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Giovannino, l'amico del re della savana
GIOVANNINO, L'AMICO DEL RE DELLA SAVANA
È doveroso innanzitutto premettere che il re della savana era un sovrano alquanto strambo. Non imponeva balzelli ai suoi sudditi e nemmeno pretendeva ossequi e riverenze. A queste assurdità aveva aggiunto la concessione - che aveva fatto esporre sugli alberi del regno, non uno escluso - tutti erano liberi di muoversi per la savana a loro piacimento. Al sire bastava che non giungessero nel rifugio che aveva scelto, un boschetto verde e zampillante dove trascorreva le sue giornate che, se per un re consistono in ozio a stomaco pieno, per un leone non si differenziano molto. L'accesso, per qualsiasi evenienza, era impedito dalle leonesse e dai cortigiani, trascurando la più che comprensibile soggezione che incute un re, figuriamoci un re-leone!
Questo sovrano il trono l'aveva ereditato dal padre, che a sua volta l'aveva ereditato dal genitore, che a sua volta... e così indietro, sperdendosi nelle notti dei secoli, sino ad un antenato, il quale, armi in pugno e guerrieri al fianco, se l'era procurato sbranando il sovrano legittimo.
Magno XVIII non si sentiva un re, mai si sarebbe sentito un re. Ma nemmeno si sentiva un leone. Ne possedeva la criniera, il tratto, il ruggito : null'altro. Timido, per niente amante delle mondanità, schivo dei complimenti e delle adulazioni, un ulteriore particolare lo costringeva a dubitare della propria pelle : mai e poi mai avrebbe affrontato in combattimento un altro felino; e, si creda, non per codardia.
Non che Magno XVIII non si fosse provato a comportarsi come le Leggi comandano, stimolato dal padre non meno di quanto non fosse stato stimolato dai sudditi e dai tanti che si era ritrovato tra le zampe in ogni momento della giornata : e per acclamarlo, e per lodarlo, e per indurlo a prendere moglie, ché avrebbe dato il sospiratissimo erede al trono nonché dimostrato la propria virilità... Alla prova dei fatti, il leopardo ucciso aveva procurato a Magno XVIII nottate insonni, rimorsi, conati di vomito, diarrea mentre, secondo l'usanza, per tre giorni erano andati avanti i festeggiamenti, subito decretati dal Primo ministro.
Fisso a rimirare le proprie sembianze assassine nelle acque di una pozza, mentre era raggiunto ed infastidito dai canti elevati in onore del futuro re dai sudditi intenti a spartirsi con equità le carni della carogna ammazzata, Magno XVIII aveva giurato a sé stesso che non avrebbe più ucciso un suo simile, tanto meno un coniglio, una mosca, una formichina... Era accaduto allora che un uccelletto del cielo - un gruccione scarlatto, da tutti chiamato Giovannino - osservando il suo sovrano tanto abbattuto, aveva osato avvicinarsi.
A quelle ali intimorite, il leone, singhiozzando senza ritegno, aveva confidato quello che reputava il segreto più vergognoso. Ma, invece di essere deriso, si era sentito rispondere che solamente gli sciocchi uccidono per dimostrare un valore di cui sono privi, lui di coraggio ne aveva mostrato sin troppo evitando di combattere dal momento che era scontato che a soccombere non sarebbe mai stato il re della savana.
Da quell'incontro era nata la loro amicizia, che ben presto si era trasformata in qualcosa di molto più profondo. L'uccello aveva lasciato i suoi alberi ed i suoi compagni e si era trasferito alla corte del sovrano. Zampettava senza timore in mezzo ai felini. Dormiva addirittura sulla criniera del re. Era temuto e rispettato anche dagli uccelli predatori. Potendo volare libero e sicuro, era sempre lestissimo ad avvertire il suo Sire quando una fiera si aggirava nei pressi, così a Magno XVIII non succedeva mai di dover affrontare animali alla ricerca di gloria. Però, per rinverdirgli la fama ed evitare insinuazioni sempre in agguato, ogniqualvolta scovava i resti di una carogna, Giovannino si affrettava a spargere la voce che quanto i sudditi erano accorsi a guardare non erano che le ossa del temerario che, fuori di senno certissimamente, aveva osato sfidare il loro sovrano.
Un sodalizio che sarebbe durato per l'eternità se, un pomeriggio, non fossero sopraggiunti degli uomini, incaricati da uno zoo. Costoro, fermati i camion ed afferrati i fucili, si erano informati su chi fosse l'animale più prestigioso. In meno che non si dica, il re della savana si era accomodato dentro una delle loro capienti reti.
Mai sudditi e congiunti avevano dato prova di maggiore vigliaccheria. Dimentichi della bella vita che avevano condotto grazie alla magnanimità del loro sovrano, lo avevano abbandonato al suo destino e già si apprestavano ad eleggerne il successore ; in compenso avevano salvato la propria pelle mentre, legato, stordito, issato ed inchiodato fra quattro assi, a testa all'ingiù, il loro ex sovrano si concedeva agl'insulti e agli schiamazzi di animali che, di norma, in presenza di un leone se la fanno sotto.
Giovannino non era stato in grado di avvertire il suo sire e di aiutarlo a fuggire. Si era assentato, burla più atroce, alla ricerca di un luogo per l'imminente villeggiatura. Era tornato a misfatti compiuti, senza fiato e con le ali indolenzite, perché aveva captato che qualcosa di molto grave era accaduto. Mai si sarebbe scordato di quanto aveva visto e sarebbe gioco crudele ricordarlo. Giovannino aveva cercato gli occhi dell'amico per tentare di confortarlo almeno con uno sguardo, ma Magno proteggeva gli occhi con una zampa per non vedere quanto gli succedeva attorno. Decisi e precisi colpi di frusta avevano bloccato i tentativi di avvicinarsi dell'uccelletto.
Il re della savana era destinato ad uno zoo italiano privo dell'esemplare più rappresentativo. Di più Giovannino non aveva appreso, ma gli era stato più che sufficiente se aveva deciso che non avrebbe abbandonato l'amico, per niente al mondo si abbandona un amico.
Purtroppo le sue ali non erano in grado di reggere ad un viaggio del quale, oltre la durata, non erano prevedibili le difficoltà. Vi era un'enorme massa d'acqua da attraversare, questo gli era noto. Per il resto : nord, polo, ovest, equatore... Ma Giovannino avrebbe raggiunto il suo sovrano a qualsiasi mezzo. Non lo ripeteva per convincersi, se mai per convincere ad unirsi a lui i tanti ai quali si era rivolto. Solo una vecchia aquila si era impietosita ed aveva accondisceso ad istruirlo un poco. Due ore oggi, tre domani, cinque-sei ore la seconda settimana... La saggezza dell'istitutrice fu l'indispensabile tirocinio per un animale abituato a brevi voli ed alla sicurezza di un protettore.
Quando giunse l'alba della partenza l'uccelletto si guardò intorno, nessuno era venuto a salutarlo ed a portargli un saluto per il loro re. Ne sorrise con tristezza. Con una conserva d'acqua legata ed un fazzoletto con dentro della mollica stretti al collo puntò verso il nord e verso l'ignoto.
Il viaggio non vale descriverlo. Possiede l'intatto sapore della fatica, della tenacia, della lotta contro la morte. Quella distesa interminabile d'acqua marina non era che un liquido imbevibile, ed invano le centomila fibre del suo corpo avevano invocato una goccia d'acqua che gli placasse l'arsura... Giovannino era stato accontentato da un nubifragio; a questa abbondanza di acqua l'uccelletto si era sottratto rifugiandosi su un piroscafo, ma anche da lì era fuggito via per non diventare trastullo di un lupo di mare.
Poi, quando a Dio non dispiacque, e gli sembrava che fossero passati secoli, l'uccelletto pervenne in vista della costa. Scorse, sul declino della rena, un albero. Lo raggiunse, si aggrappò ad un ramo e si obbligò ad un paio d'ore di riposo, ma : " due, non di più. " Sin troppo tempo aveva buttato via nei preparativi e nella traversata, più che mai temeva per Magno, i racconti intesi sugli zoo non avevano contribuito a rasserenarlo.
Giovannino aveva in mente un piano preciso. Avrebbe puntato sullo zoo più vicino ; un giro di perlustrazione dall'alto e, se non avesse intravisto l'amico, avrebbe proseguito evitando di chiedere informazioni a chicchessia.
Così fece per venti o forse per cinquecento tentativi finché non gli apparve la gabbia che poteva fregiarsi di tenere rinchiuso Magno XVIII, o meglio : la criniera e le ossa di Magno XVIII.
Il piacere fu immenso, la sorpresa non era stata tale. Magno, che conosceva la lealtà dell'amico, aveva atteso il giorno in cui l'avrebbe riabbracciato. Grazie a questa certezza il cuore aveva continuato a battergli. Esausto, Giovannino si abbandonò fra le zampe del leone; Magno vegliò sul suo riposo, che durò quasi per una settimana, non si spostò neanche per buttar giù delle frattaglie di carne.
Poi Giovannino si riprese. Impediti di abbracciarsi, i due si guardarono a lungo negli occhi, si osservarono, si sorrisero ma non si parlarono. Le tante, le troppe frasi che l'uccello aveva custodito nella fatica delle ali e del cuore per riferirle all'amico come l'avesse rivisto erano svanite, come erano svaniti i saluti fasulli portati dalla terra che non avrebbero più calpestato, i sogni di come alleviargli la tragedia delle giornate aiutandolo a riassaporare, attraverso le sue parole, l'erba ed i profumi della loro savana, i propositi di come procurargli carne fresca volando attraverso le sbarre erano tutti svaniti nell'attimo stesso in cui Giovannino si era svegliato. Se alcune settimane di prigionia avevano distrutto ogni parvenza di vita nell'ex re della savana, pochi attimi avevano causato il medesimo effetto nell'uccelletto. Si comprenda : gli zoo, se osservati dall'alto, non assumono certamente un aspetto piacevole, ma la distanza, quanto meno, non concede di mostrare la spietatezza delle sbarre, i guardiani con il loro olezzo, l'andirivieni dei visitatori, tanto curiosi quanto crudeli, che persino pagano per gustare lo spettacolo di animali prigionieri...
Giovannino osservava gli animali delle gabbie accanto, un tempo indomiti ed inavvicinabili, ridotti sberleffo dalla crudeltà degli uomini. Scorgeva i suoi fratelli del cielo che salterellavano ed elevavano i loro canti di una speranza smarrita in un universo di sei o sette metri cubi... Sorte alla quale non si sarebbe sottratto come avesse messo una zampa fuori, Più che essere venuto per consolare un amico, aveva compreso, era diventato lui stesso un prigioniero : uno in più. Perché prigione non significa che mancanza di libertà. E mancanza di libertà : lenta, inesorabile consunzione.
Giovannino non indugiò. Il viaggio non l'aveva compiuto per restarsene rinchiuso in una gabbia a piangere ed a compiangere. Dovevano scappare. Non molto lontano aveva notato una collinetta che pareva messa lì apposta per diventare il loro nascondiglio. Perché, se non nella terra natale, in una che le rassomigliava si sarebbero recati.
All'amico preferì tacerne ; con l'aiuto delle tenebre, quando si degnarono d'invadere lo zoo, Giovannino non si trattenne, volò e verificò l'ubertosità del luogo, provvisto persino di acqua sorgiva. Inoltre, ed il particolare era importantissimo, non si distinguevano le ridicole gabbie dentro le quali gli uomini mangiano e dormono. Rientrò di corsa e scosse l'amico, che trovò desto.
" Dai, fuggiamo, non indugiamo, approfittiamo dell'oscurità. Lassù ci parrà di essere tornati nelle radure dove il sole custodiva le nostre giornate, alcuni alberi si presentano con fronde e foglie quali i baobab, qualcosina per riempirci lo stomaco ce lo procureremo, alla peggio... beh, alla peggio ci trasformeremo in vegetariani. Ma queste sono cose che non importano. Importa che si riprenda a vivere. Ed al più presto. Per non impazzire. Per non vedere più sagome umane. " Dopo un'esitazione: " non ci troveranno mai, siine più che certo. Con il mio becco solleverò il perno della serratura, e... via! via! via!"
" Precedimi, ti seguirò, " al leone le parole dell'amico erano bastate.
Piano, nessuno ci intenderà... più piano, è sempre saggia norma di prudenza diffidare degli uomini... Difatti, un guardiano, che si vantava di possedere un sonno più leggero della faina, si rizzò, capì, puntò il fucile, che per precauzione teneva carico, sparò. Colpì l'uccelletto. Accortosi del pericolo con la coda dell'occhio, Giovannino aveva agitato le ali ed attirato su di sé l'attenzione dell'eroe. A costui non venne concessa l'opportunità di esplodere la seconda cartuccia per poi aggirarsi per lo zoo e per la città gloriandosene. Magno XVIII, recuperata per un istante la tracotanza degli antenati, tornò indietro e fece giustizia. Poi ruggì verso i cieli, nulla importandogliene di destare l'intera squadra dei guardiani ; sollevò il corpo dell'amico, ancora caldo e come vivo, tenendolo fra le labbra, con dolcezza e con delicatezza, corse verso la collinetta, verso il loro eden, verso l'inutile speranza di due o, al più, tre ore di libertà.
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Chira il 24/06/2015 11:11
... la libertà anche di morire, ma libero e... l'amicizia non ha bisogno di parole ma di fatti. Un narrare di largo respiro, perfetto in ogni suo aspetto. Credo davvero che Ambrosini sia uno scrittore VERO e non un dilettante come me o altri. Scrivere così è un dono e ad egli ne è stato elargito alla grande. Alla domanda di Stan io posso rispondere che non sempre si può leggere tutto sui siti ed è umano. Si hanno altri interessi al di fuori, altre letture. Come Ambrosini ci sono altri che non hanno il giusto "riconoscimento" sul web ma credo sia perché questo mondo è come un mare e spesso alcune onde non ti toccano. Ogni tanto, solo per caso, come ora mi è successo, scopro di aver perso molto non leggendo Ambrosini ed altri.
Chiara
- Molto bello, questo racconto di amicizia, fragilità ed eroismi.
Mi chiedo perchè nessuno lo abbia mai commentato.


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