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Prenatalità - Infanzia
"Gen. 1-27: Dio creò l'uomo a sua immagine..."
Ciò ci informa che la nostra persona proviene dall'Eternità e che è opera della Onniscienza di Dio che ci ha voluti ottenere per mezzo della riproduzione umana, nelle sue infinite possibili combinazioni genetiche di ogni uomo con donna, viventi sulla Terra.
Nella procreazione quindi è presente l'Infinità di Dio ed anche la sua Eternità dalla quale tutti noi proveniamo.
Il microscopico ganglio che ciascuno di noi è all'atto della fecondazione, la Chiesa lo chiama "Persona", con tutte le relative implicazioni spirituali, materiali ed etiche che tale definizione comporta.
Sin dal concepimento l'embrione è persona, sebbene oggigiorno lo si possa ottenere per mezzo della manipolazione genetica che ha preso le distanze dall'atto procreativo dell'uomo con donna attuando la fecondazione al di fuori del loro atto unitivo.
La scienza ci dichiara invece che l'ovulo fecondato, ossia l'embrione, non è persona e che ne è quindi consentito l'uso, l'utilizzo ai fini di un più progredito benessere umano, potendo trarre dagli stessi, opportunamente sviluppati in laboratorio, le cellule staminali per la formazione di quei tessuti organici, atti ai trapianti.
Ciò comporta e determina una indiscriminata manipolazione degli embrioni, sia per l'ottenimento degli stessi che per la loro conservazione o distruzione a breve o lunga scadenza.
La Chiesa attribuisce all'embrione una identità, una dignità pari a quella dell'uomo nato; gli conferisce l'uguale valore, ogni diritto, primo fra tutti quello di poter nascere, poiché in esso sono presenti tutti quei presupposti fisici e morali virtualmente capaci di intendere e di volere.
Per la Scienza, o meglio, per alcuni scienziati, quando l'embrione è prodotto attraverso la manipolazione genetica e risulta prodotto in misura eccedente, anche la sua distruzione è consentita.
Il presupposto della Chiesa sancisce la presenza di un soggetto che già vive, in fase embrionale dell'amore di Dio, che possiede in sé la vita, quella vita umana che è emanazione dell'Amore di Dio e che quindi non può essere "utilizzato" come oggetto e la sua eventuale distruzione si chiama "omicidio".
Sia nel caso detto nella Bibbia e cioè che la vita è il soffio di Dio Creatore, come pure il concetto che l'uomo sia esito di una evoluzione resasi possibile nelle idonee circostanze storiche ed ambientali, l'Autore della vita rimane comunque Iddio che è l'Essere Perfettissimo, al di sopra dell'Universo e di tutta la storia. Egli è il Creatore delle condizioni che hanno reso possibile la nascita delle creature.
Nell'Atto di Fede, nel Credo cattolico dove si affermano l'Esistenza e l'Onnipotenza di Dio, si innesta l'uomo il quale giunge al compimento di sé nell'Evento di Cristo Gesù Incarnato. Soltanto attraverso Lui la persona umana può raggiungere quella immagine originaria che gli fu data alla Creazione e che venne vanificata, offuscata, perduta nel peccato originale.
Ne deduco quindi che il piccolo "embrione" è creatura, già in possesso della sua identità di persona e ciò è suffragato dal fatto che l'ovulo femminile fecondato, è preesistente all'embrione stesso e che possiede intrinseco tutto il potenziale di vita che lo ha generato.
In una ipotesi avveniristica, qualora la Scienza riproducesse, per mezzo dei metodi di clonazione, entrambi gli esseri uomodonna e che da essi ne divenisse possibile la successiva produzione di embrioni, ancora sarebbe e sempre la riproduzione di un "quid" già esistente.
Noi non sappiamo fino a che punto ci sarà consentito di imitare e di conoscere in questa vita il Mistero, l'Atto di Dio; una cosa mi è stata insegnata ed è per me certa: l'immagine di Dio si chiama Gesù Cristo! Egli ci ha guadagnato l'adozione a figli e, andando liberamente sulla croce, ha ottenuto per noi la Redenzione; non ci sarà quindi consentito di varcare la soglia della nostra creaturità.
Ciò non può non pacificare il nostro animo; a noi tocca di non perdere di vista il Modello Gesù Cristo.
Tuttavia questa riflessione non vuole essere un monito o la ridizione di ciò che gli esperti già dicono; voglio soltanto esprimere ciò che a tale proposito ho compreso e la mia libera elaborazione delle informazioni che mi raggiungono e che a me preme di sottolineare, affinché vengano portate con maggior impegno all'attenzione di tutti.
Ognuno di noi ha vissuto la propria vita prenatale nel grembo di sua madre, fatta eccezione per i casi sperimentali che hanno prodotto l'embrione ed il relativo sviluppo in "vitro" od in altro grembo. Siamo nati e, nella coincidenza di due o tre generazioni, viviamo il periodo della Grazia terrestre che ci è stato donato e che va dalla nascita alla morte.
Durante la mia prima gravidanza, al quarto mese di gestazione, un lieve battito, un palpito leggero come un frullio d'ali di farfalla, peraltro facilmente confondibile con le piccole bolle d'aria che normalmente attraversano le nostre viscere, mi rivelò la presenza viva all'interno del mio corpo, della creatura che stavo attendendo.
L'essere che in me andava prendendo forma non era più un "Lui" di cui parlare, sul quale fare astratti progetti più o meno gioiosi; era divenuto invece un "Tu" a cui potevo rivolgermi e dirgli che non vedevo l'ora di conoscerlo, di vederlo, di toccarlo. Quel "Tu", soltanto pochi mesi prima era un embrione: il mio adorato "embrione"!
Proviamo a ripensare ai nostri figli già nati, che sono divenuti grandi, allo stato embrionale e ci accorgeremo subito come è difficile immaginarne e volerne la distruzione. Nella fredda elaborazione scientifica si sorvola su questo importantissimo dato, non si prevedono né il legame dell'embrione con i genitori, né il suo destino a divenire soggetto umano nella società.
Acquistai manuali di preparazione alla maternità, lessi tutto quanto c'era da leggere a quel tempo sull'argomento e che tuttavia non era molto. Qualche esperto di pedagogia si era già espresso con manuali provenienti da altri Paesi.
Nella diffusa mentalità di quegli anni, la maternità era ancora un avvenimento di cui si conosceva l'essenziale e ciò era ritenuto più che sufficiente; ad alcuni addirittura le informazioni scritte nei testi non erano neppure necessarie. I particolari si potevano ignorare, non era ritenuto importante sapere tutto; era materia per gli esperti, gli addetti ai lavori: ostetrici e ginecologi. I bambini nascevano anche nella giungla... anche stando in piedi... anche a donne molto ignoranti che non avevano mai sentito parlare di "periodo fecondo", di contraccezione, di metodi naturali; che la gestazione era ad un tempo il periodo più protetto ed anche quello più a rischio per il bimbo che doveva nascere, ecc.
La fede da sempre costituisce la garanzia di una indiscutibile verità; noi nasciamo perché voluti da un Altro, per volontà di un altro che è Dio stesso.
Con questa consapevole certezza e con una buona dose d'incoscienza, mi aggiravo tra la gente fiera ed onorata di essere collaboratrice di Dio, nientemeno che per dare al mondo una creatura nuova. Il suo sesso e soprattutto la sua sanità, appartenevano a Quella volontà e non vi era che sperare nel buon esito dell'evento poiché tutto era nelle Sue mani. Oggi sappiamo che l'uomo sempre è chiamato a collaborare con Dio affinché questa vita terrena, inizi e si protragga nel tempo e nella storia sotto l'egida del Suo volere.
Man mano, col passare degli ultimi decenni, le informazioni scientifiche si sono fatte sempre più chiare e capibili, grazie ai moderni mezzi di comunicazione; dettagliate, capillari, tanto che le giovani mamme di oggi sanno sempre tutto, subito e prima: di quale sesso è il bambino, quanto misura, quanto pesa, che cosa fa e come trascorre il tempo nella sua vita prenatale; sanno che gli fa bene ascoltare il suono dolce di una musica, che gli fa bene sentire le voci della mamma e del papà come se davvero possa capire e che, se per caso, la mamma dovesse cadere, lui continuerebbe a stare benissimo perché la placenta lo proteggerebbe come una corazza da tutti i possibili colpi.
Nell'immaginario collettivo era popolare l'idea che una nascita al settimo mese di gestazione, fosse meno a rischio di quella all'ottavo mese; trascurando totalmente la positività elementare di un mese di formazione in più, capace di offrire maggiori garanzie in caso di nascita prematura. Ma tant'è! Le credenze popolari sono difficili da scalzare soprattutto quando, per secoli e secoli, non vi è stato nulla di nuovo che abbia saputo smentirle o rimuoverle. Non si tratta di un fatalismo irresponsabile ma più semplicemente di una costumanza radicata nel tempo.
Io stessa, quando ebbi i sintomi della nascita all'ottavo mese di gravidanza, non ancora compiuto, mi preoccupai e chiesi allarmata al mio medico che ne sarebbe stato del mio bimbo "ottimino" poiché ero a conoscenza di molti "settimini" ma neppure uno che fosse nato all'ottavo mese, nei casi di nascite premature.
"Signora, otto mesi sono più di sette!" Mi sentii rispondere, "e quindi il suo bambino ha una prospettiva di nascita migliore, più garantita."
Ricordo che non fui subito pronta a credergli, tuttavia il suo ragionamento era così logico che non mi permisi di obbiettare. Il mio dubbio si sciolse soltanto alla nascita, ancora prima che scadessero gli otto mesi e mio figlio nacque sano, bello e pesava tre chili e cento grammi. Se fosse nato al compimento del nono mese avrei partorito una creatura di non meno di quattro/chilogrammi.
Oggi quindi, l'incontro con il proprio figlio avviene nella fase prenatale: lo si può vedere attraverso le ecografie, si può conoscerne il sesso, gli si può parlare sicuri che in qualche modo il piccolo trae beneficio dall'esterno; i genitori lo ritengono presente in tutto il suo valore all'interno della famiglia e della società. Infatti nelle varie istituzioni sociali, sanitarie e non, si rivolgono sempre alla madre ed al suo bambino. Tutto è previsto anche per lui che ancora non è nato. Non si vede perché si debba mettere una data che stabilisce il periodo entro il quale il bambino si possa sopprimere.
Mi è stato di aiuto intenso il rapporto con una persona fino ad allora sconosciuta, che non era credente e che aveva abortito in uno Stato dove non vi erano impedimenti di carattere legale. La trovai molto disturbata mentalmente e psichicamente. Non sapeva trovar pace per il gesto compiuto contro il feto del suo bambino che aveva già un'avanzata formazione di quasi quattro mesi.
Nei recenti dibattiti pubblici sulle nascite pluri-gemellari, causate spesso dalle cure contro la sterilità, è emerso scottante e preoccupante il problema della necessità di fare delle scelte quando il numero degli embrioni fecondati supera ogni previsione. Quali, quanti accettarne? I genitori si rifiutano di fare delle scelte tra gli embrioni già presenti nell'utero materno e ciò in netta antitesi con tutti coloro che si sottopongono ad aborto.
Io credo che sia meno grave evitare una fecondazione con tutti i mezzi scientificamente disponibili, quando ancora l'embrione non esiste, piuttosto che arrivare a sopprimerlo quando già si è formato e vive. Ma la Chiesa condanna anche l'intenzione di utilizzare mezzi sicuri di contraccezione, dando unicamente all'unione coniugale il supremo strumento procreativo, rifiutando alla persona ogni diritto di condizionamento, sia a priori che dopo.
Anche Papa Paolo VI, nella sua Enciclica "Umane Vitae" si mantenne rigorosamente su questi principi però approvò la maternità e la paternità responsabili, ossia ritenne giusto che gli sposi potessero pianificare la nascita dei figli, decidendone anche il numero, stabilendo liberamente quando averli, ossia scegliendo i tempi idonei e favorevoli affinché non venisse mai a mancare il necessario sostentamento per la loro formazione e crescita, trascurando il particolare fondamentale e cioè che l'unico mezzo naturale assolutamente sicuro, per evitare una nascita, è la continenza totale. Se il primo motivo che induce al Matrimonio, è l'amore coniugale, spirituale e fisico, a mio parere omettendo anche uno solo di questi aspetti non può che essere vanificato uno dei fattori essenziali che determinano il Matrimonio stesso.
Nel caso di genitori che non possedessero un sufficiente reddito, era giusto che decidessero di rimandare a tempi migliori il concepimento, quando le garanzie fossero state raggiunte. E come ho appena detto. tutto ciò affidato esclusivamente ai metodi contraccettivi naturali, cioè la continenza totale con la sola possibilità di conteggiare e di vivere l'amore coniugale nei brevi periodi di non fecondità.
Non mi dilungherò oltre sull'argomento poiché il tema del presente capitolo mi mette di fronte al giudizio indiscusso della Chiesa che muove le mie convinzioni alla formulazione di alcuni "distinguo".
Quanto poi sia importante il luogo di nascita, lo si comprende soltanto crescendo, con il passare degli anni, quando ci si accorge che, pur essendo totalmente privi di responsabilità a questo proposito, ne portiamo tutte le conseguenze all'interno dei confini dello Stato in cui siamo venuti alla Luce ed anche al di fuori, a seconda di come siano stati gli avvenimenti che nella storia dei popoli hanno distribuito il potere e la ricchezza sulla faccia della Terra.
A grandi linee il Nord possiede più benessere del Sud (ed in questo caso intendo per Nord l'emisfero settentrionale) ma, ciò che fa la divisione tra l'emisfero Nord e quello Sud non è la linea equatoriale bensì la cultura che ha diversificato le popolazioni attraverso i secoli. E non sempre il progresso culturale e scientifico indicano una maggiore maturità di pensiero e di ricchezza umana, anzi! Ad esempio l'India che gode di grande stima tra i Paesi occidentali altamente progrediti, rimane ancora oggi uno dei Paesi più poveri e meno potenti, pur essendo fucina di grandi scienziati che vanno a prestare la loro opera in altri Paesi ed avendo altresì un territorio ricchissimo e sconfinato dove le bellezze naturali ospitano le più antiche e suggestive tradizioni popolari.
Dove nasciamo determina quindi il nostro vivere ed anche il nostro destino, a partire dal primo ambito più ravvicinato che è la famiglia che ci ha generato.
Ricordo che da bambina, per il semplice fatto che fossi nata al Sud di questo Paese e che nello stesso anno di nascita venni trasferita al Nord dove crebbi ed abitai per il resto della mia vita, fu fattore discriminante non da poco. La convinzione di una diversità la cui preponderanza faceva pendere la bilancia sempre dalla parte del Nord, serpeggiò in tutti gli ambienti che incontrai e frequentai, fin dalla più tenera età e nemmeno tanto di nascosto, benché ogni parola o gesto fosse sempre ammantato di benevolenza. Ma era sottinteso un chiaro giudizio di inferiorità.
L'esotismo veniva emarginato e per esotico s'intendeva sempre una provenienza dal Sud, da ogni Sud; ciò accadeva nei gruppi dei piccoli, tra le famiglie, le città, tra il Nord ed il Sud dello stesso Paese ed infine tra il Nord ed il Sud dell'intero Globo Terrestre.
Per caso a me capitò di diventare elemento unificante e galvanizzante tra questi due poli senza confini e ciò non per una filantropia e saggezza che nell'età dell'infanzia non potevo avere, ma per una attenzione, immatura ed infantile quanto si vuole, ma cristianamente già sufficiente e capace di accettare e di accogliere ogni diversità.
Io soffrivo quando venivo emarginata, trascurata quando addirittura rifiutata, nel gioco, in una festicciola, in un raduno di amici. Ero quindi attenta a non divenire io, a mia volta, causa di sofferenza per qualcuno e mi impegnavo a non trascurare nessuno quando ero io a prendere delle iniziative e facevo ogni sforzo, con i mezzi di cui disponevo, per favorire un accordo, un perdono, affinché tra noi non si rompesse l'armonia dei rapporti, l'allegria dello stare uniti e del fare esperienze insieme e le iniziative non mancavano. A tenerci uniti erano, oltre ai giochi, lo studio in comune, il teatro organizzato tra noi, le feste sacre ed il carnevale vissuti con fantasia e gioia.
Il tutto avveniva nel bel mezzo del dopo-guerra quando la vita era severa con tutti, il nutrimento insufficiente e le possibilità di curare le malattie, assai scarse.
Sono trascorsi poco più di cinquant'anni da quel tempo ma a me pare che siano trascorsi dei secoli; il salto qualitativo della vita, da allora ad oggi, è enorme: quasi nessuno possedeva l'automobile, pochissime erano le case riscaldate e la neve d'Inverno, tra le fredde pareti delle vie della città, rimaneva ammucchiata ai bordi per mesi, anche fino a Pasqua.
Non vi erano il frigorifero, la Televisione, il Computer; iniziavano soltanto allora ad esserci nelle case, la radio, il telefono, il comphort minimo indispensabile. La vita era semplice ed essenziale; non ci si accorgeva di ciò che ci mancava perché non eravamo ancora informati sulla quantità di benessere e di comodità in arrivo: aria calda d'inverno ed aria fredda d'estate, moda alta e moda casual; automobili, apparecchiature che avrebbero alleviato ogni fatica domestica, telefoni, televisori, cibi, frutti e bevande prelibati provenienti dalle culture e dalle colture di tutto il mondo.
Nel frattempo, ciò che avevamo era esauriente e ci donava serenità ed anche felicità, purché regnasse la pace, tra i piccoli, tra i grandi, tra famiglia e famiglia, tra città e città, tra nazione e nazione.
La guerra aveva scosso ogni cellula del nostro essere e la nostra massima aspirazione era la pace.
La discriminazione etnica non è il solo motivo di malessere sociale; anche le rivalità ed i soprusi all'interno dell'ambito familiare, nei luoghi di lavoro, generano odio e violenza. E la violenza causa al bambino un danno indelebile poiché le ferite inferte al piccolo che non possiede le adeguate difese, possono essere insanabili in quanto la sua psiche ed i suoi sensi sono totalmente esposti e quindi facilmente feribili, mortificabili, talvolta in modo irreversibile.
Il piccolo è parzialmente protetto dalla sua limitata comprensione ma quando un dolore è troppo grande, uno spavento drammatico, ne potrebbe essere impedito bloccato lo sviluppo armonioso e gradualmente progressivo della sua persona, provocandogli una crescita distorta e ritardata.
Non è il dolore ad impedire la crescita ma la sua misura; nell'età adulta molte delle reazioni violente sono la disordinata emulazione di quanto si è subito in tenera età, sebbene il più delle volte non se ne veda traccia esplicita.
Gli adulti è bene che vigilino affinché il bambino viva in ambiente sereno positivamente stimolante per la sua crescita, ma anche per mantenere aperto il dialogo all'interno del quale sia possibile sempre intervenire in suo aiuto.
Io ritengo che qualunque sia il motivo che abbia provocato uno shock in tenera età, sia bene mantenerlo sempre vivo alla memoria, in attesa di poterlo esternare alle persone esperte della psiche che, crescendo, si avrà la possibilità di interpellare.
La paura, anche la più terribile, la più terrificante, non deve spingere il piccolo a censurare l'esperienza subita; con l'aiuto di un adulto, anche uno soltanto, avrà beneficio poiché non sarà solo a portarne il peso e ciò gli servirà per scaricarne la tensione, come il fulmine quando cade nel terreno.
Il piccolo è convinto che gli adulti non sbaglino; la sua misura esigua glieli fa apparire integri; da essi egli si sente protetto, al sicuro e quando le sue reazioni lo mettono in contrasto con il parere e le decisioni dei grandi, egli facilmente crede di essere in torto e che i grandi abbiano comunque ragione, anche quando tra essi c'è chi gli fa del male.
Ma non sempre è così, ogni piccolo è un caso a sé con la sua specificità di sensibilità ed intelligenza. La teoria del piccolo che si sente i n colpa sempre e comunque anche di fronte all'agire malvagio dell'adulto, è abbastanza fondata ma non la si può generalizzare; ha delle eccezioni e non dobbiamo dimenticare che anche i casi di violenza sui bambini sono casi eccezionali. La maggioranza dei piccoli vive nella propria famiglia, amata e protetta dai genitori e dagli adulti che la circondano.
Come dicevo, vuoi per particolare intelligenza del piccolo, vuoi perché nessun adulto può misurare con esattezza il momento ed il livello di crescita del bambino, il suo graduale aumento di comprensione gli permette d'accorgersi d'essere ingiustamente ferito e formuli un precoce giudizio su quanto gli accade, consentendogli d'esprimere la verità, privo di quelle malizie che caratterizzano l'agire degli adulti quando non hanno altro modo per apparire integri agli occhi del bambino.
Mentendo l'adulto ottiene sempre ragione in quanto è assai difficile per il bambino dimostrare la sua falsità e non avendo nel mondo dei grandi un giusto ed adeguato credito.
Quanto più è stato grande il male compiuto su di lui, altrettanto grande sarà l'ingiustizia con la quale sarà giudicato. Ovviamente, da quel momento in poi, tra il piccolo ferito e l'adulto, si attua un conflitto doloroso che può diventare lunghissimo e che può minare per sempre la pace e la serenità essenziali per una buona crescita.
La sofferenza sempre diminuisce le difese psichiche dell'individuo e quando l'essere è un bambino, le sue risorse che sono di freschissima costruzione, crollano con facilità. Soltanto se gli pervengono delle consolazioni il bambino può recuperare velocemente e riprendere a ricostruire le proprie difese. Ma la ferita subita non è cancellabile, soprattutto se non è intesa dagli adulti e perché il bimbo non ha la capacità di valutarne l'entità, la misura. Il tempo potrà soltanto cancellarne il ricordo ma la ferita, anche rimarginata, rimarrà.
Ogni intervento dell'adulto sul bambino non deve mai arrivare a toccarlo in profondità poiché il suo animo è estremamente delicato ed il rischio di imprimergli delle ammaccature è continuo.
Spesso anche la responsabilità del bambino è maldestramente sopravvalutata dagli adulti i quali a torto lo ritengono capace di formulare concetti scaltri e maliziosi. Non è così in genere perché il bambino mantiene a lungo la sua innocenza che è basata sulla non conoscenza del mondo dei grandi, è quasi sempre istintivo e ciò che fa e dice è la ripetizione delle parole e dei gesti degli adulti che gli vivono vicino.
Il metodo di far capire al piccolo ciò che è giusto per mezzo dell'ammonimento e della punizione, apparentemente soddisfa l'adulto perché il piccolo si sottomette e lo accontenta; ma in questo caso il vero bambino non è il piccolo.
Il bisogno di protezione nel bambino è molto forte, egli sa di essere piccolo, si fida dei suoi genitori che sono i primi adulti nella sua vita e quindi anche la correzione ed il rimprovero dovranno avere l'unico scopo di rassicurarlo, di farlo sentire protetto, guidato e che tutto è buono per lui.
Talvolta il piccolo insiste con la propria reazione capricciosa, caparbia, soltanto per misurare inconsciamente l'amore dei suoi genitori ma anche per indurli ad intervenire affinché egli non si senta troppo cattivo e gli venga impedito di fare e di farsi del male.
Il bambino non ha mai sospetti, non sa essere incredulo; vive una certezza che lo abbandonerà soltanto quando, crescendo, saprà giudicare.
Sa soffrire il dolore in misura proporzionata e ciò potrà essere costruttivo della sua personalità poiché tutta la vita è intrisa di male e di dolore ed il bambino se ne accorge subito, fin dai primi incontri con gli altri bambini.
Non riesce ad accusare gli adulti, mai, perché non ne ha la misura e se lo fa è soltanto perché qualche insegnamento gli è stato inopportunamente impartito. Gli è più facile accusare un oggetto o, al massimo, un altro non ben identificato essere: il lupo, l'uomo nero, la strega ecc.
Il male che nuoce al bambino, il male che può causargli shock, è quello superiore alle sue difese ed alla sua capacità di comprensione.
Ricordo una bambina particolarmente sensibile, che difendeva la sorella più grande di lei, quando gli adulti di casa le infliggevano delle gratuite umiliazioni, facendo paragoni tra le sue ritenute inferiori capacità e quelle degli altri bambini. Anziché reagire con quei grandi che la facevano soffrire, questa sorella maggiore scaricava il suo malumore ed anche la sua reazione violenta sulla sorellina che, unica, la sapeva comprendere e difendere.
Episodi di questo tipo si ripetevano con frequenza e la bambina andava sempre più inasprendosi, perdendo la spontaneità, erigendo un muro tra sè e gli altri dietro il quale il suo carattere si faceva sempre più timido e la sua mente incapace ad apprendere.
La superficiale cattiveria nei confronti di un bambino, seppur causata dalla distrazione, dalla stanchezza più che da una volontà ostile, sono comunque gravi poiché il bambino è tutto spalancato al mondo degli adulti e non si pone mai a priori in posizione di difesa. L'insensibilità dei grandi può causargli danni sia per la sua formazione che per la sua salute psichica.
L'adulto non si fida del bambino, lo ritiene immeritevole di fiducia perché, in questo caso, è troppo piccolo. È questo l'unico caso in cui l'adulto s'accorge della diversa misura del piccolo.
È comunque opinione diffusa che i bambini imparino meglio con le maniere forti e facendo esperienza di piccole sofferenze perché ciò li prepara alla vita nella quale dovranno saper superare le difficoltà ed anche a sapersi difendere imparando appunto i modi dei grandi.
Se l'adulto sbaglia e nonostante le reazioni del piccolo, insiste nell'errore e prosegue nel ferirlo, egli non reagirà più perché ne ha paura e comprende la sua sproporzione; ma divenuto grande, farà agli altri ciò che è stato fatto a lui.
Il bambino cresce molto velocemente sulla strada del male; le parolacce sono sempre preferite a qualunque altra cosa da dire, il no è meglio del si, il mal comportamento non gli fa sforzo mentre il bene è sempre faticoso ed anche il saper dire un "grazie" è cosa assai difficile da imparare.
Facendo le debite distinzioni, vediamo come si sia potuti arrivare a vedere bambini che a causa di uno sciagurato insegnamento, sappiano in tenera età impugnare le armi, aggredire ed uccidere.
Il bambino teme tutto ciò che gli è più grande e che non sa capire; ma la cosa che teme di più istintualmente, è l'essere abbandonato, in specialmodo dai genitori a cui sa di appartenere.
Un'altra cosa che teme molto è il buio perché gli nasconde l'ambiente che gli è noto e che lo rassicura perché contiene le cose che conosce e, soprattutto le persone da cui si sente amato. Nel n on vederli prova lo stesso senso di abbandono come se il genitore con cui è abituato a stare, lo allontanasse da sé.
Soltanto quando avrà l'età sufficiente per comprendere che, anche al buio, le sue cose rimangono al loro posto, che le persone che lo amano gli sono vicine vegliandolo e che lui le può immaginare presenti come se la luce fosse accesa, riuscirà ad addormentarsi tranquillamente nel buio della propria cameretta.
Questa riflessione ed accendendo e spegnendo più volte le luci, fu utile a me per iniziare a togliere la paura innata del buio nei miei figli. Infatti si acquietavano e si addormentavano sereni.
Con la paura del buio, anche la paura del trovarsi soli che è la conseguenza dell'abbandono, può generare ansia e dolore nel bambino. Il bisogno di protezione è atavico ed è presente fin dal primo distacco fisico dalla madre; spirituale dall'abbraccio eterno di Dio da cui proveniamo. Ma ciò che ci può aiutare a stare tranquilli nella vita, togliendoci la paura e facendoci sentire sicuri, è un adeguato sistema di difesa, a partire fino dalla più tenera età.
La paura quindi è un qualcosa che va tolto; non ci si può servire della paura per salvaguardare i piccoli, strumentalizzandola e mal intendendo ciò che veramente può nuocere.
Il bambino impara a conoscere i pericoli ma a tenerlo sicuro non sarà la paura di essi bensì la certezza che qualcuno, più grande e più capace di lui, lo saprà proteggere da ogni rischio.
Soltanto in età adulta si renderà conto che dovrà affidarsi a ciò che conosce e che possiede, alle proprie risorse personali, senza demandare ad altri la risoluzione dei problemi, sebbene gli sarà sempre d'aiuto il consiglio di un amico e l'incoraggiamento di chi lo ama.
Non occorre arretrare troppo nel tempo per trovare esempi di comportamento gravemente erroneo sui bambini. Ricordo un ragazzino che veniva chiuso nella cantina della casa dei genitori adottivi, ogni volta che ritornava dalla scuola con un brutto voto. Il ragazzo non era piccolissimo ma quella punizione lo terrorizzava; oltre al senso di abbandono, soffriva ciò che la sua fantasia gli suggeriva. Lasciato a sé stesso tutto per lui diveniva temibile, anche il più piccolo rumore, poiché l'essere rinchiuso in cantina significava perdere la libertà, ogni possibilità d'iniziativa e la paura ne aveva la stessa drammatica misura.
Ma il fatto non soltanto non ottenne voti migliori a scuola; raggiunta la maggiore età quel ragazzo se ne andò per sempre da quella casa.
Ciò che mi ha sempre procurato perplessità e sgomento è principalmente l'irragionevolezza degli adulti. Come può accadere che una persona che vive nella società dove occupa un posto, dove è a contatto con altri, dove costruisce una famiglia, una professionalità, possa essere tanto incapace di capire un bambino? È mai possibile che costoro non ricordino nulla della propria infanzia, dei torti ricevuti, degli errori commessi su di loro con fatiche sicuramente sofferte e che non siano spinti ad evitare il ripetersi di una routine che sarà sempre di impedimento alla crescita della persona e quindi della società?
Non basta incolpare l'ignoranza o la dimenticanza che sono comunque colpevoli poichè il comportamento dell'adulto ha come presupposti: l'intelligenza, l'uso di ragione, la razionalità, e che presumibilmente siano ormai maturi.
I bambini nascono perché noi li vogliamo o, quantomeno, ci siamo messi nelle condizioni di averli. Ciò ci rende responsabili della loro vita, della loro educazione, della loro difesa. I bambini sono bambini, crescono e si sviluppano con ciò che il mondo dei grandi propone e procura loro. Imparano da noi tutto, senza di noi morrebbero; non sono autosufficienti sotto nessun punto di vista.
Fin da quando imparano a portare il cucchiaio alla bocca, a dire le prime parole, a riconoscere i colori, sta a noi, sia che siamo lieti, sia che abbiamo uno stato d'animo rattristato ed anche quando siamo in collera, saper instaurare quel dialogo alla loro portata che consentirà sempre di poter intervenire nel cuore del bambino per acquietarlo e trasmettergli nel tempo i valori fondamentali della vita, la capacità di discernere il bene dal male, la gratuità dell'amore, l'etica, la centralità della persona.
Il bimbo è come una pianticella con stelo esile, che può aver bisogno degli stecchi per crescere diritta; l'iniziativa educativa è sì dell'adulto ma occorre che sia prudente, misurata, chiara e, soprattutto può intervenire quando il bisogno si fa palese. Talvolta lo zelo degli educatori rischia d'essere troppo tempestivo e può confondere il piccolo che si sente dare delle spiegazioni su cose che ancora non conosce e che non sa capire.
È meglio rispondere alla domanda nel momento in cui viene formulata e non prima. La prudenza è molto importante, consente di intervenire nel momento giusto: né troppo presto né troppo tardi; L'attenzione amorosa e vigile consentirà di aiutare il bambino nei momenti adatti.
Misurata perché ogni informazione è educativa se non proviene da uno sfogo dell'adulto, tanto più se l'adulto sta vivendo un momento di tensione per propri motivi.
Se le raccomandazioni sono ripetitive, il bambino porrà attenzione più a ciò che non gli viene detto piuttosto che a ciò che gli viene ripetuto troppo frequentemente. L'eco esterno attrae l'attenzione del bambino molto di più di ciò che sente nell'ambiente abituale.
Egli ha bisogno di chiarezza e di verità e quando si accorge che l'adulto gli ha mentito oppure non ha mantenuto una promessa, sarà utile chiarirne subito i motivi in modo per lui del tutto capibile, anziché inventare storielle. Ciò otterrebbe un risultato breve e sempre rischioso perché se il bambino scopre l'inganno, non soltanto non si fiderà più di quell'adulto ma imparerà subito ad ingannare a sua volta.
Non esistono bambini furbi, esistono soltanto bambini che hanno conosciuto e fatto l'esperienza dell'astuzia dei grandi.
Quindi l'adulto non si fida del bambino e non gli dà quella quantità di stima che gli permetterebbe di divenire proporzionatamente responsabile di ciò che fa, a partire dall'età del ciuccio e per tutto il tempo della sua formazione.
Quando il mio bambino, dopo ripetuti lanci nel vuoto della finestra aperta, del suo ciuccio, lanci che egli accompagnava con strilli di stizza, lo affidai momentaneamente alla domestica dicendo che sarei scesa a recuperarlo facendogli capire che il fatto che l'avesse buttato fuori di casa, poteva voler dire di non ritrovarlo più. Al ritorno dissi al mio piccolo che il ciuccio era stato preso dal cagnolino che proprio in quel mentre era passato sotto casa.
Al momento di andare a nanna, mi chiese subito il suo ciuccio ed io gli ripetei che avendolo buttato via, il ciuccio non c'era più e che doveva imparare ad addormentarsi senza.
Non pianse, capì e non protestò, addormentandosi quella volta e per sempre, senza il vizietto che pareva tanto difficile da togliere. Era bastato renderlo responsabile del suo piccolo gesto; non aveva ancora la comprensione sufficiente per chiedermi di andare a comperarne uno nuovo. Comunque io scelsi quel momento e la cosa andò bene.
Un giorno, in presenza di alcuni familiari, prese un oggetto di pregio e fragile, piuttosto grande, forse per attrarre la nostra attenzione e fece per portarmelo; ma il tratto che lo separava da me era lungo ed il timore dei presenti che lo facesse cadere, più che giustificato. Sentii l'apprensione di quanti di casa volevano intervenire per evitare il peggio, sicuri che l'oggetto sarebbe caduto. Intervenni impedendo l'iniziativa ed incoraggiai il piccolo a consegnare l'oggetto nelle mani del papà che gli era più vicino. Non senza sforzo lo consegnò senza farlo cadere ed io lo lodai vedendolo sorridere apertamente soddisfatto.
La mia fiducia gli aveva allontanato ogni istinto distruttivo e gli aveva anche dato la possibilità di dimostrare che era stato bravo.
Ora so che dietro una palla che rotola sulla strada, bisogna frenare perché c'è sempre un bambino che la rincorre... che in un flacone di alcool denaturato ci può essere una pericolosa insidia per il bambino che lo sorseggia di nascosto, alcolizzandosi ed avvelenandosi senza che qualcuno e ne accorga... che l'innocente gioco del nascondino può essere occasione di rapimento... che tra le braccia d'un padre può nascondersi la più grave violenza che si possa fare su un bambino: l'abuso sessuale...
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