Spazio insondabile quello della mente, intricato e labirintico, invivibile a volte, fonte d’ispirazione infinita altre. Yanez dice di sé che è stato un bambino vivace e curioso, attento a tutto quello che intorno a lui accadeva; dice che niente, ma proprio niente, ci passa accanto senza lasciar traccia. Un pensiero di un attimo ad esempio, perduto nel tempo e nella memoria, nell’oblio del consueto e nella distanza; un pensiero di un attimo, ciò che è sempre fuggevole, fugge, per un motivo che spesso non conosciamo. E quando torna lascia tracce nuove, moltitudini essenziali e inessenziali, quasi sempre imperfette. Siamo noi che lo rendiamo perfetto, il pensiero, siamo noi che edifichiamo su di esso la nostra costruzione. Yanez lo sapeva bene, sapeva dei suoi sedici anni e dei pensieri che vivono, solo, veramente e nel momento, in cui viviamo con loro. E Yanez li viveva i pensieri, come sempre, come gli veniva spontaneo, fino in fondo. Ma che senso ha farli vivere, si chiedeva Yanez, se oltre che viverli noi, non li rendiamo leggibili al mondo. Nessuno aveva imparato a leggere i suoi pensieri, ne lui era capace di farli leggere agli altri. Era arrivato a credere che i pensieri, mai traducibili efficacemente attraverso le parole, sarebbero rimasti sempre " eternamente " inafferrabili, che la mente sua avrebbe dovuto smettere di emettere quelle strane onde; onde logoranti, onde a perdere. Eppur nulla si perde - continuava a dirsi. Così io sento, così vorrei vivere... cercando una via, un modo, una legge che mi traduca al mondo " si convinca sempre più. Nessuno sapeva, nessuno immaginava, nessuno avrebbe mai immaginato o mai saputo. Si sentiva diverso e ne era fiero e felice, ma allo stesso tempo gli pesava. Non poter palesare ad amici e genitori la sua natura, gli consentiva una vita a metà, tra lo spontaneo incanto e la disillusione. Yanez ricordava bene i suoi otto anni, quando tutto gli riusciva facile ed immediato, senza inquietudine alcuna; quando il pensiero correva libero e godeva del suo solo esistere, senza la necessità della comprensione di chi gli era intorno. Come vorrei tornare ad essere un bimbo - continuava adesso a ripetersi, col pensiero. Come vorrei non aver meta, confine, distanza o barriera, come vorrei tornare a volare solamente per il volo, ammirare per ammirare, leggere o scrivere per me stesso e mai per l’occhio giudicante o interpretante di un professore " o chi per lui. Come vorrei...
Lasciate alla mente queste parole, d’improvviso in Yanez tornò un pensiero, come una poesia-filastrocca: Strano pensiero / ora che torni / sembri anche nuovo / nel volteggiar curioso mi ritorni / a poca distanza dal mio muro in cortile / dove le onde sussurrate a memoria / disegnavan pensieri / ad ogni nuvola in cielo / ad ogni micio che passa / a trecce d’oro al mio banco / e alla mia mamma al mattino / or solo adesso e in questo giardino / ritrovo il senso di quel pensiero che fugge / che al mentre ora mi legge / ed io rileggo al futuro / sto disegnando sul muro / senz’acquarelli o matita / sto disegnando la vita / che vive dentro di me.
Ora ricordava bene, in modo forte ed inequivocabile, il volto sereno di un bambino, quel bimbo forte e coraggioso, che disegnava pensieri sul muro del cortile. Su tutti i muri limpidi del mondo.