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Il 25 Aprile
Penso che il 25 Aprile non debba essere una celebrazione rituale, ma memoria. Memoria di diritti violati come mai nella storia. Invano cerco nella storia passata violazione di diritti pari alla deportazione di ebrei, zingari, oppositori politici concentrati in campi di tutti gli orrori, gasati, ridotti a nero fumo per giorni, e giorni, e giorni, ad oscurare il cielo. Memoria di chi, ai carnefici, si oppose con una convinzione ed un coraggio tali da non fargli temere né le torture, atroci, né la morte. Ho letto alcune lettere di condannati a morte che salutano i loro cari con parole serene, prive di odio, colme d'amore per la libertà e la giustizia. Memoria delle speranze che si aprirono al mondo quando la dittatura nazifascista fu abbattuta. Nello scenario tragico del periodo che viviamo, il 25 Aprile, che molti cercano di relegare nell'oblio, deve invece balzare alla nostra memoria come monito, speranza, come sollecitazione di impegno civile e politico per riconquistare speranza, per progettare un futuro di pacificazione, di solidarietà, di gioiosa convivenza di uomini fratelli. In questo 25 Aprile vorrei fare memoria di quello che ho visto, sedicenne, nella mia Roma occupata dai tedeschi. L'8 settembre trovò una Roma già profondamente ferita dal bombardamento del! 9 Luglio che sconvolse una città che, per essere sede di un vescovo che era anche il Papa e per avere un patrimonio artistico millenario, era sicura di essere risparmiata da attacchi aerei. Città aperta. E invece l'attacco ci fu e stroncò più di 4000 vite non lasciando in pace nemmeno i morti del cimitero del Verano dove molte bare vennero dissotterrate e scoperchiate.
Quando l'8 settembre i tedeschi decisero l'occupazione di Roma ci fu un tentativo di resistenza breve ma significativo. Vi morì un ragazzino mio coetaneo e mio coinquilino, insieme ad un gruppo eterogeneo di ragazzi, adulti e vecchi. Furono colpiti carri armati tedeschi che rimasero per qualche tempo sulla desolata via Ostiense come vecchi pachidermi colpiti a morte. I nove mesi di occupazione furono pesantissimi, a partire dalla grave carenza di generi alimentari di prima necessità fino alle molteplici violenze dei nazisti. Il Ghetto fu invaso e tutti gli ebrei che vi si trovavano furono caricati su camion, destinazione Germania, campi di concentramento. Posso dire di aver quasi vissuta questa tragica tappa di un cammino di orrori: una nostra parente ci telefonò piangendo. Abitava in via Arenula, proprio al confine del Ghetto e dalla finestra della sua tranquilla casa aveva visto tutto. Mio padre, mia madre ed io, in quel periodo, eravamo ospiti di una zia che abitava vicino al Vaticano. Mio padre aveva ceduto la nostra casa ad un collega che aveva perso la sua nel bombardamento del 19 luglio. Mio padre, in quel periodo, rischiò due volte la morte. La prima quando fu bombardato il deposito ferroviario S. Lorenzo dove piovvero 186 bombe. Lui, per motivi di servizio, non c'era. Il bombardamento lo colse nei pressi di S. Maria Maggiore. In un primo momento si rifugiò sotto un grande serbatoio d'acqua che però non gli sembrò sicuro. Se ne allontanò giusto in tempo per vederlo saltare in aria. Dal secondo rischio mortale lo salvò una gentile e civile signora affacciata alla finestra della sua casa in Via dei Serpenti. I tedeschi avevano bloccato tutto il tratto di strada che, dal Palazzo dell'Esposizione, a metà circa della lunghissima Via Nazionale, arriva a Piazza Esedra, oggi Piazza della Repubblica. Tutti gli uomini che entravano in quella zona rossa venivano caricati su camion e portati ai campi di lavoro. Mio padre, in bicicletta per andare al lavoro, stava entrando in quella zona quando si sentì chiamare sommessamente da una voce di donna che veniva dall'alto. Alzò gli occhi e vide la gentile signora che, un po' con parole sussurrate, un po' a gesti, gli fece capire che doveva tornare indietro. E poi ci fu l'attentato di via Rasella. I partigiani avevano piazzato delle bombe in un bidone della spazzatura (se non ricordo male). Al passaggio di una colonna tedesca le bombe esplosero e 33 tedeschi morirono. La ritorsione fu immediata. 335 italiani, tutti innocenti, furono fucilati. Solo a liberazione avvenuta si seppe il luogo delle fucilazioni: le Fosse Ardeatine.
Ricordo che una donna incinta, Teresa Gullace, si trovava sotto la caserma di Viale Giulio Cesare dove era rinchiuso il marito insieme ad altri prigionieri politici. Con Teresa c'erano altre donne che chiedevano di vedere i mariti. I tedeschi spararono e Teresa fu colpita a morte. È lei che ha ispirato Rossellini per il personaggio interpretato da Anna Magnani in una famosa, struggente scena del film "Roma, città aperta" Per nove mesi i tedeschi rapinarono, violentarono, torturarono. Giunsero a bombardare il Vaticano per screditare gli americani. Non ci furono molti danni. I vetri della casa che ci ospitava andarono in frantumi ma un uomo che si era avventurato ad uscire di casa dopo il coprifuoco fu colpito mortalmente da una scheggia di bomba e si accasciò sotto l'immagine di una Madonnina posta a lato del portone di un Oratorio. La casa che ci ospitava era vicinissima a Porta Cavalleggeri che immette sulla via Aurelia. Da quell'osservatorio assistetti alla ritirata dei tedeschi. Iniziò la mattina presto con i blindati di un esercito apparentemente ancora potente. Tranne una breve pausa per andare a mangiare qualcosa, non abbandonai il mio osservatorio e così vidi la coda della ritirata, quando già iniziava la notte. Gli ultimi tedeschi che lasciarono Roma erano ragzzi diciottenni, sbigottiti, umiliati, che si ritiravano in bicicletta o a piedi. Mi fecero davvero molta pena. Contemporaneamente gli americani entravano dalla via Casilina. Ricordo che, consultando lo stradario dell'elenco telefonico, chiamavamo degli sconosciuti che abitavano nella Casilina. Chiedevamo: "Sono arrivati?" Dopo due o tre telefonate una voce allegra rispose: "Siiii!!!!!!!" Un esercito se ne andava, un altro entrava. A notte inoltrata una camionetta americana si fermò proprio davanti alla casa di mia zia. Un uomo scese dal palazzo di fronte con un fiasco di vino che offrì agli americani. Fu il primo brindisi alla liberazione al quale assistetti in quella notte incredibile. Il giorno seguente, 4 Giugno, l'esercito americano attraversò tutta Roma, fra una folla di gente festante sulla quale piovevano dai carri armati cioccolate e caramelle.
Non posso chiudere questa memoria senza ringraziare mio padre che non mi tenne al riparo della tragedia che stavamo vivendo, ma mi permise di assistere a molti fatti significativi. Se non fosse stato per lui non avrei visto la ritirata dei tedeschi, la marcia trionfale degli americani, il bagliore dei cannoneggiamenti che avvenivano intorno ad Anzio dove gli americani erano sbarcati e che mio padre mi portava a vedere dalla terrazza di Villa Celimontana. Fu lui a portarmi a vedere le Fosse Ardeatine appena furono aperte al pubblico. È stato mio padre a costruire la mia coscienza civile e il mio interesse politico. Grazie, Papà! Mi hai fatto vedere la guerra e mi hai insegnato ad amare la pace.
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