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L'Incubo
I bagliori del primo mattino promettevano una giornata serena, il cielo era terso e il sole sfolgorava all'orizzonte.
Giulia aveva promesso ai suoi piccoli una gita in montagna col papà per tutto il Week-end.
Il venticello che si era levato durante la notte, aveva spazzato il cielo dagli scarichi mefitici delle auto che erano partite per il fine settimana.
"Andiamo in montagna mamma?" Domandò Luca sbadigliando.
"Sì Luca, andiamo in montagna a raccogliere i funghi e se li troviamo facilmente, coglieremo anche mirtilli e more".
La strada era vuota a quell'ora ed il viaggio ad alta velocità era stato breve e tranquillo.
Scendendo da un vicolo stretto, tra case di pietra, erano arrivati alla piazzetta del paese per bere un cappuccino. La chiesetta romanica con la facciata grigia e chiusa dal portale antico ornato da ricchi fregi era chiusa, ma un variopinto rosone che rifrangeva il primo raggio di sole, dava alla piazza una calda e nitida luminosità.
Trovarono aperto un unico bar anch'esso ancora vuoto. Soltanto la titolare li accolse con un "buon giorno" sorridente: L'aria profumava di brioche e di caffè ed in attesa dell'inizio del giorno, si prepararono seduti ad un tavolino per l'abbondante colazione che la donna aveva servito in un grande vassoio: Latte caldo, caffè, calde brioches e succo d'arancia. Con calma ed ancora un po' assonnati si rifocillarono e con altrettanta calma iniziarono a cambiarsi per indossare pantaloni e scarponi adatti alla passeggiata. Giulia aiutò i ragazzi a calzare gli scarponcini per salire agevolmente sull'erta ripida e sassosa verso la quale si sarebbero subito incamminati Fece affibbiare sui fianchi la giubba impermeabile e contemporaneamente spalmò le loro guance di crema filtrante per il sole che di lì a poco avrebbe bruciato sulla pelle.
Si avviarono a piedi e si addentrarono nella boscaglia scostando le grandi fronde che piegavano rigogliose sul percorso.
Procedettero a fatica ma con le fresche energie del mattino camminarono lesti.
Giulia aveva l'occhio attento ai bambini che le stavano davanti e contemporaneamente con la coda dell'occhio scrutava le propaggini del bosco nella speranza di intravedere il colore lucido e marrone dei porcini.
Era serena; era fiera della sua famiglia. Suo marito coglieva ogni ritaglio di tempo per organizzare qualche cosa di piacevole per lei e per i bambini. Andavano spesso in gita: al lago, ai monti e, non di rado, anche al mare. Si era sempre chiesta se doveva essere quella la felicità vera. Uno stato di pace tranquilla, dove tutto accade in modo ormai prevedibile ma sempre piacevole e nuovo perché condiviso e vissuto insieme. La certezza di essere presenti l'un l'altro, solleciti, premurosi, attenti ad ogni bisogno era il motivo della quiete amorosa che regnava nella sua famiglia. Ella guardava il volto di suo marito e lo amava con gli occhi; talvolta lo accarezzava d'improvviso sentendosi il cuore dolce e rassicurato da quell'uomo che non mancava mai di pensare a lei, sia che si trovasse a casa, sia che fosse lontanissimo, in altri continenti per motivi di lavoro.
Camminarono e salirono per circa mezz'ora.
"Mamma, mamma, vieni ad aiutarmi, sono rimasto impigliato tra i rami di un rovo e forse mi hanno strappato la camicia!".
"Luca, avresti dovuto stare più attento; cerca di non muoverti troppo in modo da non peggiorare la situazione; vedo di raggiungerti subito, lasciami affidare Linda al babbo che in questo momento si è allontanato. Ora lo chiamo e poi corro da te."
Il padre accorse, prese in braccio la piccola sorridendole con lo suo sguardo invitante nella speranza d'essere accettato perché, di solito, nello stesso istante in cui la sollevava a sé, la bimbetta si sporgeva incauta tendendo le braccia alla madre che era dall'altro lato. Non avendola trovata era rimasta tranquilla al collo del papà.
Giulia si era già allontanata in tutta fretta, per dirigersi al sentiero da dove le era arrivata la voce di Luca. Si era sentita stranamente appesantita; le gambe le impedivano il passo lesto ma non voleva darlo a vedere. Nella luce accecante a malapena riusciva a vedere il piccolo Luca al di là del crepaccio; un'apertura che nel tempo aveva offerto ai passanti una scorciatoia verso la parte opposta del monte.
Riconobbe Luca dalla macchia colorata della camicia gialla mentre i pantaloni verdi si confondevano mimetizzandosi tra il fogliame ed il cappello di tela totalmente nascosto dietro la sterpaglia scura e spinosa che lo teneva prigioniero.
"Ma dove sei andato a finire Luca? Non mi ero accorta che ti fossi allontanato. Sei sgusciato di qui come un pesciolino ma ricordati sempre che in montagna bisogna essere prudenti ed è meglio rimanere uniti per potersi aiutare subito quando c'é bisogno."
"Mamma, io di qui non mi muovo! Il fatto è che sto scomodo così piegato a metà sulle ginocchia, senza riuscire né a sedermi né a stare in piedi."
"Abbi pazienza caro, ora vengo; attraverso il crepaccio e sono da te!" Più a bassa voce "Ma come è stretto qui, mi pare di non poterci passare; c'è uno spuntone di roccia tagliente che sporge proprio là dove dovrebbe passare la mia gola, sotto all'apertura ampia dove sarà bene che faccia passare il capo; anzi, è obbligato il passaggio della testa da quell'apertura, non ce ne sono di più ampie. Certo se fossi un po' più alta... Speriamo bene! Ho paura di tagliarmi! Nella gola ci sono delle arterie fondamentali: la carotide, la giugulare... Luca, Luca, non ti muovere, sto arrivando. Ma, accidenti, che passaggio stretto, eppure io non sono grassa! Le anche non passano, proverò ad infilarle una per volta, di lato."
"Luca, ma che fai? Ti strappi tutto, siediti, anche se ti graffi un po' ...! No ma che dico, aspettami Luca; oddio lo spuntone."
"Ma che bella ciotola di more hai raccolto Luca, sei stato molto svelto e bravo; ne faremo una buona colazione per il mattino. "Luca!!!"...
"Signora, Signora si svegli; non mi vede? Apra gli occhi...!
Una mano le stava picchiettando la guancia. A stento le era riuscito di scollare le palpebre che parevano chiuse con l'adesivo. Aveva distinto un volto circonfuso da un alone di luce ed aveva riconosciuto il capo chiuso nell'ampia cuffia bianca di una suora che le alitava fastidiosamente sul volto. Si era chiesta all'istante perché era sempre stata data tanta responsabilità peccaminosa ai capelli delle fanciulle che si consacravano a Dio. Non trovò una risposta, ma tant'è! La cosa era passata attraverso i secoli senza cambiamenti: coloro che sceglievano la vita verginale, per prima cosa, dovevano liberarsi dei capelli!
"Signora!" Le aveva sussurrato la suora vestita di lana bianca:
"Abbiamo fatto di tutto, l'abbiamo trattenuto in tre, ma suo marito era robusto, agitato da una forza forsennata... ci è caduto, ci è caduto nel vuoto, non siamo riusciti a trattenerlo, era ormai tutto pencolante oltre la finestra!..."
Aveva fatto in tempo a vedere un'altra suora, tutta vestita di nero che ancor più fastidiosamente le alitava sul volto tentando di trattenere tra le mani la sua che si era fatta artiglio tra le lenzuola.
Richiuse gli occhi cercando disperatamente di rientrare nel sogno, dove i suoi cari erano ancora tutti presenti: suo marito teneva tra le braccia la piccola Linda e Luca l'aspettava tra i rovi, accanto alla ciotola ricolma di more.
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2 recensioni:
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- Tempo ben speso nel leggere questo racconto.
Eccellenti doti linguistico-espressive ed eloquio fluido.
Non mi convince, ma è solamente una mia opinione, la parte finale, che trovo, parzialmente, nebulosa.
In ogni caso, è bello leggerti.
Oissela
- UN RACCONTO APPREZZATO PER LA SUA SCORREVOLEZZA E PER LA FAMILIARITA' DEL CONTENUTO... FELICE GIORNATA DORELLA
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