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Parole e parolacce
Uno dei temi più discussi e dibattuti di questi tempi è quello delle "parolacce" che vanno sempre più diffondendosi, dopo aver rotto i muri dell'ambito confidenziale, familiare, amicale. Non vi sono distinzioni ne di età ne di luogo, così l'epiteto volgare, l'insulto, l'ingiuria, vengono espressi sia in pubblico che in privato senza ritegno, in ogni rapporto, ad ogni livello e, cosa più dolorosa, persino tra genitori e figli.
Ho sempre ritenuto che la parolaccia fosse un modo indegno di scaricare le proprie tensioni, un piccolo retaggio di inciviltà che l'uomo si è trascinato dietro nel corso dei secoli, senza riuscire mai a liberarsene, nonostante gli altissimi livelli di conoscenza e di civiltà raggiunti.
Ha imparato a mettere il freno alla propria istintività, con l'aiuto dell'esercizio educativo che viene impartito fin dalla tenera età; tuttavia non v'è chi non si accorga che pur mettendo tappi ben saldi sulla bocca, a tempi e luoghi alterni, la parolaccia riaffiora.
Ora io non voglio mettere a fuoco il cammino che l'uomo ha compiuto per raggiungere l'attuale grado di civiltà; mi pare eccessivo e non pertinente; però non è difficile capire che essere civili è faticoso, comporta un impegno costante di apprendimento e di controllo su di sè che richiede uno sforzo senza tregua, a partire dalla nascita e durante tutto il percorso esistenziale.
Rapportarsi civilmente, evolversi comporta una costante attenzione per la ricerca della giustizia, controllando la propria intolleranza, cercando sempre di mantenere il dialogo chiarificante a proprio favore, senza annientare l'altro come a volerlo cancellare con una sola parola perché l'insulto uccide la dignità ed ottenebra l'onore della persona, anche se per un breve istante.
La parolaccia è una sintesi, un concentrato d'accusa e di calunnia, espressi senza pudore e senza misurarne la portata.
Con vari eufemismi l'espressione "figlio di..." l'ho sempre sentito dire, anche dai miei nonni che hanno vissuto a cavallo dell'Otto/Novecento. Non erano persone strane, erano un esempio come tanti altri nel ceto medio della società.
Al momento opportuno in ogni ambiente veniva detta, senza tener conto del significato letterale del termine. Era divenuto un epiteto a prescindere dalla realtà dei fatti.
L'educazione aiuta certo a creare in noi delle abitudini corrette che formano un comportamento rispettoso; è anche vero però, che se detto comportamento non è supportato da motivazioni chiare, qualunque cosa ci sia stata insegnata in modo formale, finisce per determinare un'automatismo fragile che può facilmente divenire insufficiente, quando la provocazione è forte.
Infatti lo sbotto dell'ira che si traduce in parole violente e scurrili, non è altro che la rottura dei freni inibitori inculcatici superficialmente e formalmente nell'età educativa.
Vi sono anche motivi caratteriali che possono impedire l'espressione matura e corretta del linguaggio; le persone irose, o che si trovano in periodi della vita in cui il sistema nervoso è turbato da stress, sono meno capaci di frenare l'impeto della voce e quando provocata diviene dura, aggressiva ed esprime con più facilità concetti malevoli e male parole.
Lo sfogo della parolaccia che sempre ferisce chi la riceve, che addolora proprio mentre, chi la dice, prova gusto e soddisfazione, è un momento di non amore, di non amicizia; è un ripiegamento dell'"io" viscerale in difesa di sè stessi, o volontà di dominio sull'altro, sopruso, cattiveria.
Non basta dire ai piccoli "non si dice... sei maleducato... sei cattivo o, addirittura, ... tu sei piccolo e non puoi parlare così...! " trascurando il fatto che il bambino se è ineducato la responsabilità è soltanto di chi lo ha educato, cioè primariamente i genitori.
Con una parolaccia l'adulto mostra al piccolo la propria immaturità togliendogli la sicurezza che gli occorre per crescere nella fiducia di chi lo accompagna amorevolmente, guidandolo e proteggendolo essendo egli piccolo e dovendo imparare ogni cosa nel percorso tutto in salita della vita che gli sta davanti.
È abbastanza diffusa la convinzione che sfogando con parolacce le proprie tensioni, si abbattano i tabù e si renda la vita più facile.
Io non credo che la superficiale soddisfazione dello scaricare con parolacce la propria ira, possa migliorare la vita.
È compito degli adulti spiegare perché non ci si deve esprimere in tal modo, chiarendo le categorie della convivenza civile e democratica dove vi è posto per tutti se ognuno sa accogliere l'altro con il rispetto dovuto alla persona ed al valore che ogni persona ha.
La differenza tra l'insulto e la coltellata non è così grande come pare. Ad un più attento esame si può comprendere che se non si è in grado di frenare una parola, detta il più delle volte per un fatto piccolo e banale se non addirittura per errore, trovandosi nelle condizioni di grave provocazione, la mano all'arma è tutt'altro che improbabile.
Ed oggigiorno sappiamo quanti delitti avvengono per motivi passionali, per vendette, per ingiustizie ed anche, nel caso di minori, per inadeguata conoscenza del valore della vita perché se ne è persa la misura, il significato o non sono stati spiegati a sufficienza; ci si è scordati che la creatura ci appartiene così come noi apparteniamo ad essa, nel rapporto che ci affratella, quali figli di Dio. È grave anche la dimenticanza di ciò che ciascuna persona rappresenta per chi l'ha voluta al mondo, per chi ha fatto sacrifici d'ogni genere per la sua crescita e per la sua educazione.
Togliere la vita ad una creatura significa anche togliere un pezzo di quella vita anche a tutti quei molti che l'amano.
Alla fine dell'ultima guerra mondiale, dopo la morte di centinaia di migliaia di figli, iniziammo un percorso dell'esistenza nel quale si era recuperato il peso ed il significato di una vita ed anche le parolacce erano confinate nei meandri dei luoghi malavitosi o strettamente confidenziali; venivano dette di nascosto, a bassa voce e subito capendo che non fosse cosa buona.
Negli spettacoli venivano usate in modo allusivo per divertire e provocare le risate. Ed è sempre stato vero che la tragedia e la farsa sono le due facce della stessa medaglia.
L'educazione al comportamento civile deve ritrovare il suo perché intrinseco, il valore profondo che sottende ogni gesto ed ogni parola altrimenti sarebbero vani tutti gli sforzi dei genitori e degli educatori.. Certo ci è scomodo il dover sempre tener presente un giudizio di valore. Ma è oltremodo inaccettabile che si disprezzi la vita che è il dono più grande che l'uomo abbia ricevuto dal Creatore e dai suoi genitori.
Sarà molto importante un lavoro formativo per il recupero delle categorie sulle quali si è costruita la civiltà, le cause che l'hanno determinata; altrimenti la civiltà stessa correrà il rischio di fare marcia indietro. E l'uomo potrebbe rivolere la tana, il verso, la nudità, la possibilità di uccidere i propri simili e di mangiarli come gli animali, senza subirne le conseguenze.
A proposito di verso non siamo così lontani da questa eventualità; ho udito ragazzi parlarsi a monosillabi, a gesti, che stanno ad indicare un'intesa particolare che permette di capirsi in un linguaggio sintetico, essenziale per loro ed incomprensibile per altri che non fanno parte del "giro" della loro età, del loro ambito. Un idioma appunto, ma talmente abbozzato e talmente primitivo da non poter essere neppure chiamato gergo o "slang".
L'uomo ha voluto ed ottenuto l'habitat civile, igienico, salutare: fresco d'estate e riscaldato d'inverno. Ha risolto d'accorciare le distanze senza fatica, con veicoli d'ogni genere per mare e per terra; si è procurato i farmaci per guarire dalle malattie; soprattutto si è dotato di linguaggio che è stato il primo grande traguardo della sua intelligenza, il primo strumento di comunicazione che gli ha consentito di conoscere se stesso e gli altri. Insomma si è procurato con l'intelligenza e l'ingegno, una qualità di vita che è divenuta, attraverso i millenni ed i secoli, sempre più soddisfacente: Gli architetti costruiscono le case, gli agricoltori procurano il cibo, l'industria e la scienza risolvono gran parte dei problemi in risposta al nostro bisogno.
Occorrerà far sì che questo benessere possa arrivare a tutti ed ora che le porte tra gli Stati si sono aperte, dobbiamo saper fronteggiare quanti invadono le strade del mondo cercando riparo, cibo, possibilità di vita, essendo stati finora nell'indigenza, lontani due mila anni da noi, ed ancora in parte, inconsapevolmente rassegnati, increduli e persino ostili alla proposta di una vita migliore.
Non possiamo, non dobbiamo permettere che ciò venga cancellato con un colpo di spugna; dobbiamo partire proprio dal linguaggio che, come già detto, è stato il primo strumento evolutivo dei nostri progenitori, per convivere e progredire insieme.
Il linguaggio, la parola deve ritornare ad essere strumento unitivo, veicolo positivo di buoni propositi per il miglioramento della vita di tutti.
L'adulto di oggi non vuole essere riconosciuto autorevole; preferisce porsi a livello orizzontale coi minori, in un rapporto d'amicizia che lascia ampio spazio alla totale assenza di diversità ritenendo che ciò favorisca un miglior rapporto, un modo per mantenere aperta la porta verso il loro cuore. Per cui accade che genitori e figli si dicano le stesse cose, si facciano gli stessi rimproveri, con le medesime parolacce vivendo la medesima vita; il che non fa bene ne al piccolo ne all'adulto. Anche se in parte è vero, rimane importante che il piccolo senta la differenza tra sè ed il genitore, per poterglisi affidare.
Nell'ovvia sproporzione, spesso vissuta con grande pazienza e sforzo, l'adulto si carica di tensione ed ovviamente, è sufficiente un qualunque pretesto, per inciampare nel proprio compito lasciandosi sfuggire o una parola od un gesto di insofferenza, vanificando così il valore di un impegno vissuto talvolta con grande fatica e pazienza.
Ciò che edifica la persona, è la bontà e la verità di ciò che viene dato e detto, proponendosi come modello per un cammino sicuro, fatto insieme, nella fiducia e nel rispetto reciproci.
Un genitore non potrà attendersi d'essere rispettato dal figlio se per primo non sarà stato lui rispettoso nei suoi confronti. Nell'età infantile i problemi sono piccoli e si possono facilmente risolvere; ma nell'età adulta le cose si complicano ed i giovani sono sempre meno disposti a dar credito a chi ha dato loro la vita.
Io non posso non ammettere che i genitori di oggi siano stati educati da noi, che le parolacce non le dicevamo ai nostri figli. La parolaccia è divenuta l'intercalare più consueto e ci si accorge paradossalmente di più di chi non la dice che non viceversa.
Allora mi domando che cosa sia più giusto: il livello di parità, dove il rapporto si rinsalda proprio per il grado di totale confidenza amicale che lo facilita, senza inibizioni di alcun genere, oppure una rimarchevole autorevolezza che indichi, con amore, la strada da percorrere?
Io non ho ancora una risposta chiara a questo quesito ed affido alla riflessione altrui un maggior approfondimento.
Ormai le parolacce fanno parte dell'idioma corrente e tra l'orale e lo scritto vi è sempre meno diversità.
Non potrebbe essere diversamente poichè ci capita d'ascoltare in spot pubblicitari: ..."Ce l'hai il tanga? ...- hai scoperto l'ombelico? ...- ecc. E tra l'ombelico e i genitali sappiamo che lo spazio e molto breve.
Chi non si è preoccupato e sdegnato per l'ombelico esposto dalle migliaia di giovani e meno giovani donne, che nelle ultime estati hanno passeggiato sulle nostre strade, non si sdegni quando vedrà sulla via l'esposizione della nudità integrale, portata con disinvoltura e con ostentazione, con l'aggressività pronta per il malcapitato che, "troppo impudente", si permetterà di guardare.
E dove dovrebbero mai posare gli occhi i guardoni di casa nostra?
Forse in alto, dove c'è pulito e luce? Ma c'è il rischio d'incespicare o di andare a sbattere la testa contro un palo, il che li riporterebbe subito alla amara realtà della propria esistenza.
Certi scritti non trovano consensi perché ritenuti "troppo puliti" e commercialmente non interessanti. Vengono invece facilmente editi e diffusi, quando non addirittura prestigiosamente premiati, gli scritti che rispecchiano la quotidianità, fatta di liberalità specie sugli argomenti del sesso. Le scurrilità sono la sottolineatura di opere letterarie che, senza di esse, non avrebbero ottenuto successo, non avrebbero avuto quel mordente accattivante che incolla il lettore al libro fino all'ultima pagina.
Ciò non deve scandalizzare più di tanto poichè anche nel passato, gli scritti osceni erano molto ricercati. Venivano messi "all'indice" dalla pubblica censura ed era come fare la lista dei best-sellers.
Un tempo la lettura dei libri degli autori più celebri, erano strumento di crescita della personalità; i grandi letterati erano i maestri della civiltà e coloro che maggiormente li avevano studiati e capiti, avevano di che vivere al meglio la propria esistenza, avendo imparato da essi i valori portanti di una esistenza saggia e matura. La persona dotta otteneva prestigio ed elogio e la stima ed il rispetto erano assicurati. Il signore era colui che aveva ampia cultura ancor prima della ricchezza ed il potere. Infatti i ricchi ed i potenti si preoccupavano di istruirsi sulle arti e sulle scienze, per essere degni del posto che avevano occupato molte volte soltanto per ereditarietà.
È opinione abbastanza diffusa che le cose stiano ancora così, pur temendo le insidie che giungono con sempre maggior pressione attraverso i media, i quali dilatano ogni piccolo focolaio, buono o cattivo che sia, portandolo alla ribalta, alla conoscenza di tutti, facendone oggetto di spettacolo, usando situazioni familiari in cui i rapporti vengono mostrati in tutta la loro cruda realtà, con le inerenti parolacce e ingiurie e col risultato di mettere al ludibrio coloro che hanno accettato di essere soggetto di spettacolo ed in angoscia anche gli ascoltatori.
Il volersi preoccupare soltanto dell'audience o del successo commerciale di uno spettacolo, è cosa quanto mai rischiosa poichè ci deve stare a cuore che cosa si stia diffondendo, a che cosa venga chiesta l'attenzione, per che cosa si stia lavorando e quale tipo di consenso si voglia ottenere.
L'horror in diretta, il dramma in diretta e qui gli "horror" ed i "drammi" non sono le vicende fantasiose di uno scrittore bensì la vita concreta e reale di gente che viene messa alla berlina, per ottenere popolarità, qualche intensa emozione preparata in modo acconcio dalle varie regie e comunque sempre a spese degli utenti. Ciò non migliorerà la persona di oggi, che sia giovane od anziana, ne tantomeno la società.
Stanno vieppiù cadendo tutte le barriere; la privacy è cosa assai difficile da difendere, tanto più difficile quanto più i personaggi sono noti ed importanti.
Le parole: riserbo, pudore, appartengono al Medioevo ed assistiamo a linciaggi morali di cui non ci sarà mai possibile accertarne l'attendibilità, l'autenticità.
Sappiamo quanto si stia dissolvendo l'unione coniugale e continuiamo a chiederci il perché, malcelando quel sentirci scandalizzati che ci turba, quando veniamo a conoscenza di matrimoni che finiscono anche soltanto un anno dopo il fatidico "si".
La parola amore lascia subito il posto alla parolaccia ed i surrogati per sostituire il coniuge non voluto, non sono neppure più i nuovi innamoramenti, le nuove persone ricercate per un rapporto d'amore, per una vita insieme, per un vicendevole aiuto a camminare nell'esistenza. Si preferisce rompere l'appartenenza al luogo affettivo sicuro preferendo sempre più la vita da "single" dove si ottiene una autonomia mai prima goduta, perché si è passati dalla vita in famiglia al rapporto coniugale, e poter finalmente fare ciò che si vuole, senza l'obbligo di dover rendere conto a qualcuno del proprio tempo e delle proprie azioni.
Per quanto riguarda il rapporto sessuale, i media mettono a disposizione immagini erotiche con le quali la persona sola si diletta e trae soddisfazione finendo con facilità nell'aberrazione e nell'alienazione. Dopo di che, dico io, è meglio uscire ed andare a ballare, a vedere un film, ad ascoltare musica o, meglio ancora, a far visita agli amici o a chi è solo. Forse è persino meglio cercare una donna sulla strada.
La vita deve essere rapporto, deve esprimersi con degli interlocutori, e ciò che ci abbisogna lo dobbiamo ottenere da altre persone che condividono da vicino la nostra esistenza.
Chi impedisce ciò, più o meno consapevolmente, non ama, non accoglie, non difende il bene più grande che l'uomo ha ricevuto: la libertà!
In questo tempo di grande caos sociale in cui, non passa giorno in cui non ci vengano comunicati fatti di morte e distruzione, ci accorgiamo che come una fioritura, sorgono dalle rovine, le risorse umane. Insieme alla ammirevole abnegazione di quanti si adoperano per gli interventi più urgenti: vedi i Vigili del Fuoco, i medici ed i sanitari delle varie Croci organizzate per assistere i feriti, assistiamo ad una graduale ma sempre più attenta e diffusa presa di coscienza del valore della "Patria".
Questa parola era andata perduta e gli italiani, chi più, chi meno, avevano un concetto di Patria molto civile ma inconfessatamente permeato di vergogna. Un vago senso di inferiorità provato tra noi ma soprattutto andando nei Paesi stranieri dove l'immagine dell'italiano all'estero ha avuto fino a ieri il volto dell'emigrante che portava con sè il bisogno assoluto di nutrire sè stesso ed i propri familiari ed un piccolo bagaglio culturale fatto di qualche ricetta culinaria; ma non solo, anche il volto del Paese con un Re che aveva tradito il suo popolo ed ancora, un popolo che nelle statistiche risultava sempre indietro rispetto agli Stati dell'Europa che prima di noi hanno risolto i problemi più scottanti della Società: il divorzio, l'aborto, la droga la liberalità della sessualità ecc. ed anche gli aspetti pratici della convivenza civile come ad esempio lo snellimento della burocrazia, la pianificazione dei servizi sociali, la ridistribuzione equa della ricchezza nazionale ai livelli meno abbienti.
L'italiano è sempre considerato, nel migliore dei casi: "un po' all'antica".
Su ciascuno di questi argomenti occorrerebbe riflettere ampiamente ed in breve ne ho parlato nel mio precedente libro; tuttavia qui mi preme ricordare che è venuta l'ora di scrollarci di dosso giudizi ingiusti e volti ad annichilire le risorse grandi che invece il popolo italiano possiede.
La soddisfazione d'essere divenuti uno dei paesi più prestigiosi del mondo per la qualità del nostro lavoro: industriale, artigianale ed artistico, non è bastato, non ha cancellato quel non riuscire a sentirci popolo sotto la stessa bandiera.
È arrivato il tempo del riscatto! Ora dobbiamo saperci guardare quali veramente siamo, recuperare l'onore che come popolo meritiamo e lo possiamo dire con il suggello dei nostri ragazzi che sono andati a morire per fronteggiare un odio inconsulto e barbaro proprio per ciò che siamo diventati: Liberi, civili, progrediti.
Abbiamo riprovato il brivido di issare la bandiera nei momenti della vittoria sportiva, nelle manifestazioni solenni di commemorazione degli eccidi del passato e, purtroppo, abbiamo dovuto vedere la nostra bandiera sulla bara dei nostri ragazzi, morti per difendere e promuovere la stessa libertà, la stessa civiltà e lo stesso progresso.
Ci sono voluti, prima l'invasione dei disperati sulle nostre coste per indurci a recuperare un'idea che neppure avevamo e cioè che potevamo esser visti come meta ambita da chi, pur abitando in territori immensi, guardava all'Italia come ad un luogo dove la vita era non solo possibile ma addirittura "da paradiso".
Paradiso, parola quanto mai fraintesa!
L'uomo si sente in paradiso quando le condizioni della sua vita sono buone; quando non mancano i beni di prima necessità, si va in vacanza nei luoghi più suggestivi del mondo, quando non vi sono guerre vicine a turbare la quiete e la coscienza; quando non ci sono motivi di dolore.
Il Paradiso, nell'immaginario collettivo, è innanzitutto pensato come un luogo eterno e felice, localizzato nella dimensione inconoscibile e che ci verrà rivelata dopo la morte terrena.
Ma la parola Paradiso ha una valenza cosmica e riguarda tutta l'umanità. Il Paradiso non c'è sulla terra se esiste anche una guerra soltanto, perché quella guerra è il focolaio che divampa impetuoso e che può far sviluppare un conflitto di proporzioni sempre più vaste poichè l'odio è contagioso e semina vendetta a grande velocità, andando a formare un'unica realtà con gli altri focolai di guerra esistenti nel mondo. La sua forza è centripeta, le altrui guerre sollecitano ed esacerbano l'animo di popoli che con rassegnazione si lasciano soggiogare dai propri tiranni.
La forza del Paradiso in Terra è invece centrifuga poichè, partendo dal profondo di ciascuno di noi che lo alberga nel proprio cuore, irraggerà il bene ed il bene, anche se lentamente, superando ostacoli che paiono insormontabili, sarà vittorioso e si instaurerà davvero su tutto il Pianeta. Gesù ce lo ha promesso.
Così abbiamo riscoperto il nostro vessillo, il nostro inno con i quali eleviamo un'unica voce, nell'unica lingua la quale sempre più viene insegnata e valorizzata da chi non la conosce, perché la nostra lingua fa parte del patrimonio culturale del mondo civile, alla base del quale è vissuto un popolo che è andato a farsi conoscere su territori lontani e che oggi parlano lingue diverse.
Comunque la bandiera è stata ritrovata e sotto di essa abbiamo tutti recuperato il valore della nostra italianità, della nostra identità, portatrice di un volto ben delineato, nella molteplice fisionomia dei popoli che ci vivono intorno per costruire insieme il grande, multiforme volto della nuova Europa.
I rifugiati, i disperati che riescono a sbarcare sulle coste del nostro Paese, non hanno tardato a rendersi conto che non esiste paradiso su questa Terra senza l'impegno serio del proprio lavoro e del singolo impegno costruttivo. I paradisi non esistevano neppure per i nostri antenati quando emigrarono verso le Americhe.
Ai deportati tutto viene dato ed offerto con generosità ma anche con prudenza e, soprattuto, in base alla reale necessità della loro presenza tra noi, facendo spazio per trovar loro un luogo ed una attività perché possano sentirsi accolti, e poter mettere la loro opera di collaborazione insieme alla nostra per la costruzione di un popolo nuovo e vario, solidale, civile e democratico.
Abbiamo bisogno di loro e poiché tale bisogno è relativo alle loro prestazioni, la selezione è inevitabile. Così trovano posto coloro che, in un modo o nell'altro, s'inseriscono nelle nostre strutture e s'impegnano a lavorare con noi.
Sappiamo che tra loro c'è gente con tanto di laurea che accetta incarichi umili pur di ottenere la residenza stabile sulla nostra terra. Ma anche tra noi ci sono ragazzi con tanto di laurea che non hanno una adeguata sistemazione o che non l'hanno affatto.
Allora riconduciamo la nostra riflessione sulla fraternità che ci accomuna e sforziamoci di trovare, per ogni caso, la risoluzione più adatta, senza rivendicazioni, se non quella del diritto di tutti alla libertà, alla civiltà, al progresso..
Ma c'è una lunga frangia di persone che vengono traghettate verso l'Inferno e sono le giovani che vengono costrette a prostituirsi sulle nostre strade, i piccoli che vengono obbligati a mendicare per potersi procurare quel minimo di sostentamento per sè ma soprattutto per quegli adulti che li adoperano.
Ed ancora, nella fiumana d'umanità che invade l'Italia, ci sono anche coloro che odiano la nostra vita, che ci accusano d'essere civilmente più progrediti e di godere di quel benessere che ci siamo guadagnati in secoli di lavoro.
Quest'ultimi non meritano accoglienza e sarà cosa sana ed importante per tutti che vengano individuati, stanati e rispediti nei loro territori, se non addirittura giudicati dai tribunali internazionali.
In questo Paese si è sempre lavorato sodo. Eravamo poveri, eravamo insignificanti agli effetti delle grandi manovre politiche, ma abbiamo ricostruito un'Italia vera, piena di gusto per tutto ciò che è bello e pregevole ed abbiamo fatto conoscere al mondo il significato del made in Italy. "Fatto in Italia": che sia l'abito, il vino, il formaggio, il cappello, la scarpa, il gioiello, non importa. Ormai tutti sanno che noi facciamo cose di qualità, genuine, garantite e piene di quell'estro che è la caratteristica più eclatante della nostra personalità. Sanno che "italiano" è sinonimo di bellezza, di raffinatezza, di fantasia e perdoniamo coloro che insistono nel volerci sempre ed ancora considerare come i fratellini a cui bisogna soffiare il naso.
Tra la nostra gente vivono grandi maestri dell'arte e delle scienze e nelle file della società sono schierati personaggi che si sono distinti in tutto il mondo meritando consensi e premi altamente prestigiosi.
E se negli strati sociali vi sono anche coloro che vivono di pochissimo, potranno sempre trovare spazio in quei luoghi dove ancora si parla un italiano pulito e dove gente di buona volontà, organizza e procura tutte quelle cose di cui ogni uomo ha bisogno: il cibo, le cure, la compagnia e i servizi più disparati; dove non costa nulla cantare, giocare al calcio, dipingere ecc.; tutte cose che aggiungono gioia e soddisfazione alle giornate, aprendo le porte a nuove amicizie..
Tra le persone, che per ovvie ragioni possono dare di meno nella società, perché anziani oppure ammalati, c'è già più che mai vivace, una presenza di pittori e poeti, tanto bravi da essere commoventi.
E ben vengano questi artisti dell'ultima ora! Con la loro maturità e la loro sperimentata sensibilità, sanno fare cose davvero pregevoli.
L'intelligenza delle persone anziane, proprio per la minor prontezza dei riflessi, diviene meno vivace, ma non per questo meno acuta e, se opportunamente tenuta in esercizio, poco si differenzia dalla capacità intellettiva della gioventù.
I farmaci e la dieta adeguata consentiranno sia di prevenire che di curare le malattie che ottundono la mente in tarda età, e faranno sì che la vita dell'anziano potrà esprimersi con discreta lucidità, purché si sia attenti ad intervenire nel modo e nel tempo giusto.
Se la voce degli anziani potrà ancora essere udita ed ascoltata, io credo che potrà costituire un buon lavaggio alla lingua farfugliata, sgrammaticata e imbrattata di tanti giovani.
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1 recensioni:
- Grazie Rocco, sei sempre attento e gentile.
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