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Resuscita la rabbia
Esiste un tempo per tutto, un dato preciso momento in cui un concatenarsi di eventi crea le condizioni adatte perché un qualcosa accada.
C'è un tempo per l'avvento di una nuova tecnologia, per una espressione artistica e anche se ormai ci è stato tolto da secoli c'è l'attimo adatto anche per le rivoluzioni.
E c'è il momento adatto anche per la nascita di una nuova "malattia", di un "disturbo mentale".
Ci siamo dentro proprio ora, da decenni ne siamo immersi sino al collo.
Questa è un'accusa alla società, a questa volgare essenza aborto di vita prodotto da uomini limitati. Tanto bravi a difendere la sacralità della vita quanto a non capire che il progresso, la crescita e la frenesia non hanno nulla a che vedere con il concetto di benessere, di amore o di passione.
Ci sono stati imposti condizionamenti assurdi a vantaggio del funzionamento sociale: lavoro, inquinamento, rumore e affollamento.
Quando il limite della sopportazione umana viene superato compaiono gli aspetti negativi, c'è chi si ribella o almeno così crede, chi si adegua. E c'è chi si "ammala": "Schizofrenia significa fatica e confusione, un costante tentativo di separare la realtà dall'irreale i cui confini sembrano spesso sovrapporsi. Significa cercare di pensare lucidamente in un intricato labirinto di percezioni, mentre la logica sfugge di continuo ai tuoi pensieri, tanto da renderti patetico parlare in pubblico. Significa sapere che sei perennemente "sotto controllo", che non potrai mai a riuscire nella vita perché il sistema è totalmente contro di te. Insomma avere la tua definitiva distruzione sempre in agguato".
Questa è la storia di Oliver, un ragazzo come tanti, timido e studioso, attaccato alla famiglia. Suo nonno era il suo eroe e con lui passava intere giornate a parlare e ad imparare.
Era timido Oliver, introverso, malleabile e nonostante l'agio e le virtù familiari viveva una vita morigerata. Studiava la maggior parte del tempo. Pochi gli amici, leggeva e spesso si perdeva in mezzo ai libri mentre la vita gli scorreva frenetica davanti.
Nonno morì, gli si riempirono di nuovo i polmoni di liquido e questa volta spirò. Annegato dagli stessi fluidi che il suo corpo produsse.
Oliver affranto, disperato e la vita che scorre frenetica, i pochi cari che se ne vanno, la società che pressa per essere un individuo all'altezza. All'altezza poi di che cosa?
Tristezza e tormento, studio e preghiere. Studio, ancora e ancora.
Camera silenziosa, libri che si sfogliano quasi da soli.
Urla, Oliver che grida riversato sul suolo, il cervello che sanguina in agonia.
Qualcuno accorre preoccupato dalle grida, apre la porta di corsa in un impeto di ansia e preoccupazione.
Oliver giace a terra, grida di liberazione dal mondo, dal contesto, dalla frenesia. Oliver per la gente è diventato pazzo.
Per interi giorni non riconobbe nessuno, né sua madre né suo padre, tanto meno fratello e sorella.
E arrivarono dottori a consigliare altri dottori, psichiatri li chiamavano.
Oliver fu preso sotto le cure di uno di loro: tioridazina, tiotixene, zuclopentixolo. Ecco i nuovi amici, e si giocava sempre e solo al gioco del silenzio.
Atarassia: giorni.
Apatia: settimane.
Catatonia: mesi.
Più il tempo passava più Oliver non aveva nulla a che fare con il vivere.
I sensi di colpa di una madre e di un padre con in testa solo il pensiero di aver distrutto un animo gentile e puro per mezzo dei farmaci portarono angosce e furenti scontri tra i familiari.
La famiglia si sgretola giorno dopo giorno, fratello e sorella sono troppo giovani per aiutare o capire la situazione.
Si decide di togliere i farmaci poco alla volta: madre e padre preferiscono lottare con le loro forze piuttosto che sopportare il dolore di un figlio muto e fermo.
Ed è così che compare la vera pazzia, la tossicodipendenza: rabbia, violenza e voglia di uccidere.
Oliver ormai non è più "umano", è più simile ad una bestia in gabbia. La finta calma dei farmaci ha creato un abominio.
Una famiglia agiata e e benestante con solidi valori viene spinta sull'orlo del precipizio. Chi può scappa, si crea una famiglia propria, fuggendo dall'oblio.
Restano papà e mamma ad assistere un figlio stupendo stuprato da una scienza troppo spesso fatta di abusi.
Passano gli anni sopra la pelle di Oliver, sopra i genitori, sopra i fratelli, le sorelle e i loro figli.
Ma pur scorrendo il tempo non cancella la tragicità degli eventi, alcuni troppo gravi anche solo per essere ricordati e raccontati.
Nonostante ciò la passione e la dedizione di chi gli vuole bene riescono a soverchiare il cinismo e il becero pragmatismo che la psichiatria ha dimostrato.
Oliver ora ha cinquant'anni e un lavoro, non è più tossicodipendente, con il tempo e l'aiuto dei cari è riuscito a fare quasi a meno dei farmaci. Ha cinquant'anni, fa finta di credere in Dio e scrive poesie:
"Non ho desiderio né bisogno di una lacrima di compassione,
né disprezzo celato sotto una maschera di cartone o di pietà religiosa,
né della paura nelle sue forme più subdole;
No, no... lasciate che mi rialzi da me
Con l'aiuto dei farmaci
Dal giaciglio madido di sangue, sudore e rifiuto,
Per fare ciò per cui sono nato,
E con profondo rispetto di quanti,
Nelle corsie, estranei per necessità,
Epistemologi dell'esperienza, dell'agonia,
Apprezzano la forza, il coraggio, la passione del combattimento
Io plaudo alla vostra stima per la mia
Temerarietà, i miei slanci, il ferale ardimento, le sconvolgenti furie,
Nel lottare contro questo vortice di follia." ¹
Oliver ha cinquant'anni.
Non è autosufficiente, vive ancora con i genitori, è una persona ancora un poco acerba ed ha tutt'ora pochi amici, ma per chi lo ha guardato in faccia mentre la follia contorceva il suo volto è diventato il "bene estremo", genuino ed inesperto. Talmente sorprendente che niente e nessuno in questo mondo funereo potrà mai raggiungere.
Il nostro corpo e la nostra mente non sono fatti per il progresso che ci è stato imposto. La concezione di progresso del nostro "Io" è davvero molto più semplice e lenta. Siamo andati troppo veloci. Non ci resta altro che diventare come i cosiddetti "matti".
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