Lo chiamò per nome, l'eco lo rese imbarazzante, si chiamava Luciano e "ano" è quello che il vuoto ripeté.
Luciano si voltò, si guardò intorno e vide lontano una figura insicura ondeggiata tra l'afa di quel Giugno arso e afoso. Lo riconobbe, non subito, ci mise un po', ci mise un po' a capire che era lui stesso a chiamarlo, era il suo passato a volerlo ancora con se.
Il vento urlava e la polvere tagliava la visuale tra lui e lui.
Si disse, tra se, che in verità quel Luciano lo conosceva bene. Fin troppo bene. Sapeva che gli avrebbe rovinato la vita. Gli avrebbe offerto ancora una volta da bere, e ancora e ancora. Gli avrebbe comprato quel coraggio in polvere da tirare su col naso, gli avrebbe indicato la donna che gli spezzò il cuore, gli avrebbe suggerito che ora lei stava vivendo una nuova vita con quel Mario, quello che abita giù nella discesa, affianco al fioraio.
Luciano rimase ancora immobile per dei secondi che parevano interminabili, come a pensare di ricalcare i passi appena fatti e assecondare quella voce che lo chiamava. Invece si voltò dall'altra parte, diede le spalle al passato, camminò leggero, passi di strada bianca e sparì verso l'orizzonte, verso un treno che si chiamava speranza, si chiamava Seconda possibilità,
lasciandosi alle spalle quelle orme a puzzare di ricordi.