Seduto in poltrona lancio una rapida occhiata fuori, giusto il necessario per rendermi conto che Novembre sta terminando il suo mandato sciogliendosi definitivamente in pioggia. Accendo il televisore per vedere se questa sera varrà la pena stare alzati per guardare un buon film. La prima immagine che si materializza è quella di un ragazzo che imbraccia un fucile, la faccia vorrebbe essere feroce ma viene tradita dagli occhi. Occhi da bambino. Alle mie spalle una vocina m'interroga:
- Nonno, la guerra la fanno anche i bambini?
Spengo l'infernale apparecchio, poi mi volto per guardare in faccia mio nipote Carlo, appena tornato da scuola. Vorrei rispondergli che quella è una situazione particolare, che in Africa purtroppo succedono cose che da noi sono inconcepibili, ma prima di parlare lo sguardo cade su un portaritratti appoggiato sulla mensola del camino. Osservo la foto in bianco e nero, un giovane in uniforme mi sta fissando. Mio nonno. Di tutti i suoi racconti sulla "grande" guerra uno emerge con prepotenza. "Erano una moltitudine, avevano sì e no diciott'anni, appena scesi dal treno venivano mandati a combattere. Io li guardavo in trincea, prima dell'assalto. Guardavo quelle facce assumere smorfie che avrebbero volute essere di ferocia, tradite però dagli occhi. Occhi da bambino." Torno a fissare quelli di mio nipote, che attendono una risposta.
A volte, Carlo. A volte succede. Loro, però, non vorrebbero.