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Fumo
Tonio Krőger s'accese la sigaretta del vespero. Erano giorni che non si concedeva più quel piacere centellinato, quel vagheggiare materiale nelle volute fumose, e meditativo, nei pensieri che le accompagnavano. Tanto essi erano numerosi ed intensi, quanto le esalazioni stesse dalle quali scaturivano. Il gesto era infatti così raffinato e sbarazzino. Una carezza "vespertina" appunto; come amava definirla. In effetto il suo pensiero aveva la medesima forma, la stessa ineluttabile caparbietà.
Mentre inalava le prime, rapide boccate, Tonio Krőger pensava. Da sempre quel ridicolo bastoncino psicotropico, quello scettro evocativo e nocivo esercitava su di lui un magnetismo inspiegato, suscitandovi un'inspiegata serie iconografica nella testa. Più volte ne aveva abbozzato sopra dei versi. Qualcuno, probabilmente i più giovani e meno validi, gli tornavano addirittura alla mente; ancora, come relitti galleggianti sopra un sepolcro liquido di flotte:
Oh sigaretta mia, bianca e odorosa,
con te l'ispirazione e il genio sfamo;
con te la Morte pare una sciocchezza...
Sei la bara del labbro che riposa.
Sei il funerale di un amante gramo,
o di chiunque a cui la vita si spezza...
Ma se arder devi in morte di qualcosa,
di che sei il funerale? Oh, fumo arcano!
Tu sei l'incenso della giovinezza!
Sì. Empiti di getto decisamente ignari, vivi e puerili. Celeri sprazzi michelangioleschi. Ma più belli ne aveva scritti poi, più da fumatore... Più da artista limatore e disilluso. Quello che ora lo stupiva era il sorprendente accorgimento che avessero potuto avere, vuoi per condizionamento di una congiuntura a sprazzi tanto poetica, vuoi per una intellettuale (e dunque forzata) immedesimazione, un non so che di inaspettata connaturalità, una origine ed una forma tanto simili. Nella fugacità di quei fumi egli aveva scorti, scritti nell'aria appestata, i versi che, di getto, s'era sentito di produrre. In quei versi poi, molto dopo, egli si rifigurava pressoché alla perfezione gli stessi bianchi afrori, gli stessi olezzi impalpabili che vi aveva voluto artisticamente imprimere; secondo l'antica credenza per cui i ricordi possono trascolorare nell'occhio presente e le poesie profumare quanto evochino. Forse era per questo che la flagrante inutilità, allorché le narici palpitavano di piacere latente, gli sembrava voler rinnovare, di boccata in boccata, il simbolico ritornar polvere dell'uomo. Dopotutto, rifletteva ancora, la disillusione del letterato, l'ironica consapevolezza che esce dalla sua bocca, il discorso incendiario e cinicamente profanatore, non avrebbero potuto trovar migliore portavoce che in quel cilindro acceso all'angolo della bocca, impertinente pistillo fra due rubicondi petali carnosi. Già. Proprio un pistillo pareva, la punta incandescente; una di quelle sanguigne orchidee che paiono imprigionare le lucciole, tanto splendenti sono i loro colori. Ed allorché la sigaretta veniva scossa per liberarla dalla cenere sembrava che il fiore liberasse le sue spore biancastre per rivelare l'incandescente fulgore rutilante. Ah! A quante cose poteva assomigliare.
La saliva acquistava la consistenza del catrame stesso della sigaretta, dall'acqua di cui avrebbe dovuto esser fatta. La salivazione aumentata titillava la percezione. Così sputava stordito. Sputare il miasma sulla terra per vomitare lo spirito in cielo. In questa situazione si potrebbe scambiare il filo di un palo telegrafico per una spessa ragnatela di ragno attardato al proprio ufficio
Pensandovi oltremodo sopra, quello a cui era giunto consisteva in una autocoscienza del gesto; una strana autocoscienza peccaminosa nella misura per la quale voleva valutare i pro, infinitamente più radi dei contro, ma a tal punto contemplativa e meravigliosamente irrisolutrice che non si poteva evitare, amando le fantasticherie, di essere a propria volta trascinati in quei fiumi gassosi; fiumi dalla foce separata e lontana del terreno quanto lo fosse parallelamente il loro delta dal cielo, nel quale avrebbero dovuto confluire... Quello che più lo incuriosiva era l'andamento scientificamente imprevedibile della massa gassosa. Vi ravvisava una stupidità quanto mai misteriosa. Un amorfo blocco di fumo, infatti, se creato proprio nei pressi di una porta che dia da un lato su uno spiazzo all'aperto, dall'altro su di un'unica camera dal'alto soffitto, ha un comportamento cieco ed infruttuosamente univoco. Esso si dirigerà quasi totalmente, se opportunamente indirizzato nel generarlo, all'interno della stanza, dentro quel monolocale privo di sbocchi secondari, entro il quale si dimenerà all'infinito, spargendosi, agitandosi e dilatandosi come uno smanioso brodo di carne in un vasto piatto fondo, dalle pareti rialzate che ne arginino la tracimante trepidazione. È vero: una piccola parte di quel fumo, là dove nasce, subito si disperderà nell'ambiente, volando elegantemente per altre vie. Ma la maggior parte varcherà la soglia, destinata a grattare perpetuamente il soffitto, a cozzare ciecamente sulle travi, a premere senza successo per svincolarsi dalla barriera che, secondo gli antichi, la sta separando dalla sfera del suo elemento genuino, dalla sua materia affine, sua prima scaturigine. Quel piccolo e poverissimo incensiere, rigirato eppure così saldo tra gli affusolati pollice e il medio della mano, non si estraniava, a parer suo, dallo stesso procedimento. Tuttavia questa stupidità così misteriosa, o forse più propriamente questa misteriosità così stupida, lo aveva affascinato in misura maggiore di tanti altri ben più degni elementi di ispirazione. Unica vera filosofia della "sfumatura", la sigaretta era nei suoi componenti un'elegante celebratrice della viziosa felicità, e nelle sue volute azzurrine un raffinatissimo araldo di morte. La combustione di quel raro tabacco bulgaro scivolava oltre le sue labbra come una bianca cascata, ed i turbinii salivano, per senso opposto, al suo cervello, alla sua testa, attraverso un camino tappato da ignobili soffitti cutanei e piliferi. Era un gesto creatore, paradossalmente ingodibile non già senza le appendici del palato orofaringeo, ma senza l'occhio e l'immaginazione. Alcune persone trovavano il sapore, e soprattutto il retrogusto ritardato di questo tabacco, eccessivo e pungente per il loro fiato e le loro ugole. Però lui no. Non era stato scritto forse And all men kill the thing they love/ by all let this be heard:/ some do it with a bitter look/ some with a flattering word./ The coward does it with a kiss/ the brave man with a sword? Quanto non era meglio un subitaneo colpo di lancia, che mille reiterate stilettate? "Meglio Werther dell'ago puntura" pensava.
E poiché spesso i risultati e le routine della nostra età più avanzata e sofisticata, quella che crediamo essere civiltà dello spirito rispetto ad un selvaggio stato di natura da pargoli, ci rimandano paradossalmente proprio a questi tempi in cui ne ignoravamo l'entità (il mondo era finito entro il nostro infinito) la sigaretta ha dunque lo stesso sapore dei campi di verde grano e germogli di cavoli delle liberatorie corse adolescenziali. Attraverso l'eccitazione cerebrale provocata, il sapore non è di tabacco combusto, ma dei ricordi più gai e dei sapori dimenticati. Così ogni rapida folata assumeva le sembianze fumose dei cavalli delle valchirie. Ortlinde, Grimgerde, Helmwige... Quei nomi erano pronunciati dietro al malevolo rocchetto come un tempo lo erano stati dietro al banco di liceo; esattamente lo stesso tono e nitore psichico.
Cominciava a nevicare. Quando il rocchetto veniva scosso la cenere che dipartiva pareva compiere gli stessi volteggi dei primi fiocchi, e Tonio sentiva di cavalcare il proprio pensiero nella tempesta imminente a cavalcioni di quel pezzo di fuliggine. Sembrava una nera persona che si immettesse nello stesso sentiero degli angeli, ma che nell'immensità del cielo grigio, a differenza di tutti gli altri compagni, mantenesse il proprio colore distinto dal resto di quell'immensità.
Tonio Krőger poteva sentire la sigaretta dimenarsi nella parte ultima del cranio, ed espandersi lentamente, ma senza sosta, lungo quella rete di canali segreti da cui secondo Lucrezio colano magicamente le distillazioni della vita e dell'eros primigeno. Al pari della metaforica stanza, la testa del poeta risuonava colla voce di un gong impalpabile sotto i martellanti colpi dell'etere che lo intacca, sotto i palpiti verticali di un esalazione che agonizza mentre viene eterogeneamente assorbita. Era inevitabile immaginare che ora, mentre il fumo si concretizzava sempre più in una patina interna ed alvina di sottilissime polveri, la nuvola sì direzionata stesse spargendo la sua febbre acida e stimolante come un rampicante diffuso senza alcun appiglio postogli ad ausilio, sul nudo terreno, sprazzi vegetali striscianti a macchia d'olio. Inconcepibile, in effetto, che mentre le infinite bocche ulteriori, nascoste dietro alla nostra più visibile, succhiavano quel miasmatico nettare nocivo, questo unguento, nell'ultima magia dell'assuefazione, non avesse già perennemente ed inesplicabilmente cominciato a revêtir le plus sordid bouge d'un lux miraculeux.
La sigaretta finì. Il cuore batte all'unisono dell'ultimo tiro moribondo, mentre il suo incensatore si alzava, e gettava lontano il mozzicone non ancora estinto del tutto, come col gesto di uno che sia riuscito a racchiudere i più escatologici dilemmi in una vaga riflessione immaginifica.
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