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La maledizione del Benessere
Un divano sdrucito dove per anni ha dormito un cane, logoro a tal punto da dover essere tenuto insieme da del nastro telato nero, scaffali colmi di libri in mezzo a cui ogni giorno provo a perdermi sempre più in profondità, un tavolo sgangherato, un frigo vuoto, piatti da lavare, troppi piatti da lavare. La casa di un single è molto comune, scenario di una vita che alterna la merda alla libertà di non dover sopportare nessun partner privo di sensibilità e profondità d'animo.
Sono Ronald, misogino, misandrico insomma misantropo. E non per scelta sconsiderata ma per vile e sferzante empirismo.
Ogni mattina sveglia alle 6:00, la casa un incubo di silenzio, non un animale non una donna da compagnia, ne' radio ne' televisore, questa società silenziofoba con tutti i suoi rumori volgari e gretti ad ogni ora, minuto e secondo del giorno mi avevano stancato. È solo col silenzio che è possibile smettere di pensare.
Scendo dal letto controvoglia vorrei restare a cullarmi di sogni, ma ultimamente anche quelli mi disturbano, il subconscio è il mio peggior nemico, ovvia alla asocialità cercando amicizie fittizie dentro i miei sogni, mi faccio spazio tra le pile di stoviglie sporche e cerco la piccola caffettiera con cui preparare il risveglio per il mio cervello assonnato e ingrigito.
Piccoli granelli di polvere di caffè sistematicamente cadono dal cucchiaino e si vanno ad aggiungere a quelli versati i giorni precedenti, formando una moquette marrone vicino al lavandino, che diventa fanghiglia col passare dei giorni.
Accendo la prima sigaretta recuperata dalla tasca dei pantaloni lasciati ad imbruttirsi per terra dalla sera prima, mi sporgo dal balcone e guardo il mare all'orizzonte, ma a quest'ora non è nient'altro che il continuo del buio del cielo. Le persone tendono a dare così tanta importanza ai panorami che a volte faccio fatica a comprenderle, basta un semplice sguardo per colmarvi l'animo di felicità?
No, a me non basta perdere il mio sguardo nel vuoto ed esclamare le solite frasette inflazionate e obsolete, ho bisogno di aver il tempo di calarmici dentro e prendere coscienza, diventare parte del panorama e rivedere me stesso riflesso all'orizzonte ed iniziare a parlare con la mia anima ormai malforme e dannata per trovare un senso a quello che guardo.
Ma arriva il gorgoglio della caffettiera ad interrompere ogni mio pensiero, risciacquo una tazzina, il set di queste tazzine dev'essere costato parecchio a chi me lo ha regalato, sembra ricerchi una qualche sorta di design, le tazzine sembrano piccoli bicchieri di carta accartocciati e pronti ad essere buttati. Sembra assurdo a volte pagare il triplo per un oggetto che ha le stesse medesime funzioni del suo surrogato, ma c'è chi lo spaccia per arte e mi ripeto sempre: fanculo, a me non la date a bere con il vostro fottuto marketing camuffato da arte.
L'arte è un libro in cui ti ci perdi e solo scaraventandolo al muro riesci ad uscirne, l'arte sono le canzoni scritte da quegli artisti che hanno capito il senso del mondo, non questa merda creata ad hoc per essere venduta a qualche pecora seduta davanti ad uno schermo.
Verso la caffeina scura in questo costoso recipiente aborto da centro commerciale, la lascio freddare mentre finisco di fumare, la sorseggio lentamente, è amara non mi piace lo zucchero, maschera il vero sapore delle cose.
Vado al cesso, dopo aver cagato entro in doccia e lascio che il mio corpo si perda sotto il getto d'acqua bollente, che si metta a pensare lo sento cercar di comprendere.
Esco dalla doccia ancora fumante, il pavimento una pozzanghera d'acqua calda, mentre cammino sento il pavimento freddo sotto la pianta dei piedi, quasi a volermi ricordare che qualsiasi tipo di calore prima o poi darà spazio al gelo. Davanti allo specchio, troppo sporco per riflettermi ancora per intero, inizio ad asciugarmi, sulla mia destra c'è lo spazzolino e il dentifricio, il primo sarebbe davvero ora di cambiarlo, quasi quasi sarebbe più utile usare il dito, come quando mi risveglio a casa di qualcun altro dopo una delle solite serate a base di alcool e droghe.
Apro il cassetto dove tengo la roba per andare a lavoro e la indosso con calma mentre fisso l'inesorabile ruotare del ventilatore.
Per strada sempre le stesse facce, a quest'ora del mattino incontro sempre i soliti vecchi che escono a portare il cane a passeggio e amanti del jogging, vorrei davvero scoprire come si possa amare correre, probabilmente sono io limitato ma davvero non capisco cosa ci sia di così eccezionale nel mettere un piede davanti all'altro.
C'è già abbastanza luce per strada, i lampioni sono ancora accesi, sorpasso l'angolo e passo davanti all'edicolante, mi fa un cenno di saluto e io rispondo con il capo, ha l'aria di essere una brava persona. Il solito giardino con il solito cane ringhioso anche dopo anni che gli passo di fronte, la solita pianta da cui raccolgo un poco di foglie da tritare tra le mani mentre cammino. Di solito all'altezza della chiesa mi accendo la seconda sigaretta della giornata, e mentre passo inalando quella dolcissima merda scruto gli affezionati credenti che ogni mattina si fanno avanti verso la prima messa. Per la maggiore sono anziani, vecchia generazione cresciuta senza secolarizzazione, senza quel martellante peso mediatico bombardante di mistificazione e critica. Forse pensndo ai miei nonni, vivono meglio di tutti noi, sicuramente di me, inconsapevoli, stolti ma felici. Una finta felicità del cazzo. Mentre passo avanti ripenso al giorno che entrai in chiesa, mi aveva chiamato un collega dicendomi che si era rotto un macchinario, dunque di prendermela con calma.
Ero già per strada così decisi di temporeggiare entrando in chiesa, mi sedetti nell'angolo in fondo a destra, un banco di legno duro e pesante lungo diversi metri, diverse persone si sedettero alla mia sinistra, preventivamente mi sedetti all'estrema destra, una via di fuga bisogna pur sempre averla. Il sacerdote iniziò la messa, ora non ricordo bene tutto quello che disse, ma il concetto di tutto era l'onniscienza del Signore, la sua onnipresenza e la sua decisione sul nostro destino e futuro.
Non riuscii a fermare la mia mente dal pensare, dal chiedersi: ma ci deve essere una zona d'ombra in tutto questo, non so un punto cieco del Signore, un punto in cui esiste il libero arbitrio, anche il semplice concetto del Diavolo o del male non regge senza questa zona d'ombra, significherebbe che Dio ha deciso tutto questo, fanculo potrei anche bestemmiare qui dentro, sarebbe comunque colpa sua, nessuno potrebbe lamentarsi. Uscii preso dalla disperazione che miliardi di persone abbiano deciso di smettere di ragionare per seguire i dettami irrazionali di qualcun altro. Un vecchio mi si avvicinò e mi chiese gentilmente come mai stessi già andando via.
Pensai che fosse inutile chiedergli spiegazioni sulle mie frustrazioni, e infatti la sua unica risposta fu : "AH?"
Lo salutai e proseguii oltre.
Il pensiero di quell'esperienza mi costrinse ad accendere la prematura terza sigaretta, ero quasi arrivato al cantiere, spensi la sigaretta nello stradone appena superato l'ingresso, salutai i miei colleghi. Non erano certo dei geni ma ci volevamo bene e in fondo neppure io lo ero.
Lavoro in un'azienda agricola, zappo la terra, la dissodo, la rendo fertile, un lavoro semplice, gratificante, privo di ambizioni, perché le uniche ambizioni che mai mi sono interessate risiedono nella mia sete di coscienza, conoscenza e consapevolezza. Mi sono dovuto anche prima laureare per capire che primeggiare per ottenere un qualsiasi tipo di potere non mi sarebbe servito a nulla, non avrebbe salvato la mia anima e non mi avrebbe salvato dal mio passato.
Scelsi di vivere in un buco con il poco che mi permetteva di vivere degnamente. Alle donne questo non piaceva o almeno a quelle che avevo conosciuto fino ad ora, troppo affascinate da cazzi di marca, con il cabrio, i vestiti just cavalli e con un immenso ego.
E le poche che sopportavano questo, finivano con il non sopportare il mio animo cupo, neanche più riuscivano ad ascoltare i miei "deliri" nichilisti.
Stavo sistemando dei semi nel terreno appena smosso, insieme a Carlo parlavamo del solito: donne, alcool e poco altro.
Mi stava descrivendo il culo sodo dell'ultima ragazzetta che aveva conosciuto dentro un locale, era un porco e non c'è nulla di male ad esserlo, ma lui era uno di quei porci che non poteva fare a meno di raccontartelo, a me dava un po' fastidio a volte ma alla fine ci ridevamo sopra. Era un bel fusto Carlo, questo non lo potevo negare e sapevo bene che le sue storie non erano inventate, lo avevo visto in azione più volte al pub, più che un uomo sembrava una macchina da guerra creata per rimorchiare.
Terminò raccontandomi dove finì il suo caldo sperma alla fine della scopata, e l'idea del suo seme sopra un altro essere umano donna, credetti di doverlo trovare eccitante ma in realtà mi disgustò un poco.
Carlo si allontanò lasciandomi libero di pensare, stavo quasi per finire di riporre i semi, stava per arrivare la pausa pranzo, mi venne in mente Mary, una bella ragazza con cui stetti tempo fa. Nella mia onesta follia le raccontai anche di quello che si parlava tra uomini e amici a lavoro. Non trovò di meglio che chiedermi: "Dunque anche tu fai commenti sulle altre donne?"
Be' cosa avrei dovuto dirle?
"no amore ma quando mai... tesoro io ho occhi solo per te."
Forse avrei dovuto, ma non sono mai stato bravo a scendere a questo tipo di compromessi, così le dissi che se avesse mai trovato in futuro un uomo che le avesse detto che non provava attrazione per altre donne, avrebbe fatto meglio a fuggire perché era un bugiardo, certi uomini non esistono e se esistono, non so, probabilmente hanno delle perversioni in stile necrofilia o zoofilia. Finì lì la mia storia con Mary.
Arrivò l'ora di pranzo, mi sedetti insieme agli altri dopo aver riempito il piatto di pasta al ragù, sentivo Carlo che stava raccontando la medesima storia raccontatami poco prima, così mi girai verso Antonio. Antonio probabilmente sarebbe già dovuto essere pensionato o quanto meno avrebbe potuto esserlo se avesse voluto, ma era uno di quegli uomini di paese coriacei e cocciuti che trovavano nel lavoro uno dei pochi stimoli per andare avanti, e forse era molto simile a me, se non fosse per il fatto che probabilmente pensava poco a tutto il resto. Lo vidi un po' stranito e gli chiesi cosa avesse.
Rispose: "Niente Ronald, niente."
Non insistetti, apprezzo le persone riservate.
Mangiai il restante del pranzo in silenzio, ascoltando di tanto in tanto qualcuno dei colleghi raccontare la loro vita.
La giornata lavorativa terminò in fretta dopo il pranzo, salutai i colleghi, stasera non li avrei raggiunti al pub, ero malinconico volevo stare in solitudine.
Ripercorsi la strada al contrario, chiesa, pianta, giardino con cane, edicolante e finalmente casa.
Dopo un pasto frugale cucinato piuttosto in fretta mi distesi sul letto a leggere l'ennesimo libro in cui perdermi coi pensieri, "Il mito di Sisifo" e mentre lo leggevo non riuscivo a non pensare ad altro, un unico martellante pensiero in testa, un'unica frase rimbombante nelle pareti molli del mio cranio. Esiste davvero qualcuno così misero, così privo di sensibilità che non si sia mai chiesto: Ha senso vivere?
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1 recensioni:
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- Piaciuto moltissimo.. Alessandro.. ha senso voler portar quella roccia in cima al monte..? sì rispose.. gettando contro il muro un surrogato d'arte... dal cranio molle...
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Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice... Camus..
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