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Conobbi un uomo tanto tempo fa
Conobbi un uomo tanto tempo fa. Un uomo che entrò nella mia vita tanto velocemente quanto ve ne uscì. Le nostre persone, i nostri corpi, le nostre menti si incrociarono per caso in una fredda notte di novembre, in un locale di seconda scelta frequentato soltanto da ubriachi cronici, clienti cinquantenni abituali amici del proprietario e, di tanto in tanto, turisti in cerca di informazioni. Le nostre strade decisero di intercettarsi in quella notte, in quel posto e in quelle circostanze, per poi tornare a scorrere libere nell'immensa costellazione di bivi in mezzo alla quale la vita ti pone sin dalla nascita. Si incontrarono, per poi non sapere più niente dell'una e dell'altra, come è accaduto in altre centinaia di circostanze simili dovute a conoscenze che nell'arco della mia esistenza mi è ovviamente capitato di fare. Posso però affermare che quella, senza ombra di dubbio, è stata la più significativa, la più importante. Sono stati necessari solo pochi minuti del suo tempo per farmi riflettere, ma soprattutto per mettermi in condizioni tali di farlo da quel momento in poi: non pensate che le sue parole mi abbiano fatto capire di punto in bianco il significato della vita, il senso dell'esistere o altre analoghe frasi fatte, perché non è così. Sappiate, però, che il breve colloquio di quella sera ha messo in moto un meccanismo all'interno del mio cervello. Un lento processo di auto-constatazione, l'evoluzione del quale, con il trascorrere degli anni e delle situazioni quotidiane di vita, mi ha dato l'opportunità di vivere meglio, senza timori o rimpianti, di trascorrere un'esistenza molto più tranquilla e soddisfacente di quella che tanti falsi mentori odierni vogliono farci credere di stare conducendo.
Ma lasciate che vi descriva la scintilla vitale che quest'uomo ha saputo donarmi, forse inconsciamente, forse volutamente. Non potrò mai saperlo questo.
Avevo 27 anni. Quello che stavo attraversando era un periodo particolarmente statico della mia vita, decisamente regolare. Avevo una ragazza, con la quale mantenevo una relazione stabile da più di 3 anni ormai, avevo un lavoro decente che ci permetteva di pagare le rate del mutuo. Avevamo una casa di tutto rispetto. Un'auto di media cilindrata. Una vita, direi, più che normale.
Ero felice. Chi non lo sarebbe stato? Nella società di oggi, in cui siamo stati inseriti senza prima venire neanche interpellati, non sono poi molti i requisiti per una esistenza tranquilla. Avevo memoria del passato, vivevo un bel presente ma ignoravo, logicamente, il futuro. In quel mio presente complicazioni e difficoltà varie non trovavano granché spazio, vuoi per una serie di circostanze fortunate, vuoi per una corretta e sensata gestione del passato, vuoi per causa del mio carattere, che non proclama i problemi se non sono effettivamente tali e pericolosamente minacciosi. Fatto sta che la vita scorreva serena, anche se ancora non sapessi cosa fosse la vita in realtà. Lo avrei scoperto gradualmente nel giro di pochi anni.
Una sera, quella sera, la mia ragazza aveva deciso di trascorrere un po' di tempo con le sue amiche ed io, in preda ad un attacco di rara oppressione per le mura della mia casa, decisi di andare a farmi una bevuta nel primo locale che avessi trovato. Andai a piedi, anche solo pensare di prendere l'auto mi dava fastidio. Percorsi poco più di trecento metri di marciapiede prima di scorgere un localino sulla mia destra. Entrai.
L'atmosfera scadente del posto che travolse il mio spirito già inquieto quasi mi convinse a tornare sui miei passi e continuare la ricerca, ma la piccola sagoma che armeggiava dietro al bancone mi catturò con i suoi socievoli convenevoli di benvenuto e la sua distaccata simpatia. Il luogo era piccolo, buio e semideserto ma allo stesso tempo curiosamente accogliente. Inoltre il barman si era dimostrato gentile. Decisi di restare. Probabilmente la scelta più saggia della mia vita. Prima di avvicinarmi al bancone gettai uno sguardo veloce al resto del locale: oltre a me e al barista il posto contava altre tre persone: due figure poco definite, a causa della poca luce, nell'angolo del locale più lontano dall'ingresso ed un uomo di probabile mezza età seduto su uno sgabello, riverso a schiena curva sullo stretto ma lungo bancone di un legno sporco e logoro. Feci qualche passo in direzione del barista per sedermi sopra ad uno dei panchetti, due posti lontano dall'uomo che dal momento del mio ingresso non aveva accennato un minimo percettibile movimento. Ordinai subito una birra chiara al doppio malto grande che in poco tempo il barman mi servì, tentando di scambiare due parole sia con me che con l'uomo alla mia sinistra, perseverante nella sua immobilità con la fronte poggiata sopra alle braccia. Dal tono informale con cui il barista si rivolgeva all'altro, capii che i due già si conoscevano. Gentilmente rispondevo alle sue domande brevettate che chissà quante volte avrà avuto occasione di porre ai suoi clienti. L'altro, invece, continuava a mantenere il suo stato di preoccupante silenzio. Dopo il terzo vano tentativo da parte del piccolo barista di comunicare con il taciturno personaggio decise di accertarsi della sua salute avvicinando la mano alla spalla dell'uomo con l'intenzione di effettuare una scrollatina di controllo. Proprio durante quel movimento l'uomo parlò, sempre porgendo ostinatamente lo sguardo sul bancone:
<< Bruno, porgimi un'altra birra per cortesia. >>
La prima reazione del barman, oltre a quella di ritirare la mano, fu quella di voltare la faccia in mia direzione, quasi come per avere conferma di ciò che gli pareva di aver sentito. Eppure la richiesta mi era sembrata inaspettatamente molto decisa e scandita. Dal comportamento della minuta figura indossatrice di uno sporco grembiule e di una camicia a maniche lunghe ripiegate fin sopra ai gomiti, quindi, capii che quello a cui avevo assistito non dovesse essere il primo "bis" della serata. Sorrisi al barista, che sorrise di rimando. Seguirono attimi di silenzio intermittente, accompagnati dall'armeggiare del barman intento ad ottemperare alla richiesta di quello strano cliente, dalle voci di sottofondo degli altri due sconosciuti e dalle note di una malinconica canzone recitata da una radio che non riuscivo a focalizzare. Fu l'uomo che ruppe definitivamente il silenzio subito dopo aver ricevuto la sua bevanda a concentrazione alcoolica 9%.
<< Sei nuovo da queste parti? >> Chiese ad alta voce senza alzare la testa, senza fare neanche un piccolo movimento. Impiegai un paio di secondi buoni per realizzare che il suo interrogativo era rivolto a me.
<< Vivo nelle vicinanze ma è la prima volta che vengo qui, si... >> Risposi cordialmente. Non fui infastidito dalla sua improvvisa domanda. A dire la verità quella inerte figura per me ancora priva di volto mi incuriosiva.
<< Buon per te. Se posso darti un consiglio, fa che sia anche l'ultima. Non ho mai visto un locale scadente come questo in tutta la città. >>
<< Però, chissà come, ogni sera ti trovo qua dentro a riempirti di schiuma e a cercare di farmi perdere più clientela possibile. Vero? >> Esclamò ironicamente il barista Bruno sorridendomi ancora una volta.
<< Giusto. Se smettessi di venire, vecchio, andresti in rovina. Sono il tuo cliente preferito, ammettilo. >> Aggiunse l'uomo.
<< Lo saresti se tu mi pagassi qualche volta. Non so se ne sei al corrente ma i debiti sono fatti per essere saldati di tanto in tanto. Ma pare che questo concetto ti sfugga. >>
Il dialogo scorreva sereno, tranquillo e amichevole. Assistevo interessato a quello scambio sarcastico di battute. Pensai che non dovesse essere la prima volta che i due davano vita ad una scenetta del genere.
<< Bla bla bla... ogni sera i soliti discorsi. Lo sai che sto attraversando un periodo difficile. Appena me ne tiro fuori sarai la prima persona alla quale penserò. >>
<< Spero che non festeggerai andando al cesso. Non mi sentirei molto a mio agio sapendo di essere lo stimolo delle tue schifezze. >> Ironizzò "Bruno il barista".
Una breve e sommessa risata sfuggì alle mie corde vocali dopo quella sortita che mai avrei associato ad una persona che lavorasse in un posto del genere. Quasi come ad avermi letto nel pensiero, l'uomo improvvisamente alzò la testa e drizzò la schiena. Finalmente la voce aveva un volto di provenienza, pensai. Un viso scarno sulla quale si stavano affacciando le prime rughe dell'età. Il mento era coperto da una incolta barba nera che, insieme ad un paio di baffi, contornava una bocca color fuoco, molto probabilmente a causa dell'azione combinata di tramontana e alcool. Presentava una visibile striscia rossa sulla fronte dovuta a chissà quanti minuti di contatto con l'avambraccio sinistro. Dopo quel fugace movimento, esclamò sorpreso:
<< Questa era bella, Bruno. Noto con piacere che hai aggiornato il repertorio. Finalmente hai dato un senso alla tua squallida vita. >>
<< Grazie vecchio ubriacone. Detto da te è proprio un bel complimento. Sono commosso. >> Rise.
Avevo assistito a quello sketch verbale con uno stupido sorriso stampato sulle labbra. Solo quando mi accorsi che l'uomo, del quale ancora non conoscevo il nome, mi stava guardando con aria poco felice il mio sorriso si smorzò. Non capii lì per lì il motivo del suo cambio di umore. Voltai gli occhi in direzione di Bruno ma vidi che stava imboccando una piccola insenatura che dava, molto probabilmente, sul retro del locale. Portai, allora, lo sguardo sul mio boccale di birra, in silenzio. Ma l'uomo parlò ancora una volta:
<< Come ti chiami? >> Chiese.
<< Michele. E tu? >> Domandai in ovvia risposta.
<< Tutti qui mi chiamano Brandy. Potrei anche dirti il mio vero nome ma, visto che molto probabilmente non ti farai più vedere qui, preferisco farmi ricordare in questo modo. Che poi è anche carino, trovi? >>
<< Si... >> Affermai. <<Originale...>> Anche se in realtà pensai: "POTREI ANCHE dirti il mio vero nome??? In genere è quello che si fa. Ma che razza di..."
<< Si lo so, mi trovi strano. Non sei il primo che lo pensa e non sarai neanche l'ultimo. Ma preferisco così: "strano" è sinonimo di "insolito" e "insolito" è sinonimo di "raro". Qualità caratteriale scarseggiante nelle persone d'oggi. Vero? >> Domandò facendo riaffiorare nuovamente un sorriso.
<< Direi di si.. >> Ero abbastanza perplesso.
<< Cosa ti porta da queste parti? >>
<< Noia soprattutto. Inoltre stasera la mia ragazza non c'è e la mia casa sembra più stretta del solito. Quindi... eccomi qui. A pensarci bene, però, non mi sembra di aver fatto progressi. Questo posto somiglia molto ad una taverna per vecchi lupi di mare versione "casa delle Barbie". Solo che mancano le scazzottate e due o tre congreghe di ubriachi che brindano a squarciagola alla cameriera o alla madre di qualche sconosciuto. >> Pronunciai quella frase senza nemmeno pensarci.
<< Ah ah ah... Ti dice bene che il vecchio Bruno non ha potuto sentirti. Sarebbe capace di shackerare il tuo successivo boccale di birra dopo averlo corretto con tre dita di candeggina o roba del genere. Non vede di buon occhio i nuovi clienti che snobbano il locale e criticano ogni cosa guardandosi intorno. Solo se hai una certa confidenza con lui, puoi azzardare qualche frecciata, ma senza esagerare. >>
<< Me ne ricorderò. >> Aggiunsi solennemente.
<< Sembri un ragazzo simpatico. >> Avanzò l'uomo. Non aveva ancora toccato il suo nuovo litro di birra. << BRUNO! Torna qua... >> Urlò improvvisamente.
<< Che vuoi Brandy? >> Vociò il barista dal retrobottega.
<< Porta le tue mani rugose di qua e riempi un altro boccale per il mio nuovo amico. Offro io! >>
Rimasi pacatamente sorpreso quanto lusingato da quella offerta. In verità non avevo granché voglia di consumare altri alcoolici, ma non dissi niente. Mi limitai a sorridere e a rigurgitare un melenso...
<< Grazie... >>
<< Figurati. >>
Bruno sbucò da dietro al bancone a capo chino. Nonostante fosse di piccola statura, le dimensioni dell'insenatura del muro non gli permettevano di varcarla senza inclinare in avanti il capo di qualche grado. Riapparve e subito esclamò:
<< Offri tu? Vorrai dire "offro io"! Devo ricordarti un piccolo particolare? >>
<< Eddai, Bruno! Sempre a farmi fare le brutte figure di fronte agli ospiti. Stai diventando monotono lo sai? Non credevo che la vecchiaia si manifestasse così prematuramente sotto questa forma. >> Frecciò Brandy, finalmente tracannando un lungo sorso della sua terza birra.
<< Sei te che mi porti a fare sempre i soliti discorsi. Comunque sia, ecco qua... >> Esclamò inclinando un bicchiere di medie dimensioni sotto al rubinetto a spina e spillandoci dentro l'ennesimo litro di birra chiara. << Sta simpatico anche a me il ragazzo. Gliela offro molto volentieri. >>
Recitai l'ennesimo grazie ad alta voce. Stavolta, però, lo feci guardando negli occhi l'uomo seduto alla mia sinistra, sorridendo e pensando al mio commento critico nei confronti del locale di pochi secondi prima. Brandy intuì subito a cosa stessi pensando e il motivo della mia ilarità. Scappò una risata anche a lui. Bruno non ci fece molto caso, pensando alla quantità di alcool in circolo nel corpo del suo amico.
Bevemmo e parlammo. Io e Brandy. Anche Bruno si unì dopo qualche minuto, brindando assieme a noi con un bicchierino di Scotch. Non mancarono le solite stoccate allusive tra le mie due nuove conoscenze e, quindi, non mancarono neanche le risate. Inoltre, l'alcool stava facilitando di molto il processo. D'un tratto, preso dall'enfasi delle risate e forte della confidenza acquisita quasi da subito con i due uomini, azzardai una domanda, rivolta all'uomo che neanche venti minuti prima sembrava in preda ad un coma etilico e che adesso se la rideva di gusto sorseggiando una miscela fermentata di acqua e luppolo:
<< Stai attraversando un brutto periodo, Brandy? Di che si tratta? >>
Cessarono le risa. Brandy cambiò d'un tratto umore e Bruno, tornato nel mondo dei baristi scadenti, prese uno straccio da sotto al bancone e cominciò a pulire meticolosamente ogni cosa che gli capitasse sotto mano. Era evidente che avevo toccato un tasto dolente e che non volesse entrare nel discorso. Imbarazzato dalla situazione di disagio che avevo improvvisamente creato, feci per porgere le mie scuse, ma ancora una volta venni anticipato:
<< Lo sai Michele. Somigli molto a ciò che ero io alla tua età. Riesco a percepire una certa affinità di caratteri tra noi due. >> Farfugliò Brandy, che nel frattempo aveva chinato il capo, flashandosi sul suo bicchiere mezzo vuoto e facendo scorrere in un movimento sussultorio le dita della mano destra sopra di esso. I polpastrelli pattinavano agilmente sulla vitrea superficie umida del boccale. Continuò:
<< Quando prima hai avuto l'opportunità di raccontarmi un po' di te e della tua vita, ho provato una sensazione strana. Ho vissuto una specie di flashback nostalgico e doloroso. >>
Prima che venissi fuori con quella scomoda domanda, mi era capitato di raccontargli, tra una risata e l'altra, un po' di me stesso. Del mio buon lavoro, della mia casa e di Sara, la mia ragazza. Della mia famiglia e della mia città Natale. Mentre descrivevo a grandi linee la mia vita, sorprendevo Brandy ad incupirsi, alternando sporadici "Ah.. ma senti.." a cenni assentivi del capo. Durante il mio monologo non capivo il motivo del suo comportamento, mentre adesso cominciavo ad intuirlo. Solitamente in una situazione di imbarazzo del genere, ero portato a chiudermi in me stesso, limitandomi ad annuire qualunque cosa mi venisse detta. Ma il litro di birra che avevo ingurgitato parlò al posto mio:
<< Doloroso? Come mai? >>
Brandy non parve infastidito dall'avventatezza della domanda.
<< Vedi Michele, a volte le cose non vanno proprio come uno se le immagina da piccoli o come uno crede e spera possano andare. Anche io avevo una moglie, dalla quale avevo avuto un figlio. Vivevamo in una lussuosa casa. Avevo un lavoro molto redditizio che ci permetteva di avere quasi tutto quello che volevamo. Conducevo una vita apparentemente perfetta e forse anche qualcosa di più. Ma certe volte, più una vita è perfetta più questa diventa pericolosa. Pericolosa perché porta chi la conduce ad assoggettarsi ad essa, vivendo in funzione di ciò che possiedi. Col tempo perdi di vista quali sono gli aspetti vitali più importanti, cominciando a confondere il superfluo con il necessario. Ma il pericolo più grande è un altro: la perdita graduale di contatto con la realtà. Non la realtà che uno come me ad esempio conosceva, ma la realtà nella quale altri miliardi di esseri umani sono inseriti. Perdere di vista il significato della parola "soffrire" e del concetto di "farsi il culo per sopravvivere" rende un qualsiasi uomo, anche se apparentemente immunizzato da una condizione sociale privilegiata, particolarmente esposto alla sofferenza. Sicuramente felice, ma decisamente vulnerabile. Dal momento della mia nascita i miei occhi non avevano conosciuto altro che lo sfarzo e il benessere. Sono cresciuto senza neanche quasi sapere cosa fosse la povertà. Desideravo qualcosa? La ottenevo sempre. La mia mente, con il passare degli anni, è stata plasmata da questa limitata visione di vita finendone con l'esserne imprigionata. E questo sarebbe potuto, forse, anche andar bene, come spesso accade nella stragrande maggioranza dei casi. Ma non fu così per me. Prima però, lascia che ti racconti brevemente un po' della mia vita. >>
<< Si... >> Ascoltavo interessato, sorseggiando a intervalli regolari la birra che generosamente mi avevano offerto. Bruno era nuovamente scomparso, evidentemente indaffarato a svolgere qualche mansione nel locale.
<< Sono figlio unico e l'unica parente che ho mai potuto conoscere è stata una lontana zia d'America, anche se morì nei primi anni della mia vita. I miei genitori, quando avevo poco più di 24 anni, prima di scomparire sperperarono tutto il patrimonio di famiglia. Non seppi mai come gettarono tutti quei soldi né che fine fecero successivamente averli persi tutti. So soltanto che di loro non seppi più niente e l'unica cosa che mi avevano lasciato era un ingente conto in banca aperto. Soldi necessari per aprire una ditta tutta mia, in relazione agli studi che da poco avevo terminato. Quindi continuai a vivere con il solo tenore di vita che conoscessi. La ditta crebbe insieme a me. Incontrai Marina e ci innamorammo subito. Lei si innamorò soprattutto del mio portafogli ma all'epoca non avevo la maturità per potermene accorgere. O forse non volevo farlo. Fatto sta che da lei, dopo il matrimonio, ho avuto un figlio. Si chiama Giulio. Tutto andava effettivamente per il meglio. E fu così per un periodo di tempo relativamente lungo. >>
<< E poi..? >> Domandai con una espressione facciale incredibilmente stupida.
<< Ecco che arriva il bello. Fui vittima nel giro di pochi anni di una serie di eventi negativi, a catena. Sembrava quasi che l'uno generasse l'altro e in alcuni casi è stato proprio così. Dopo circa 15 anni di intensa attività la ditta cominciò a fallire rapidamente. Non me ne resi effettivamente conto fino alla quasi bancarotta. Senza neanche accorgermene avevo perso quasi tutti i miei soldi. Chi se ne accorse subito, però, fu mia moglie. Non potei riprendermi dal colpo del fallimento che Marina chiese il divorzio, scappando con nostro figlio. Non trovando la forza per reagire e cercare di ricominciare una nuova vita, ipotecai la casa e utilizzai il denaro esclusivamente per il gioco d'azzardo. Conciliavo questa nuova "attività" di vita con il piacere dell'alcool, a me sconosciuto fino ad allora. Ovviamente, non potendo contare sull'appoggio finanziario di nessun parente, non impiegai molto ad estinguere definitivamente il mio conto in banca. Adesso ho 48 anni. Non ho idea di dove siano mia "moglie" e mio figlio. Non ho una casa. Non ho un soldo. Non ho amici. Vagabondare e bere sono la mia vita. E solo adesso mi rendo conto di non avere mai combinato niente di buono. >> Accennò un sorriso molto forzato.
<< Accidenti. Roba da non credere. >> Pronunciai quelle parole con il boccale di birra sospeso a mezza altezza, bloccato a metà del tragitto che separava il banco dalla mia bocca.
<< Davvero. Roba da non credere. Ma ciò a cui non sono mai riuscito veramente a credere è stata la mia palese debolezza e, ancor più, la mia inevitabile impreparazione ad un tale possibile risvolto della mia vita. Quello che sto cercando di dirti, Michele, è che non dobbiamo mai dare niente per scontato. Sto cercando di farti capire che la vera forza vitale non sta nel trovare in ogni caso il modo per aggirare un ostacolo, quanto il sapersi rimettere in piedi una volta andatoci a sbattere contro. Questo significa vivere. Una persona dovrebbe cercare di godere dei momenti belli che la vita riesce a regalargli ma allo stesso tempo pensare alla fortuna che ha avuto solo per il fatto di poterlo fare. Io sono l'esempio lampante di un uomo che ha saputo gettare nel cesso la propria vita e che, invece di pensare alle soluzioni per poterla far uscire dalla tazza, ha pregato affinché la catena venisse tirata il più tardi possibile. Ti sto raccontando tutto questo perché, come ti ho già detto, a quanto ho potuto notare tu mi somigli. Non voglio sbilanciarmi con considerazioni sulla tua vita privata o sul tuo modo di interpretarla, non mi trovo in una posizione tale per poterlo fare. Ma è stato più forte di me raccontarti un po' la mia storia e gli errori che ho commesso. Errori che mi hanno portato ad essere quello che sono e che mi hanno portato, stasera, a parlare con te. >>
Stavolta, anche se sotto l'effetto della birra, non riuscii a dire niente.
<< E poi... se tu che me lo hai chiesto, no? >> Rise, terminando il suo terzo ed ultimo boccale di quella sera. Si asciugò le labbra e dopodiché, alzandosi, mi disse:
<< Adesso vado. Ti auguro buona fortuna Michele. È stato un piacere conoscerti. >>
Allungò un mano ed io, posando il bicchiere, feci altrettanto per stringergliela. Poi si avviò verso la porta che dava sull'esterno. Quella è l'ultima immagine che ancora oggi possiedo di quell'uomo.
Dopo che Brandy lasciò il locale trascorsi circa dieci minuti in completo silenzio, in riflessione. Pensavo a ciò che mi aveva raccontato quello strano e misteriosamente affascinante individuo, tentando di terminare la mia bionda compagna. Pensavo a lui, alla sua vita e alla mia. Ad un certo punto, riapparve Bruno dietro al bancone:
<< È andato via il nostro amico? >>
<< Si, poco fa. Mi sa che adesso vado anche io. Quanto ti devo? >>
<< 3. 60€ per la prima. La seconda la offre la casa. >>
<< D'accordo, grazie mille. >> Gli dissi tirando fuori il mio portafogli decisamente fornito. Aprii la taschina delle banconote, e alla vista di tutti quei soldi, chiesi d'impulso:
<< A quanto ammonta fino ad ora il debito di quell'uomo? >>
<< Di Brandy? Circa 250€ senza contare le bevute che gli ho offerto. Come mai? >>
Non risposi. Mi limitai a tirare fuori la somma che mi aveva detto alla quale aggiunsi i tre euro e sessanta della mia consumazione. Li posai sul bancone e mi congedai velocemente. Non feci mai più ritorno in quel bar.
Oggi ho 54 anni. Io e Sara ci siamo sposati quando ne avevo poco più di 30. Il nostro amore ci ha regalato tre splendide figlie per le quali ci siamo sempre impegnati affinché non mancasse loro niente. Viviamo in una bella casa, lontana dal centro e lontana da ogni preoccupazione. Sono felice. Ma è una felicità differente da quella che mi aveva accompagnato fino alla sera del mio incontro con Brandy. Quella di allora era una felicità dovuta alla vita che fino ad allora mi aveva sorriso. Questa di oggi è una felicità dettata dalla consapevolezza di aver vissuto veramente. Diverse volte mi sono trovato inevitabilmente di fronte a qualche circostanza spiacevole, avvenimento doloroso o periodo di improvvisa infelicità ma in qualche modo sono sempre riuscito a farmi forza ed andare avanti. Non potrò mai dire se l'incontro con l'uomo che ancora oggi conosco con il solo soprannome di "Brandy" ha giocato un ruolo fondamentale nella scelta del comportamento più adatto alla situazione e nel mio modo di rapportarmi alla vita. So solamente che sia nei momenti fortemente belli sia in quelli dolorosamente brutti il pensiero di quello sconosciuto e delle sue parole era sempre presente nella mia mente. Con gli anni ho saputo apprezzare sempre più ciò che di bello mi accadeva e contemporaneamente cercavo di tramandare a più persone possibili gli stessi insegnamenti di vita che quella sera ricevetti senza neanche aver fatto qualcosa di particolare per meritarmeli. Sono felice e spero che anche l'uomo che ha saputo aprirmi la mente più di chiunque altro lo sia. Oggi dovrebbe avere circa 75 anni, ammesso che sia ancora vivo. Chissà se, una volta aver fatto ritorno al locale ed essere venuto a conoscenza del mio gesto disinteressato, abbia deciso di impegnarsi e provare a fare ciò che non gli era mai riuscito fino a quel momento: reagire. Lui in un certo senso mi ha aiutato e quella sera decisi di contraccambiare in qualche maniera. Non posso sapere se oggi ha trovato la felicità che da tanto tempo lo aveva abbandonato, ma spero vivamente che sia così.
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