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La strage
Angela era solita attardarsi la sera; le piaceva rimanere qualche momento in solitudine per raccogliere le idee e mettere in ordine gli avvenimenti della giornata. Quando poteva dare un giudizio positivo su quanto aveva fatto, si sentiva contenta. Per lei era come mettere a posto le cose di casa: amava vivere nell'ordine in sé stessa ed intorno a sé. Quando aveva l'animo inquieto e le cose non erano chiare, si sentiva a disagio ed aveva l'impressione che tutti se ne accorgessero. Non andava mai a dormire senza prima aver raccolto ogni giocattolo, senza aver riordinato le stoviglie e rimesso ogni cosa al suo posto; tutte le cose che durante la giornata, piccoli e grandi, avevano gettato o dimenticato qua e là, sparsi per la casa.
Prima di dormire si raccoglieva e cercava di ripensare alla giornata trascorsa per trovare una positività nei fatti accaduti, anche quando erano stati difficili, per cercare di addormentarsi in pace.
La nonna poi non era disordinata ma aveva il gusto di cambiare posto agli oggetti, disorientando così il generale andamento famigliare perché ognuno, non trovando le proprie cose al loro posto reagiva inevitabilmente con animoso malumore, ed essa, sotto-sotto, si divertiva. Era una piccola rivalsa che si procurava per quel sentirsi aggregata nella posizione di secondo piano che oramai occupava in famiglia.
Era stata protagonista nella sua vita, donna di comando, dal carattere forte e deciso, in famiglia ed anche nell'ambiente di lavoro dove aveva sempre occupato posti di rilievo. In gioventù era stata direttrice di una Casa di Moda, con tante allieve da guidare ed a cui insegnare la preziosa attività di confezionatrici di abiti d'Alta Moda.
In seguito si era occupata di promuovere iniziative di volontariato, come l'ospitalità alle persone bisognose con problemi di carattere pratico: la ricerca del lavoro, della casa, del medico adatto a patologie particolari. Gente a cui una parola di conforto ed un po' di compagnia permetteva di risalire la china che li aveva prostrati nelle più svariate forme depressive rendendo la vita ancor più difficile ed i problemi ancor più gravosi. Attività sociali, organizzazione di gruppi di donne che al momento opportuno, avrebbero fatto sentire la loro voce in difesa dei loro diritti anche a livello politico. Era stata stimata da tutti e da alcuni anche temuta.
Ora era anziana ma sapeva che la sua fama era rimasta intatta. Le amiche la salutavano per la strada con calore e con parole di rimpianto. La vita sociale era molto cambiata: i giovani consumavano le loro energie in passioni che non erano sane ed essa non li sentiva più prosecutori ed eredi del suo tempo, il dopo guerra, durante il quale la vita che era stata calpestata, aveva via- via ritrovato tutto il suo valore. Tutto ciò non era più attuale e nel ricordo permanevano in lei le aspirazioni di pace e di giustizia che l'avevano spronata negli anni giovani e che ora la facevano sentire vecchia più di quanto non fosse, soltanto perché le sue esperienze erano ormai lontane e le erano venute meno le forze. Parlava poco, si muoveva poco ed in casa nessuno si preoccupava di farla parlare e muovere di più.
Manteneva il suo raziocinio e la forza di volontà, le capacità mentali erano rimaste intatte ma il fisico, divenuto cagionevole per via dell'età le creava attorno una sorta di spenta commiserazione che la umiliava.
Qualche volta Angela la portava fuori per una passeggiata e s'accorgeva che la madre non guardava nulla: Non le vetrine, non le persone, non come fosse il tempo, se brutto o se bello. Camminava accanto a lei appoggiandosi al bastone e mormorando qualche parola che non era affatto attinente con ciò che stavano facendo.
Più volte Angela vi aveva rinunciato pensando che nella tranquillità della casa sarebbe riuscita a sentirsi ancora viva ed utile. E così era infatti: L'anziana donna si destreggiava in cucina e badava a mettere punti ed attaccar bottoni; i suoi cari l'amavano ma non ritenevano necessario farla partecipe della loro vita affannata. Erano certi che tenendola all'oscuro degli avvenimenti, le avrebbero risparmiato ansie e fatiche.
La nonna capiva l'intendimento buono dei suoi familiari ma non le riusciva proprio di accettare di essere inadatta alla loro vita, inadeguata ai problemi; insomma mal sopportava ancor più della propria vecchiaia, il fatto che gli altri la giudicassero finita. Allora in qualche modo si ribellava e, non di rado faceva dispetti, appunto nascondendo o spostando le cose, il che non faceva che aumentare il disagio della convivenza. I nipoti andavano su tutte le furie, il genero per non prendere posizione contro di lei, se la prendeva con Angela la quale, cadendo dalle nuvole, li scongiurava di crederle perché proprio ignorava dove fossero i nascondigli della madre.
Ad Angela stava particolarmente a cuore il salotto che aveva essa stessa arredato secondo tutte le sue necessità ma anche nel rispetto del bisogno e del gusto di tutta la famiglia.
Anche i bambini, sebbene molto piccoli e pasticcioni, avevano il permesso di sedere sui divani e di giocare sul tappeto. Essa vi trascorreva gran parte delle ore della giornata, lavorando, leggendo, scrivendo. Aveva amiche affezionate con le quali condivideva la vita di tutti i giorni.
Lavorava sempre volentieri, con calma e con grande attenzione cercando di soddisfare i desideri di tutti; ciò la pacificava interiormente e la metteva in armonia con se stessa.
Più che per la soddisfazione di veder attuato qualcosa di ben fatto con le sue mani, proprio come sua madre, era forte in lei il bisogno di sentirsi viva, utile, necessaria. Ed il lavoro le dava appieno questa sensazione. La stanchezza non la diminuiva, si riposava allietandosi di tanto in tanto, nel guardare la bella natura che le stava attorno e che dava ristoro al suo animo gentile.
Poteva bastare uno splendido plenilunio che entrava di notte dalla finestra della stanza, o l'aria profumata che saliva dai giardini fino al suo balcone; oppure di giorno, nel camminare tra la gente osservando tutti quei volti diseguali, cercando di immaginare lo stato d'animo di ognuno, per mantenere il proprio sereno, nonostante fosse gravato dagli innumerevoli problemi della vita familiare: il marito molto assente, i figli che crescevano a vista d'occhio e divenivano sempre più esigenti e non ultimo il menage ulteriormente appesantito dalla presenza della anziana madre. Ma tant'è! Ella sapeva che così è la vita e che nel caso specifico si sentiva privilegiata per l'amore che la teneva unita ai suoi cari.
Ma i suoi cari non si avvedevano di nulla, non s'accorgevano neppure quando a volte usciva con la febbre per procurarsi le medicine perché nessuno poteva fermare le proprie attività ed occuparsi di lei. Essa era certa che l'indifferenza era soltanto apparente e che ognuno di loro l'amava, che avrebbe fatto qualunque cosa per aiutarla e per farla contenta.
Talvolta, per trovare sollievo e recuperare le forze, guidava fino fuori città per vedere lo sfondo delle montagne vicine, che componevano lo scenario più bello e superbo, che mai avesse potuto godere in qualunque teatro del mondo; ciò le bastava per farla sorridere e ritornare a casa con rinnovato buon umore.
Un mattino era uscita da sola lasciando a casa i bambini con la Tata che li accudiva con amore materno e per ciò sempre in rivalità con la nonna. Era infatti essa madre di otto figli e conosceva tutti i rimedi e tutti i metodi, affinché non si mettessero nei pericoli col rischio di farsi male e giocassero tranquilli. Con lei i bambini avevano un feeling particolare la qual cosa permetteva ad Angela di assentarsi qualche volta da sola in tranquillità.
Aveva preso il bus vicino a casa; alla fermata aveva acquistato un carnet di biglietti e si era recata nel centro della città in quella sua amata città; la grande casa dove aveva trascorso tutti gli anni vissuti. Sempre, in quei pochi chilometri quadrati, che l'avevano vista crescere, divenire donna e poi moglie e poi madre.
Come in una pellicola, vedeva la bianca cattedrale e la piazza, dov'era solita andare a guardare il cielo; un pezzo di cielo più grande di quello che vedeva normalmente, camminando per le vie, o dalle finestre di casa, dalle finestre dell'ufficio.
In quel pezzo di cielo aveva visto temporali e pleniluni, aveva guardato le eclissi e le comete, aveva visto gli arcobaleni e la neve che, alzando gli occhi, cadeva nera e poi, cadendo a terra, subito bianca. Ed il sole grande al tramonto, rosso, netto, senza raggi, che spariva dietro i tetti.
La sua città dove aveva visto piantare gli alberi che di primavera si riempiono di fiori rosa ed ornano i viali della circonvallazione; dove, negli anni, la periferia si è sempre più allontanata, dove tram ed autobus avevano almeno quattro volte cambiato numeri e colore ed, alla fine, erano stati verniciati a colori di Arlecchino o a prato fiorito, od ad arcobaleno.
La sua città dove quasi tutti i negozi erano spariti e dove si erano aperti grandi magazzini di varie Compagnie anche straniere; dove un tempo era privilegio di pochi percorrere le vie del centro con le auto e di cui ora, tutti, vorrebbero poterne fare a meno.
La sua città dove l'aria è come un veleno somministrato a tradimento, e dove per almeno due mesi all'anno, è meglio non esserci, per non morire di afa, di solitudine, di abbandono.
La sua città dove tante volte aveva passeggiato vestita in costume, battendo il suo bastoncino di gomma piuma sulla testa dei passanti durante il Carnevale.
Dove aveva visto crescere sulle macerie della guerra prati fioriti e alberi come su una verde collina naturale.
La sua città dov'erano stati costruiti i primi grattacieli all'italiana, pochi per la verità, ma singolari ed unici, costruiti in cemento armato per via delle falde acquifere sottostanti.
Ed invece sui navigli non è mai stata tolta o cambiata una pietra, per non cancellare quell'aspetto antico e miserando dell'Ottocento, oggi considerato suggestivo e pittoresco.
La città dove in estate, l'andarsi a sedere in una chiesa, molto più che all'Idroscalo od al lido, ci si può rinfrescare e ristorare.
Dove gli anni fin lì vissuti erano stati accompagnati dalla costruzione dell'intera metropolitana sotterranea: rossa, verde, gialla, ancor quando, a lato del Duomo, due vie più in là, c'erano gli orti, e per la quale opera era sparita per quarantacinque anni l'unica fontana della città, antistante il Castello.
La sua città che ostenta estraneità, più per prudenza e per paura, che non per snobismo; una estraneità scostante per cui, diventare amici, è cosa tutt'altro che facile. Il luogo raffinato dove, pur d'apparire meno snob ha concesso alle bancarelle di accasarsi nelle vie più eleganti del centro.
La cara città che, agli albori della moda miliardaria di oggi, faceva moda sul marciapiede della strada, nei cortili, sui tram, negli uffici. Un colore diveniva predominante: ognuno portava un foulard, un abito, una maglietta di quel colore che diveniva tanto bello soltanto perché era il colore di moda, il colore di tutti. Un taglio di atelier veniva ricopiato dalle centinaia di sartine della città. E la grande passerella diffondeva silenziosamente nel mondo il prestigioso "Made - in- Italy".
La sua città dove aveva fatto la sua prima passeggiata al braccio del fidanzato e, tra gli alberi del parco, aveva ricevuto il suo primo bacio d'amore. Era la sua città: l'aveva amata, le era nota, conosciuta, non l'avrebbe mai lasciata...!
La piazza più grande del centro quel giorno era come sempre gremita di gente Era il luogo più frequentato, dove le persone si davano appuntamento, i giovani si incontravano per passeggiare insieme, per sfoggiare il nuovo look, per fare acquisti di prodotti griffati.
Ad Angela piacevano le vetrine dei negozi, la cattedrale. Era solita entrare nella grande Chiesa, si sentiva ristorare specie d'estate e non di rado le capitava di prendere una Santa Messa al volo. Era anche piacevole per lei sentirsi parte della città che era casa sua da sempre.
Aveva da sbrigare alcune pratiche dal notaio il cui studio si trovava proprio da quelle parti, nei pressi della grande piazza. Suo marito glielo aveva raccomandato per le pratiche necessarie alla vendita di un terreno di sua proprietà, ereditato dal nonno.
All'indirizzo indicatole suonò il campanello e qualcuno le aprì immediatamente. Salì l'ampia scalinata di marmo ed al primo piano trovò una segretaria che le aveva aperto la porta e la invitava ad attendere nel salotto grigio sul quale s'apriva l'uscio incorniciato di legno scuro e dal quale probabilmente sarebbe arrivato il Signor notaio.
Il notaio non si fece attendere; Angela sentì il rumore della maniglia e lo vide comparire sulla soglia dell'uscio che aveva osservato nel salotto e dove se ne stava affondata in una delle ampie poltrone di pelle grigia disposte davanti all'ampia scrivania lucida e carica di plichi.
La mole dell'uomo riempiva quasi totalmente lo spazio tra gli stipiti; aveva il volto largo ed il naso camuso che lo faceva sembrare piatto. I capelli non si vedevano, erano pochi e tutti raggruppati sulla nuca spalmati di gel, dando a chi lo guardasse di fronte, l'impressione che fosse totalmente calvo. Ciononostante l'insieme non era privo di signorilità; l'abito che indossava era scuro ed il taglio di linea classica gli dava l'aspetto distinto che era cosa assai importante per chi esercitava l'ufficiale professione. Le scarpe erano nere e lucenti.
Dopo il saluto con un breve cenno del capo ed un formale sorriso, l'omone era andato a sedersi alla scrivania, aveva preso il fascicolo contenete i capitoli con i dettami legali che avrebbero regolamentato la trattativa, ed aveva iniziato a leggere a bassa voce con insopportabile monotonia ogni postilla, ogni comma, ogni stralcio di interesse specifico per il caso in questione.
Angela ad un certo punto, con un che di insofferenza che le provocava la presenza del notaio ed il suo monotono parlare, a causa anche del caldo che aveva reso irrespirabile l'aria della stanza, prese a muoversi in modo concitato, come fosse seduta sulle pigne; si provocò un secco colpo di tosse che poi divenne un tossire insistente capace, di bloccare la logorroica tiritera notarile.
Si era alzata con mal celata fretta ma con molto garbo, per far capire che voleva accomiatarsi, adducendo ciò alla sua improvvisa preoccupazione per l'orario della Tata, che non avrebbe potuto trattenersi oltre con i suoi bambini. Incolpò anche il traffico cittadino, causa del poco tempo che aveva avuto a disposizione. Mormorando qualche parola di scusa e con un sorriso di sollievo, disse che avrebbe mandato suo marito appena possibile per concludere il documento. In modo repentino aveva teso la mano per stringere quella del notaio grande e grassoccia, il quale signore gliela porse a sua volta, con un'espressione stralunata negli occhi spalancati ma senza fare alcun commento, pur avendo la bocca aperta a metà dalla quale Angela sentì uscire un forte odore di tabacco. Non disse una parola; un po' confusa ed anche intimamente divertita, ella si voltò, si avviò all'uscita ed egli richiuse la porta alle sue spalle. Tranquilla Angela scese le scale e se ne andò.
Si ritrovò presto nella piazza, si recò alla telefonia pubblica per chiamare casa; voleva assicurarsi che tutto stesse andando bene e che la Tata fosse al suo posto. Seppe che Michele si era schiacciato la punta del dito medio nello sportello del frigorifero ma che dopo aver urlato e tenuto il ditino per dieci minuti sotto il getto dell'acqua fredda, il dolore era cessato e dell'infortunio non vi era rimasta traccia.
Aveva guardato l'orologio e si era accorta di essere in anticipo sull'orario previsto. Pensò di concedersi una passeggiata per dare un'occhiata alle vetrine ed eventualmente comperare un abito nuovo per l'anniversario di nozze. Lo trovò, lo indossò e mirandosi nello specchio ammirò l'eleganza dell'abito color avana che le dava un fascino particolare. Lo acquistò e pagò il prezzo salato senza batter ciglio.
Alquanto frettolosamente s'incamminò e percorse le vie degli anni giovani e spensierati, quando l'orologio non scandiva il suo tempo e i doveri erano pochi.
Si chiese quanto mancasse al ritorno di suo marito. Non era troppo tardi, sarebbe arrivata a casa prima di lui. Provò un vago disagio, non aveva risolto la pratica col notaio ed inoltre se ne stava tornando a casa con un costoso abito nuovo. Sapeva che suo marito sarebbe stato contento di vederla come sempre ben vestita; tuttavia qualche volta le aveva fatto notare che non tutti gli acquisti erano stati opportuni ed Angela se ne era sentita umiliata. Non era vanitosa Angela, tanto meno aveva pretese per sé stessa. Le sue preoccupazioni riguardavano principalmente i suoi piccoli ma era anche donna e quindi un po' vanitosa; le piaceva vestire bene, avere ciò che le occorreva per sentirsi a proprio agio in ogni occasione, ovunque si trovasse. Sapeva d'essere bella, le persone glielo avevano sempre detto ma essa non se ne vantava; voleva soltanto essere contenta di sé ed un bell'abito, molte volte le aveva dato sicurezza. Soffriva della scarsità d'attenzione di suo marito, lo attribuiva alle assenze ed alla mole di lavoro che doveva svolgere e di cui era responsabile; tuttavia si era accorta talvolta che egli riservava ad altre signore i suoi complimenti facendola fortemente ingelosire.
Il bus arrivò ed Angela salendo andò a prendere posto nella breve fila di singoli sedioli allineati davanti alle porte d'uscita.
Il conducente aveva atteso qualche istante e poco dopo aver avviato il veicolo, si era messo furiosamente a suonare il clacson ripetutamente, perché un furgone s'era messo obliquo sulla strada e gli impediva di proseguire.
Nel medesimo istante un boato improvviso aveva squarciato l'aria e superato il frastuono del clacson, sebbene giungesse da un luogo non vicinissimo. Una deflagrazione che fece tremare i vetri e bruscamente bloccare il bus; molte persone, sotto la spinta dell'inerzia, avevano perso l'equilibrio ed erano cadute una sull'altra sul pavimento. Si levarono alte grida: i lamenti di coloro che s'erano fatti male. Il manovratore gridando qualcosa era riuscito ad aprire le portiere.
Tra gli spintoni e le imprecazioni, calpestando i malcapitati che giacevano a terra, i viaggiatori si erano gettati fuori scendendo dal veicolo e mettendosi a correre di qua e di là sulla piazza. Angela era stata capace di non cadere e di non calpestare il prossimo in difficoltà; era scesa tenendosi saldamente al corrimano a lato del predellino e non appena fuori, aveva cercato un vigile perché chiamasse l'ambulanza per dare soccorso ai contusi del bus.
S'era creato un fuggi-fuggi generale; ognuno scappando si dirigeva a caso, non sapendo bene da quale parte scappare. La paura aveva creato il panico, tutti gridavano il loro parere inventato lì per lì e non c'era nessuno che sapesse dare informazioni; nessuno sapeva cosa fosse accaduto. Tutti però sottacevano d'aver riconosciuto nel fragore l'esplosione di una bomba.
Angela aveva provato l'impulso di correre verso la piazza adiacente, da dove le era parso fosse provenuto lo scoppio ma era riuscita a trattenersi. Guardava la gente come impazzita che si dirigeva a destra ed a sinistra, senza ragionare e senza calmarsi.
Arrivò l'ambulanza e gli infermieri si adoprarono spruzzando sugli ematomi liquidi freddi, medicando le escoriazioni e cercando di rimettere a sedere in migliori condizioni i poverini finiti sotto i piedi dei fuggitivi.
Con il cuore in tumulto, non sapendo cosa altro fare, Angela era risalita sul bus con le gambe che tremavano. Si sentiva confusamente in colpa senza distinguere che cosa le procurasse quello stato d'animo. Alcune persone tra quelle che erano cadute, si erano rimesse a sedere cercando di ricomporsi; altre ancora, amareggiate e scoraggiate erano risalite con l'agitazione di chi era scampato ad un grave pericolo e non vedeva l'ora di ritornare a casa.
Il conducente aveva richiuso le porte ed in silenzio aveva ripreso la sua corsa.
Dopo venti minuti circa, Angela saliva le scale di casa.
Entrando aveva salutato la Tata vestita di tutto punto, pronta ad andarsene. Aveva preso tra le braccia il più piccolo dei figli e si era messa a sedere; li volle accarezzare tutti. Lo spavento che aveva nel cuore la teneva col fiato rotto dall'ansia e non le riusciva di non mostrarsi agitata ai bambini.
"Mamma cos'hai? Perché tremi?" Matteo sta bene, non gli fa più male il dito!"
Accarezzandoli e senza rispondere, aveva acceso il televisore ed aveva sentito che stavano già dando la notizia:
"È esplosa una bomba in un luogo pubblico provocando una strage. Il numero dei morti non è ancora precisato, ma sono molti; i morti sono molti...!"
Con sgomento Angela aveva stretto a sé i suoi piccoli ed aveva promesso loro, spinta dalla paura del momento, che non sarebbe mai più uscita sola.
Squillò il campanello di casa; insieme andarono ad aprire al papà che, come ogni giorno, tornava a casa per il pranzo passando attraverso le vie e le piazze della grande ed amata città, improvvisamente divenuta pericolosa.
Gli sorrise e lo accolse con particolare tenerezza, contenta di averlo lì presente, come ogni giorno, insieme con l'intima tranquilla convinzione che sarebbe stato per sempre!
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