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Sotto il letto
"Sei grande ormai." Dice sua madre, la voce cerca di essere decisa e dolce al tempo stesso, gli accarezza il viso con la mano calda, nonostante i suoi occhi si sforzino di essere fermi, lui sente la pelle ruvida del suo palmo, in una mano che per il resto è senza dubbio femminile. Il solletico che sente sulla pelle imberbe della guancia è il lascito degli sforzi fatti da sua madre per non far mancare niente all'unico uomo rimasto della sua vita, l'unico che ancora rappresenta un motivo per andare avanti. "Solo per questa volta." Dice lui, con quel sottile e delicato ricatto nella voce che gli è attribuito dall'essere un bambino che ha tanto sofferto.
"Sei grande ormai." Ripete lei, ma anche la più piccola traccia di durezza nella voce è ormai scomparsa, sostituita dalla comprensione, dall'amore per quel suo figlio sfortunato e da un quasi impalpabile velo di rassegnazione. "Non so perché," Ribatte lui. "ma ho bisogno che tu lo faccia." Abbassa gli occhi quasi come se alla sua età potesse già provare vergogna per quella richiesta che quasi tutti i bambini hanno fatto almeno una volta ai propri genitori. "Guarda sotto il letto." Riesce a dire con un filo di voce masticando le parole. "Poi sono sicuro che dormirò meglio." Lei quasi non riesce a trattenere le lacrime.
Non so perché ma ho bisogno che tu lo faccia
Quella frase le rimbomba nel cervello perdendosi fra mille echi fino alle profondità della sua anima, mentre un groppo le si forma in gola ed un oceano di lacrime trattenute con sempre maggiori difficoltà le si accumula dietro gli occhi stanchi. Si chiede, forse per la milionesima volta, che cosa può provocare nella mente di un bambino assistere a quello cui suo figlio ha assistito quel maledetto giorno. Guarda la finestra chiusa, dietro la tenda tirata ondeggia l'ombra di uno dei rami della grande quercia che gli assassini di suo marito hanno utilizzato per entrare. Si chiede se sia giusto dire quello che sta per dire, ma forse la situazione stessa che si trova ad affrontare sfugge per sua stessa natura ad una qualsiasi semplicistica e manichea divisione fra giusto e sbagliato. Non può esserci niente di giusto nel fatto che un bambino assista al massacro di suo padre, né niente di sbagliato nel fatto che lo stesso bambino poi inventi una storia, e la ripeti fino a convincersi che sia la verità, secondo la quale delle creature mostruose siano sbucate da sotto il letto e lo abbiano ucciso. Sindrome dissociativa seguita dalla negazione. Questa era stata la diagnosi degli psicologi chiamati a seguire il bambino, i dottori che avevano avuto il compito di cercare di evitare che Giulio subisse più danni di quelli che era fisiologico ed inevitabile subisse. Gli stessi dottori avevano consigliato di assecondarlo per i primi tempi, e poi di iniziare gradatamente a fargli accettare la realtà: dei rapinatori, probabilmente persone che conoscevano la disposizione delle stanze, erano penetrati in giardino ed avevano usato la quercia per entrare nella stanza del bambino. Non avevano previsto però la presenza del padre, che si trovava nella stanzetta per rimboccare le coperte e dare la buona notte a suo figlio. Presi dal panico lo avevano colpito in testa con una grossa lampada, forse non volevano ucciderlo, ma il colpo fu talmente violento da provocare una forte emorragia celebrale che uccise l'uomo prima dell'arrivo dell'ambulanza. Poi gli uomini, almeno due, si erano dati alla fuga precipitosa. Nessuno li aveva visti, ma la donna, attirata nella stanza dal tonfo del corpo che cadeva, aveva trovato la finestra spalancata e suo figlio tremante e sconvolto nascosto sotto le coperte. Sul pavimento, suo marito in agonia in una pozza di sangue.
Da quel giorno i poliziotti, affiancati dai migliori psicologi infantili italiani, avevano cercato di ottenere una descrizione degli assassini, ponendo le domande al bambino sotto forma di gioco. Ma Giulio aveva risposto alle domande che gli venivano rivolte sempre nello stesso modo: dei mostri erano sbucati da sotto il letto ed avevano ucciso suo padre. Una volta si trattava di enormi insetti, altre di figure umanoidi con volti mostruosi, a volte erano orde di esseri, altre era stata una sola creatura ad uccidergli il padre davanti agli occhi. Il fatto che le versioni che il bambino dava differivano continuamente rendeva palese che lui le inventasse di volta in volta, ma un dottore aveva detto che tutto non si poteva spiegare semplicemente in questo modo. Giulio aveva finito con il convincersi che le cose fossero andate veramente come lui sosteneva; per una questione di istinto di conservazione aveva finito per trovare più inverosimili, e quindi meno spaventosi, dei mostri che sbucano da sotto il letto, da un passaggio su una dimensione parallela, che non degli sconosciuti che entrano dalla finestra ed uccidono l'uomo più buono che lui conoscesse.
Sua madre pensò per quasi un minuto a quelle che sarebbero state le sue prossime parole, alla fine tornò ad accarezzare suo figlio e disse, cercando di essere ancora dolce e decisa allo stesso tempo, perchè mai come in quel momento aveva bisogno di convincere suo figlio, senza tuttavia causargli ulteriori traumi. "Lo sai, vero, che la sera in cui papà è volato in paradiso nessun mostro è sbucato da sotto il letto?" Giulio si agitò sotto le lenzuola e portò con mani tremanti l'orlo della coperta a chiudersi sul naso, tenendo fuori solo gli occhi spauriti, come un uccellino caduto dal nido che lo ha protetto fino a quel momento. La donna dovette dare fondo a tutta la sua forza di volontà per non tornare indietro, accarezzò nuovamente la guancia di suo figlio attraverso il lenzuolo e continuò. "Sei grande ormai, tesoro, devi cominciare a capire che al mondo ci sono persone buone come te e come lo era il tuo papà, ma ci sono anche persone cattive, capaci di entrare in una casa e fare del male a persone che non hanno fatto loro niente. Purtroppo il destino ha voluto che tu lo capissi nel peggiore dei modi, ma devi riuscire a superarlo. La vita, in fondo, è bella, anche se a volte non riesci a trovare in lei nulla di buono."
Giulio teneva ancora la coperta stretta sul viso e guardò tremante verso la finestra chiusa. La donna se ne accorse e si alzò, andò alla finestra mentre il bambino sprofondò ancora di più sotto le coperte, sempre più attanagliato dalla paura. "Sono entrati da qui, vero tesoro?" Chiese mettendo le mani sulla maniglia, Giulio scosse violentemente la testa singhiozzando, ma sua madre era ormai decisa ad andare fino in fondo con quella terapia d'urto. Spalancò il battente della finestra e subito una folata di gradevole vento fresco di primavera entrò nella stanza, mosse i lunghi capelli della donna e fece frusciare le lenzuola. "Vedi, tesoro," Disse la donna indicando le spesse sbarre di metallo che erano state poste alla finestra. "né quegli uomini, né nessun altro potrà entrare e farci del male." Giulio guardava alternativamente sua madre e la finestra con occhi febbrili, muovendo velocemente la testa da un lato all'altro, poi cominciò ad abbassare lentamente le mani liberando prima il naso, poi la bocca ed il collo. La donna aprì anche l'altro battente ed andò a sedersi sul letto accanto a suo figlio. "Nessuno è sbucato da sotto il letto la notte in cui papà è volato in paradiso." Disse nuovamente accarezzando con dolcezza il viso di suo figlio, passò il pollice sotto uno dei suoi occhi in cerca di eventuali lacrime, ma non ne trovò; nonostante tutto sapeva che suo figlio era forte per essere un bambino della sua età. "Non c'è nulla sotto al letto, né mostri, né abissi senza fondo, né porte aperte su altri mondi spaventosi. Lo sai, vero?" Giulio sollevò la testa e si mise a sedere, la coperta gli scivolò fino alla vita ma lui non la recuperò, sorrise ed annui leggermente mentre gli occhi iniziarono a luccicargli, sua madre lo accarezzò ancora, poi disse. "Ci rimane una sola cosa da fare, vuoi farla insieme a me?" Un'ombra di terrore balenò per un istante negli occhi del bambino, ma fu solo un attimo, subito Giulio annuì mentre si affrettava ad assumere un'espressione decisa. Sua madre sorrise e si alzò in piedi, poi si inginocchiò, poggiò le mani sul tappeto decorato con l'immagine di Paperino che portava a fare un giro Topolino con la sua auto targata 313 ed avvicinò il volto all'orlo della coperta che pendeva verso il pavimento, guardò verso suo figlio che non era ancora sceso dal letto per invitarlo a guardare insieme a lei.
Fu così che poté vedere chiaramente, come un'immagine impressa a fuoco nelle sue pupille, il pesante portalampada che le si abbatteva sul volto. CROCK sentì mentre numerose ossa facciali cedevano e si spezzavano sotto il colpo, sentì il sapore del sangue invaderle la bocca, del tutto inconsapevole di chi l'avesse colpita. L'istinto primordiale di aiutare suo figlio l'aiutò a non cadere al primo colpo, allora Giulio balzò giù dal letto e cominciò a colpirla selvaggiamente sul capo CROCK CROCK CROCK sentì lei, ma i rumori apparivano sempre più distanti, mentre quel che restava del suo viso maciullato dai colpi veniva sommerso dal sangue. CROCK CROCK CROCK fino a che l'immagine dell'essere che lei stentava a riconoscere come suo figlio sbiadì fino a venire inghiottita dal buio che ora copriva ogni cosa.
Giulio gettò ansimando sul pavimento il portalampade di metallo che si era ammaccato per la violenza dei colpi, si pulì parte del sangue che gli era schizzato sul viso, si chinò a baciare la fronte martoriata di sua madre poi disse rialzandosi, con una voce che non poteva essere di un bambino, così come non poteva essere di un bambino il suo modo di muoversi e di camminare. "Avevi proprio ragione, cara mamma: nessuno è sbucato da sotto il letto la notte in cui papà è volato in paradiso."
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2 recensioni:
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- L'altra faccia del male e della cattiveria che risiede in certi bambini provocando picchi enormi di cattiveria.
- Ricorda il film "il Mostro" di Zampa ed avendo letto vuoti me lo aspettavo. Comunque finale attuale, il mostro può essere ognuno, anche un bambino.
- abisso di orrore... bravo, bravissimo
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