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Morte di un idiota
Ama guardare il tramonto. Estasi. Occhi aperti buttati là, dove l’infinito decide di colorarsi di rosso. Ama ammirarlo da quel muretto, seduto in modo scomposto, i piedi a ciondoloni. Solo. Com’è solo quell’unico punto di cielo che ha preso un riflesso quasi verdastro. Sensazioni contrastanti in quella testa enorme, coperta da molti capelli già bianchi. Felicità che perde lentamente colore, man mano che il sole va giù. Tristezza che si avvicina, che ritorna, confusa dal buio ormai vicino e dalle prime luci artificiali che cominciano ad ammiccare. Una risata dolce come l’odore di casa, una lacrima che scende nel momento in cui il sole scompare. Vanno giù insieme, ad annunciare la notte. Che renderà scuro quel mondo inscatolato da palazzi fatiscenti, quel mondo di pochi isolati che è il suo quartiere, quel mondo di cui lui fa parte, quel mondo che lo chiama “idiota”. Si alza e va verso casa, cammina come sa fare, zoppo e ciondolante. Ride quando vede un cane che piscia ad un lampione. Ride quando sente un clacson che insiste. Ride ancora davanti ad una coppia che litiga. Ride, nella sua ingenuità, cervello di bambino in un uomo di vent’anni. Non si accorge che il mondo ride di lui, al suo passaggio. Non si accorge che i ragazzi gli fanno il verso, esagerando il suo handicap in grotteschi teatrini improvvisati per strada. Non vede le ragazze, con le gonne tirate su a scoprire le gambe bellissime nelle calze di nylon.
Vivere. Per lui conta solo questo.
Ora è a casa. È seduto sul letto, la testa enorme reclinata da una parte. Sorriso dolce come una filastrocca. È gonfio di lividi. Fatti da chi gli ha regalato la vita. Lui, venuto al mondo per essere di vergogna. Si rannicchia sotto le coperte e chiude gli occhi. Si addormenta cullato dalle preghiere di sua madre, sussurrate lentamente come tenere ninnananne, e dalle bestemmie di suo padre, forti come un bicchiere di whiskey. Lo risveglierà l’alba, col suono festante dei pettirossi.
I pettirossi sono belli, quasi come un tramonto.
La bellezza. La vede nelle piccole cose, in quelle cose che non hanno senso, non hanno importanza, non vanno di moda. Lo sveglia un sole che ha sorrisi per tutti, anche per lui che non fa parte del clan. Si alza e si veste da solo, entra in una maglia troppo piccola per essere la sua. Esce di casa. Sorriso sdentato. Occhi irrequieti. Passi incerti dentro una bolla di sapone. Il mondo intorno gli sembra bellissimo.
Suo padre è seduto al bar, beve caffè con gli amici di sempre.
Lui guarda un gatto appisolato su un davanzale, accanto a fiori rosso scuri.
Suo padre parla della gara di pesca, domani vincerà, ne è sicuro.
Lui ride quando vede un cocomero verde chiaro rotolare per terra.
Suo padre ride di gusto e dimentica i problemi.
Lui parla ad un topolino che ha visto correre verso la crepa di un muro.
Suo padre lo vede arrivare ciondolante, fa finta di non vederlo.
Lui lo vede seduto al tavolino, gli occhi si riempiono di gioia.
Suo padre vede la testa degli amici nascosta tra le mani.
Lui guarda suo padre, è il più forte di tutti, è il suo eroe.
Suo padre si alza e si slaccia la cinghia
Lui corre sincero ed offre un abbraccio.
Il sorriso rimarrà stampato sul volto. Gli occhi bloccati. Plop. La bolla di sapone è esplosa. La sua testa enorme ora giace in una pozza di sangue.
Suo padre urla.
La cinghia è per terra.
Gli amici se ne vanno, increduli.
Il tramonto sarà in bianco e nero.
-fine-
liberamente ispirato alla poesia “Morte di un idiota” di Charles Bukowski.
duccio monfardini
19/4/07
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