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Il proposito
Ricordo d'aver iniziato a fumare in età molto giovane e dietro insistenza di una mia compagna, la quale non voleva rassegnarsi a fumare le sue sigarette da sola, specie dopo il pasto di mezzogiorno che consumavamo insieme, alla mensa dell'azienda dove lavoravamo.
"Prendi, almeno prova...!" Mi diceva sconsideratamente la mia collega.
Riuscii a dirle di no per un paio d'anni sebbene molte volte mi fu messa in mano la sigaretta con l'accendino già acceso, pronto a farmi fare la prima "tiratina" ed ogni volta gliela restituivo senza sforzo ma anzi con un certo disappunto per la sua caparbietà.
Rifiutavo ogni giorno e con decisione ma poi, lentamente, riuscì a persuadermi che la cosa era piacevole ed a farmi provare. Accettai di assaggiare quell'unica sigaretta dopo il pasto che m'avrebbe aiutata a digerire ed avrebbe reso più gradevoli quei minuti di pausa tra la mattinata ed il pomeriggio di lavoro.
Mi girò subito il capo ed ebbi un senso di nausea che non mi spaventò, soltanto perché la sprovveduta mi aveva avvisato sugli effetti del fumo all'inizio dell'esperienza.
Chiacchieravamo volentieri insieme e fumavamo voluttuosamente quella sigaretta che avevo finalmente imparato a gustare. Prima una, poi trovammo il tempo di fumarne anche una seconda e, se avessimo avuto cinque minuti di intervallo in più, ne avremmo fumato anche una terza.
La lasciai perché mi sposai ma non abbandonai più le sigarette.
Anche mio marito fumava ed io, senza il bisogno che mi venissero offerte, prendevo il pacchetto direttamente dalla stecca che egli teneva sempre di scorta, in casa, andando a procurarsele durante il fine settimana, nella vicina Svizzera dove il costo era conveniente.
Andai avanti a fumare regolarmente, sebbene avessi gravi e validi motivi per non farlo.
Non seppi approfittare neppure del periodo di maternità che mi diede una nausea costante e nella quale vi era anche la totale repulsione verso il fumo di sigaretta.
Quando mio marito fumava, mi allontanavo subito da lui e lo pregavo di spegnere la sigaretta oppure di andare a fumare sulla terrazza. Ricordo anche di essere uscita varie volte dalle sale cinematografiche perché ero incapace di sopportare l'aria satura di fumo del locale.
Riandavo col pensiero anche all'ufficio dove avevo respirato fumo per anni e mai, nessun direttore, fece mai nulla per vietarlo o, perlomeno, impedirlo durante il lavoro, permettendo eventualmente che ciascuno andasse ai servizi a fumare la propria irrinunciabile sigaretta.
Non solo, proprio il direttore fumava Gouloise a due pacchetti al giorno; fumava il vice direttore, fumavano tutte le segretarie e fumavano tutti gli agenti di commercio.
Quando, in un momento di grazia, qualcuno spalancava la finestra, ne usciva il fumo come da una ciminiera.
Tutti avevano tossi cavernose ma quello era il periodo felice della nostra storia ed eravamo contenti perché eravamo giovani, vi era il boom economico, e pian piano, andavamo sempre più progredendo dopo le devastazioni della Guerra: Acquistavamo l'automobile, il televisore, il frigorifero, la lavatrice, ecc.
Alla preoccupazione della salvaguardia della salute non eravamo ancora arrivati; chi aveva la salute non ci faceva caso, era ovvio stare bene e non arrivavano ancora nelle nostre case i problemi di chi invece stava male; godevamo della salute che avevamo e dei beni che ci procuravamo. Gli ammalati ci riguardavano soltanto se erano nella nostra famiglia oppure nel nostro ambiente.
Il week end in montagna era privilegio di pochi, e la possibilità di sciare e di abbronzarsi al sole sulla neve, faceva ritornare al lavoro con maggior lena e soddisfatti per il tempo trascorso in compagnia, all'aria buona.
Sciare era lo sport più ambito e, probabilmente, nell'aria cristallina dei monti, i polmoni riuscivano a vuotarsi del fumo accumulato durante la settimana. E se qualcuno non riusciva proprio a guarire dalla bronchite, c'era la possibilità di prendere un lungo permesso e di andarsene al mare, dove la guarigione era assicurata.
Le vacanze estive poi erano il toccasana dell'anno; venticinque giorni lavorativi, più le domeniche e le festività tipo Ferragosto, facevano diventare quel periodo il momento più atteso dell'anno.
Luoghi sempre più lontani, alberghi sempre più confortevoli.
Ma il fumo non si interrompeva mai ne tantomeno cessava, non era previsto; non vi erano motivi per smettere di fare una cosa che ci dava piacere, che dava smalto al nostro contegno come avevamo imparato dai divi del cinema. Attraverso il cinema che appunto ci mostrava personaggi che apparivano carichi di charme mentre accendevano la sigaretta, a noi donne arrivava anche quel suggerimento all'aspetto maschile che sarebbe poi divenuto ambito per i motivi detti nel precedente capitolo.
Dopo essere stati i primi divulgatori della moda del fumo, incominciarono proprio loro, gli americani, ad accorgersi che il fumo era nocivo alla salute.
Nel giro di qualche lustro le notizie sulle varie statistiche che accertavano la morte per cancro causata dall'uso del tabacco, ci vennero trasmesse sempre più chiaramente e venimmo informati anche della serietà con cui le informazioni scientifiche furono prese dallo Stato, il quale non tardò a prendere le misure necessarie perché la popolazione decidesse di smetterla con il fumo.
Molti furono risarciti nella malattie provocate dal fumo, proprio dalle Compagnie che avevano formato l'impero del tabacco e noi, mantenendo il nostro innato fatalismo, abbiamo invece continuato a fumare come se la cosa non ci riguardasse non ci preoccupasse più di tanto.
Io ricordo d'aver tentato di smettere almeno una decina di volte. Ho provato tutti i possibili rimedi ; l'ultimo consisteva in una confezione di quattro bocchini che gradualmente sottraevano nicotina e sull'ultimo bocchino che aveva la maggiore capacità di filtro, mi soffermai per anni, andando avanti a fumare tranquillamente, irresponsabilmente, sconsideratamente.
Mi accadde di tutto: nonostante sterilizzassi il bocchino ogni giorno e poiché le sigarette erano almeno venti, almeno venti volte lo posavo dove capitava, mettendolo ritto, appoggiato dalla parte che non entrava in bocca e curando di metterlo al pulito; tuttavia in breve le mie gengive si ammalarono, si infettarono e mi provocarono la piorrea, minando per sempre la base della dentatura che mi provocò in seguito la precoce perdita di tutti i denti.
Fui per tre volte operata anche di papilloma alle gengive che non è un vero cancro ma è qualcosa che gli assomiglia molto perché si formano delle protuberanze sulle gengive che soltanto il chirurgo può asportare. Mi vennero asportate a mente serena con un bisturi che somigliava molto ad un paio di forbici.
Non smisi di fumare neppure quando il professore, guardando l'ultima lastra al torace, mi avvisò che avevo un enfisema e che non potevo pretendere nulla, posto il fatto che ero una fumatrice incallita.
Quando mi capitava di rimanere senza le sigarette alla domenica, giorno in cui tutte le tabaccherie erano chiuse, vagavo per la città alla ricerca di quei locali dove, insieme con i tabacchi, venivano venduti anche gli alcoolici e che erano frequentati soltanto da uomini che a vederli tutti riuniti nel fumo, a me parevano tutt'altro che brava gente. Non m'importava nulla della figuraccia che facevo o dell'ora notturna che, più d'una volta, mi fece fare brutti incontri; prendevo la macchina ed andavo a procurarmi quel pacchetto di sigarette che mi rimetteva l'animo in pace.
Ma arrivò il momento fatidico, arrivò anche per me il momento di smettere e fu un miracolo perché smisi soltanto per uno spavento.
Ad una visita di controllo mi dissero che avrei dovuto subire, a distanza di quarant'anni, un secondo intervento al cuore.
Ricordavo la prima esperienza in tutti i suoi dettagli e all'idea di doverla ripetere, per poco non svenni.
Dall'oggi al domani, smisi di fumare, con determinazione e per sempre e ciò che davvero mi procurò una delle più grandi gioie della mia vita, fu il fatto che insieme con me, smisero di fumare tutti i miei figli, generi e nuore.
Fu talmente grave la paura che presi che non mi venne mai più voglia di riaccendere la sigaretta, anche per un solo momento e sono ormai trascorsi circa vent'anni.
Ora sto bene e sono più che mai in forma e, quando vedo i ragazzi che fumano, provo per loro una grande pena, mista a pietà, senza però incollerirmi poiché io non fatico a mettermi nei loro panni. Tuttavia vorrei tanto che non esistesse persona che inducesse un ragazzo ad assumere droga, di qualunque tipo sia; perché, leggere o pesanti, finiscono tutte per sottrarre la vita.
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