racconti » Racconti brevi » Ventiquattro giorni a natale
Ventiquattro giorni a natale
Ventiquattro insignificanti giorni e sarebbe arrivato il natale puntuale anche quell'anno, rifletteva passeggiando Emanuele, non lo aspettava con gioia, anzi era totalmente terrorizzato dall'avvento di tale ricorrenza.
Anche a Morbegno, la cittadina nella bassa Valtellina in cui Emanuele viveva da sempre, avevano iniziato ad appendere le luci, in largo anticipo, notava il giovane, ma per lui si era sempre in largo anticipo per quello che riguardava quel genere di cose lì: regali mai azzeccati, auguri insinceri, estenuanti cene con noiosi parenti- serpenti. E così quella che avrebbe dovuto essere una festività religiosa si era trasformata in un tutt'altro, ma quest'ultima cosa non disturbava Emanuele più di tanto, anzi per lui che si poteva definire tutto eccetto che un credente era forse l'unico fatto consolatorio dell'intera faccenda. Anche a Milano avevano iniziato già da tempo a addobbare, abbellire, facendo le cose davvero in grande. Emanuele amava Milano, a differenza della "sua" Morbegno. Della metropoli Lombarda gli piaceva il suo essere una fiera capitale nordica, quasi gotica, mondana fino al midollo, una città piena di vita e occasioni, così grande quasi da perdercisi dentro.
Emanuele aveva preso un treno per Milano, solo la sera prima, anche se sua nonna, una simpatica sessantaseienne con una naturale predisposizione all'ansia, aveva cercato di dissuaderlo dal farlo, ricordandogli che per quel giorno era stato indetto uno sciopero dei treni. La nonna di Emanuele abitava nell'appartamento al piano superiore rispetto a quello dove stava il ragazzo con la sua famiglia e praticamente era stata lei a crescerlo, ed era per quello che Emanuele amava la nonna più di qualsiasi altra persona al mondo. La nonna di Emanuele, inoltre, era sempre molto apprensiva verso la sua gente, ma in particolar modo, verso quel suo nipote così, a suo modo di vedere, diverso e fragile e forse aveva intuito, nel suo intimo, il perché delle di lui visite notturne e frequenti in quel Milano.
Emanuele sapeva dello sciopero dei treni, e sapeva perfettamente che sarebbe finito alle diciassette di quel giorno stesso, quindi avrebbe potuto partire comodamente, con buona pace della nonnina, alla volta della metropoli lombarda, come di fatto, del resto fece.
Non che gli piacesse contraddire l'anziana donna ma Emanuele sentiva un impellente bisogno di evadere da Morbegno, cittaducola in cui si sentiva intrappolato in una sorta di "non-vita" di depressione solitudine e lacrime, dalla quale, però, non riusciva ad evadere mai del tutto, mai veramente, come se uno strano e malefico cordone ombelicale lo tenesse legato ad essa. Quella settimana, ormai agli sgoccioli, a Emanuele era risultata pesante e infinita. Si era iscritto a scuola guida ma più per senso del dovere che per voglia effettiva; lui non ci aveva mai pensato veramente a guidare un'auto, anzi l'idea di mettersi alla guida lo gettava in un profondo imbarazzo, anche se sapeva benissimo che oggi come oggi avere una macchina e saperla usare era una cosa davvero indispensabile e forse quella sua difficoltà nascondeva un'altra difficoltà ancora più grande : un'incapacità di crescere, di diventare indipendente.
Venerdì mattina, Emanuele era allo stremo, farneticava, ed era nell'angosciosa attesa che uno dei suoi uomini si facesse vivo. Era in attesa di un loro segno. Emanuele, infatti, era un giovane ragazzo omosessuale e in quel periodo si vedeva con molti ragazzi di Milano e dintorni che lui chiamava i suoi scopamici. Mentre nel pomeriggio, per non passare troppo tempo a casa con l'odiata-amata madre, una casalinga frustrata in combutta perenne con il mondo, Emanuele si recò presso la biblioteca civica della sua cittadina, dove, in quel periodo, alternava alla letteratura del Corriere, a quella de "La signora scostumata" di Vita Sackville-West, romanzo sull'aristocrazia inglese del novecento e proprio mentre era impegnato a leggere la scrittrice inglese, Clementino, uno dei suoi scopamici, lo chiamò.
— Buffo! — pensò Emanale, — solo ieri sera stavo pensando a lui guardando una puntata di Grey's Anatomy, ed ora lui mi chiama! — Emanuele amava alla follia quella serie Tv americana, perché la trovava maledettamente stupida e sentimentale, un po' come lo può essere ognuno di noi, nessuno, né tanto meno lui, escluso.
Emanuele allora interruppe la lettura del libro, e si trovò costretto ad uscire dalla biblioteca, per rispondere alla chiamata. Per la fretta si era dimenticato di indossare la giacca, e di conseguenza stava letteralmente "gelando via dal freddo", come si usa dire in quelle occasioni a Morbegno, anche perché le telefonate di Clementino duravano sempre troppo a lungo.
— Ci vediamo domani? — attaccò subito Clementino con la sua buffa voce da cartone animato.
Ma, onestamente, Emanuele non n'aveva per le palle di sprecare un sabato sera della sua vita con uno come Clementino, uno che alla domanda: "Perché ti piaccio?" , gli aveva risposto: "Perché hai vent'anni!" — un'età che come qualsiasi altra passa e sfiorisce.
Clementino non sembrava aver incassato il rifiuto, anzi iniziò a raccontargli di quello che aveva fatto lui il sabato sera precedente. Era uscito con una loro vecchia conoscenza, l'Antonia, un'insopportabile checca che per Clementino era stata la causa scatenante della fine della sua storia con Emanuele. Mentre per Emanuele, checca pure lui, e della peggior specie, ovvero una di quelle capace di fiutare da lontano l'odore di una rivale e farne fuori, sbranandolo, pure il cadavere se ne fosse stato necessario— l'Antonia era solo una checca isterica, stupida, e che, una volta, si era permessa l'oltraggioso lusso di definirlo "più donna di lei" e non c'è niente che una checca odi (e ami) di più che essere paragonata ad una donna vera. Poi sul fatto che avesse effettivamente rubato il cuore del suo ex, questo Emanuele non sapeva né voleva affermarlo con certezza. La chiamata finalmente terminò con un nulla di fatto per Clementino, e per fortuna, ben molto prima che Emanuele iniziasse a congelare del tutto.
Alle diciassette Emanuele rientrò a casa, salì direttamente su dalla nonna, dove accese il computer; riuscendo a salvarsi dalle grinfie del suo piccolo cuginetto Sandro che voleva sempre giocare con lui, e si mise a battere alla "scatolina elettronica" quello che lui considerava un "fetino di romanzo", perché lui nella sua massima ingenuità e modestia pensava che l'unica cosa che gli riuscisse un pochetto bene nella vita fosse lo scrivere. Poi scese giù, in casa della madre che, come al solito, gli urlò, subito contro — Sei uno stronzo che sfrutta la gente che è buona con te! — e questo solo perché l'aveva colto a scrivere al Pc della nonna e fu proprio in quel momento che nella mente del giovane riaffiorò tutta la frustrazione di un'intera settimana, che bastò a farlo uscire di casa sbattendo furiosamente la porta, direzione stazione, con l'obiettivo di acquistarsi un biglietto da centoventi chilometri/orari. Rientrò a casa solo per prepararsi a uscire. Francesco, un altro dei suoi scopamici, gli aveva scritto, visto che Emanuele gli aveva detto che sarebbe sceso a Milano, di informarsi se era tornata in funzione anche la metro che in caso avrebbero potuto vedersi magari alla nota disco gay milanese "Binario1", poi, Emanuele uscì verso la sua libertà.
Indossava un paio di jeans avuti a ventuno euro, prezzo che gli sembrava comunque esagerato dai cinesi, al confine comunale tra Morbegno e Regoledo. Sopra, invece, indossava la sua adorata maglietta color carta da zucchero. Emanuele Amava quella maglietta a maniche lunghe, anche se in realtà era un po' una maglia della discordia. L'aveva acquistata al "Ciao-Ciao", in centro a Morbegno, per soli cinque euro. Era contento Emanuele, gli piaceva e si aspettava che sua madre rispettasse il patto di Natale, ovvero, visto che il regalo del fratello di Emanuele era venuto a costare più del suo— la madre —gli aveva promesso che qualora lui avesse trovato qualcosa che gli fosse piaciuto,, a un prezzo decente, per pareggiare i conti, avrebbe pagato lei, e quella a Emanuele era sembrata la volta buona. Ma, invece, per lui fu l'ennesima delusione. Sua madre fece finta di niente, ma lui era ormai grande, inoltre, già da tempo sapeva che non poteva fidarsi della genitrice e tutto ciò, già l'anno precedente. Siccome faceva freddo, sopra indossava, una felpona che gli aveva regalato sua zia, sotto, ovviamente al suo inseparabile, vecchio e sporco, giaccone scuro.
Sul treno, tanto per far qualcosa Emanuele si mise a messaggiare con Ettore, il suo migliore amico, quando ricevette l'Sms che di certo non gli cambiò la vita, ma la serata di certo sì. Si trattava del messaggio di un certo Roberto— un tipo che gli stava promettendo una ghiottissima entrata gratis al "Flexo"—, per una storia tipo che lui aveva una sorta di abbonamento per un anno per quel locale. Contento dell'insperata svolta, Emanuele decise di rendere partecipe della cosa anche il suo amico con il quale stava scambiando Sms, e che in uno slancio d'affetto gli confidò:
— Mi piacerebbe un casino passare una serata fuori per locali con te! —
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- dispiace de che? Hai solo espresso il tuo parere! Grazie anzi del passaggio a te e Eu!
- Trovo sia il soggetto che la trama esili e incolori. mi dispiace. saluti
- beata gioventu!... comunque mi riconosco in pieno nella prima pagina...
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0