" Quale fortuna! Oggi, al cantiere, è corsa una voce... sei mesi in Libia a costruire un villaggio. Ci daranno tanti soldi quanti ne guadagneremmo in dieci anni di normale lavoro in Italia. Io ho detto subito di si. Sono e mi sento giovane, forte, solo pochi mesi e realizzerò inaspettatamente il mio sogno. Desidero una casetta vicino la fontana grande, c'è un rudere da abbattere e tanta terra intorno. I miei tre figli potranno crescere in più spazio, Liliana finirà di fare quelle ripide scale tantissime volte al giorno, se ne gioverà con tutto il da fare di questi nostri tre maschiacci che vanno crescendo. Ma la cosa che più mi spinge ad andare è mia suocera: finirà la sua incombenza pesante nella mia famiglia.
Voglio tornare, dopo una giornata di lavoro, alla sera, stanco ma con la libertà di godere di un bacio o di un abbraccio per e da mia moglie.
Da quando ci siamo sposati c'è stata sempre questa presenza burbera che fiacca ogni mio gesto d'amore... non si fanno certe cose alla luce del sole, bofonchia ogni volta... Liliana è timida e un solo sguardo della madre la fa arrossire e bloccare. Io voglio mia moglie e i miei figli tutti e solo per me. Si, vado a Sheba.
Certo, non abbiamo assicurazione di sorta, ma cosa può accadermi?! Sono anni che faccio il carpentiere, che salto da un ponteggio all'altro su palazzoni prima in Germania ed ora a Roma. C'è un boom di lavoro in questi anni! Sto lavorando nel quartiere di S. Paolo: palazzi a perdita d'occhio nella zona non troppo lontana dal Tevere. Dal paese prendo la corriera ogni mattina alle tre per tornare a sera, quando è già buio, giusto in tempo per vedere i miei figli andare a dormire. Ci sarà ancora da lavorare a Roma quando tornerò, ma intanto avrò casa mia in poco tempo e... si, vado. Case alte tre metri... un gioco per me.
Sulla mia decisione si mugugna, soltanto mia sorella Elisa, benedetta, mi rincuora e comprende il mio entusiasmo, la voglia di migliorare la mia vita.
Non sono più nella pelle, faccio progetti e sogni ad occhi aperti sulla casetta.
Mi dispiace solo per Antonio, il mio figlio più piccolo: ha solo tre anni e ogni volta che cerco di spiegargli si stringe sempre più al mio collo, sembra voglia trattenermi per non lasciarmi più.
Nemmeno quindici giorni e sono tornato al paese fra quattro assi di povero legno e fra immense difficoltà burocratiche.
Ricordo solo un forte dolore alla nuca.
Mi hanno tradito la mia voglia di fare, la sicumera della mia giovinezza.
Povera mamma mia, poveri figli miei, Liliana... poi fu buio o luce o leggerezza.
Proprio il giorno della festa di S. Antonio, quando mamma va in processione con sulla testa la cesta del pane da donare, io abbandono tutto e tutti per una banale caduta.
Mia moglie fa ancora quelle scale, nonostante l'età e gli acciacchi.
Volevo alleggerirle il compito di mamma ed invece ha dovuto anche lavorare al posto mio.
Sono cresciuti belli e bravi i miei figli. Ho sei nipoti. Mia suocera ha cent'anni e vive ancora con mia moglie.
Il rudere che doveva sostituire la mia casetta è ancora lì. Il mio sogno è intatto ".