arbusti che fiancheggiavano la strada.
Due sorelline erano arrivate da qualche tempo nel loro paese, accompagnate
dalla nonna.
Originaria del meridione la donna, non ancora anziana, sapeva
eseguire a mano vari tipi di pasta fresca che vendeva alle famiglie su loro
ordinazione ogni giorno. L'anziana signora era divenuta cliente ed amica della
madre di Maria, la mugnaia e riceveva in cambio del suo ambito lavoro, sacchi
di farina per proseguire nella sua utile attività in un tempo in cui sul banco del
panettiere non vi era più che pane scuro, fatto di strani ingredienti che non
somigliavano affatto alla farina e la pasta era una cosa riservata ai pochi della
città che la potevano comperare a "borsa nera" insieme con il sale. Anche
questo alimento era quasi del tutto scomparso e veniva trovato soltanto nelle
borse degli sciacalli ad alto prezzo.
La madre di Maria ovviamente, in cambio del lavoro, otteneva farina anche per
figli che vivevano in città. Con la salsa di pomodoro e qualche zuppa di ceci si
nutrivano, ma mai a sufficienza. Molta gente si cibava unicamente dei frutti
dell'orto e tutti erano magri ed ossuti. Solo qualche uomo era panciuto di sua
natura ma la fame la soffrivano tutti. Il problema dell'anoressia era cosa d'altro
mondo, assolutamente sconosciuto. Era invece molto diffusa la tubercolosi per
la malnutrizione e gli ambienti umidi e totalmente privi di riscaldamento, le tristi condizioni in cui tutti vivevano.
Maria provava affezione per quella signora sempre vestita di nero; sapeva che
non vestiva di nero per civetteria o per apparire più snella essendo grassoccia
grazie alla pasta che produceva ogni giorno e della quale essa pure si cibava.
stava ore ed ore sull'asse bianca ad allineare orecchiette e fuselli. Maria
sapeva che era afflitta da lutti che oltre ad essere molto lunghi, nell'osservanza
delle tradizioni dei suoi luoghi d'origine, non avevano intervalli a causa della
guerra che le aveva ucciso alcuni figli.
Quasi atteso e all'improvviso, i ragazzi udirono lontano il temutissimo rombo di
motori, da essi ben conosciuto; si guardarono sgomenti ma non si persero
d'animo. Presero a correre tutti insieme velocissimi a grandi falcate,
cercando di raggiungere il bosco, al di qua dell'argine del fiume, che si sentiva gorgogliare in lontananza.
Con grande energia percorsero una lunga ed ampia curva raggiungendo un
campo di grano ancora verde, ma sufficientemente cresciuto per poter
nascondere e coprire i loro corpi.
Vi si buttarono faccia a terra, con le mani alte sulla nuca; poco dopo, pochi
minuti soltanto, un intero stormo di aerei passava basso sopra di loro e, a
distanza, si udirono subito ed alternate le scariche delle mitragliatrici.
Il fiume al quale erano diretti era attraversato proprio in quella zona da un
grande ponte di barche, molto importante per il trasporto delle merci tra le due
province limitrofe.
La comitiva si trovò proprio nel mezzo di una operazione militare che
strategicamente mirava a quel bersaglio e che, né i ragazzi e neppure la gente
del paese, avrebbe potuto prevedere.
Stesi tra il grano stettero immobili per molti minuti senza far rumore; poi
lentamente iniziarono a chiamarsi per nome ad uno ad uno, alzandosi piano. Si
sorrisero, felici di essere vivi e di esserci tutti, cosa tutt'altro che ovvia.
Proseguirono tenendosi per mano camminando con le gambe che tremavano;
arrivarono tuttavia presto alla boscaglia che rada digradava e fiancheggiava il
letto ampio del fiume. Il fondo sabbioso ed ombrato consentì loro di dare
frescura ai piedi affaticati, nudi e graffiati dalla lunga camminata tra le erbe.
L'acqua del fiume avrebbe adeguatamente lavato le ferite che ognuno di loro,
già dal mattino, aveva sui piedi e nel cuore.
All'estremità del bosco, oltre l'argine, sul limite del grande alveo fluviale, al loro
arrivo il sole alto aveva già arroventato la sabbia ed essi non poterono inoltrarsi
fino alle acque, che pure scorrevano poco lontane. Dovettero fermarsi
cercando di posare i piedi sui ciuffi d'erba sporgenti qua e là, senza lamentarsi
per l'ispido e il duro delle foglie sottilmente spinose. Erano consci d'aver
scampato "il grande pericolo" e non volevano sciupare la gioia con inutili
lamenti.
Ad un tratto, uno di loro vide lontano una sagoma scura che in controluce,
sarebbe potuta sembrare un arbusto. Era invece un uomo accovacciato; il
ragazzo lo capì vedendo che si muoveva. Lo additò ai compagni e tutti insieme
si misero a gridare, a fare gesti con le braccia, a sventolare qualcosa per
attirare la sua attenzione, affinché si accorgesse di loro.
E quell'uomo si accorse di loro!
La sagoma nera si era mossa verso i ragazzi raggiungendoli
quasi di corsa e a fatica poiché sulla soffice sabbia i suoi piedi ad ogni passo
affondavano.
Quando fu loro vicino, ai ragazzi parve un angelo, un papà, un prode guerriero
coraggioso, capace di prenderli tutti in braccio e portarli al sicuro dicendo loro
cose dolci e rassicuranti.
L'uomo aveva aperto la larga bocca scoprendo grandi denti gialli tra i quali
ampie zone vuote denunciavano l'estirpazione di molti cariati e mai sostituiti.
L'uomo bofonchiò qualche parola nel dialetto di quei luoghi, cercando di
mostrarsi premuroso. Promise che sarebbe tornato poco dopo per aiutarli a
rinfrescarsi ed a riposarsi.
Intimoriti all'idea che li lasciasse, lo guardarono allontanarsi rassicurandosi l'un l'altro, certi che non li avrebbe abbandonati sulle foglie spinose e sotto il sole cocente.
Tante volte si erano trovati sulla sabbia rovente ed avevano imparato a correre
tra un ciuffo e l'altro dell'erba dura, tipica della vegetazione di questo greto di
fiume. Ma quel giorno avevano avuto gli aerei sulla testa e il bombardamento
vicinissimo. Erano tanto impauriti e la loro voce usciva tremante.
Lo videro arrivare molto vicino all'acqua del fiume, in un punto in cui
affioravano ampie secche di sabbia. Capirono che s'era messo a scavare
velocemente una buca, muovendo le grandi mani che gettavano altrove
manciate di sabbia scura.
L'uomo scavò e scavò e dopo molto tempo ritornò dai ragazzi che se ne
stavano con lacrime silenziose che scivolavano sulle guance.
Egli si avvicinò rapido, camminando su grandi calzari di cuoio e di legno che lo
tenevano ben sollevato sopra la sabbia cocente e i ragazzi capirono che era
intenzionato a trasferirli tutti, prendendoli in braccio uno alla volta, per portarli
fino alla buca che aveva scavato. Non ne capirono il perché ma si affidarono
tranquilli.
Era una grande buca di forma rotonda, sufficientemente profonda da avere sul
fondo un affioramento d'acqua del fiume. L'uomo si era premurato di rimuovere
tutt'intorno lo strato di sabbia rovente per consentire una fresca seduta ai
ragazzi che sistemò, ad uno ad uno, mettendoli a sedere in circolo, con le
gambe penzolanti, all'interno di essa.
I bambini immersero i loro piedini riarsi nella poca e fresca acqua, felici di
avere tra loro la faccia scura e passa dell'uomo dagli occhi sporgenti e dai
denti gialli.
Ma egli voleva sistemarli meglio: li agguantò uno alla volta sotto le vesti con le
mani lorde di sabbia e di brama, indugiando e strofinando l'innocenza della
carne che aveva tra le mani ridacchiando con affettuosità volgare.
Prese posto tra loro, con il capo all'altezza delle loro gambette appese,
confondendosi tra loro, facendosi scudo dei loro corpi che lo celavano agli
occhi di chiunque fosse accidentalmente passato da quelle parti in quel
momento.
Egli sollevò Maria e se la mise a gambe aperte su di sé; la premette sulle
spalle con movimenti concitati ed esperti schiacciandosela sul ventre per
penetrarla con forza e velocità, continuando a trattenerla con le grandi mani
nere lorde di sabbia bagnata e sotto gli occhi attoniti e sgomenti dei compagni.
Un urlo cancellò il mormorio dell'acqua che gorgogliava accanto; l'argine ripeté
più volte l'eco di quel grido finendo in lontananza.
I piccoli si ritrovarono soli ed ancora increduli quando ancora vedevano l'uomo
che si allontanava frettoloso sparendo nella boscaglia.
Presero la loro compagna per le ascelle e l'aiutarono ad arrivare all'acqua; la
misero a sedere nel fiume e con le mani le buttarono manciate d'acqua
trasparente e tiepida evitando di toccarla come a non volerla profanare. La
lavarono, la consolarono con parole semplici quasi scherzose e la fecero
asciugare al sole.
Muti ed atterriti si avviarono per fare ritorno alle loro case senza più riuscire a
capire dove fossero i confini della guerra. Quel fatto cadde nell'oblio e nessuno
ne fece mai parola. I piccoli avevano paura a parlarne, ancora di più
dell'esperienza del bombardamento. E l'energumeno non fu mai punito.
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