Il vecchio entra dalla porta antica, che cigolando fa sentire la sua voce.
Niente è nuovo nella spoglia stanza, la sedia impagliata ha già perso i suoi fili di paglia e la restante impagliatura e lisa, lucida, i colori che del giallo primitivo non è rimane più niente.
Un tavolo più vecchio che antico ma con ancora integra la sua lastra di marmo e le sue gambe ancora abbozzano gli intarsi e i tori di un tempo.
Una credenza che seminascosta dalla fioca luce che si proietta, attraverso un paralume, sul tavolo, rimane seminascosta nella penombra.
Comunque ostenta ordine nella sua modesta semplicità.
Il vecchio appoggia lo zaino sul tavolo, e lentamente, quasi come eseguisse un cerimoniale si slaccia il cappotto, di panno nero e lo appende ad un attaccapanni fissato al muro.
Eseguito il consueto gesto, si avvicina alla sedia e si siede in modo garbato spingendosi al vicino tavolo.
Il volto del vecchio e cupo bianco triste, come se la giornata, appena trascorsa non gli avesse portato niente di buono.
Con un rapido gesto le consunte mani si portano sulla canuta testa, che lentamente si volta e i neri occhi guardano quella squallida stanza.
Il tempo passa e il vecchio rimane in quella posizione, la luce fioca lo rischiara formando ombre che allungandosi si proiettano minacciose sui nudi muri scrostati.
Il vecchio rimane lì, in quella prostata posizione, mentre la sua mente pensa e piano, piano, scivola nei suoi pensieri, che lo riportano alla giornata appena trascorsa.
I pensieri lo travolgono, rimandandolo a quel capezzale.
La giaceva un bambino, ricorda che lui era stato chiamato.
Chinato sul bimbo c'era un uomo, che con fare agitato si muoveva intorno a quel giaciglio.
Al collo gli pendeva uno stetoscopio, che come una collana ondeggiava frenetico. Vicino altre figure vestite di bianco anche loro con fare frenetico si muovevano in quella stanza.
Ricorda, il vecchio, quelle macchine, tutte illuminate e i suoni, Dio i suoni, lancinanti, acuti, ritmici, insopportabili.
Nessuno face caso a lui, che uscito dalla stanza, si diresse verso quella donna, che era circondata da persone, quasi nascosta abbandonata su quella sedia di ferro. Ricorda il vecchio di avere fatto fatica ad avvicinarla, tra tutta quella gente. Quando, finalmente, l'a raggiunse, lei alzò gli occhi, rossi, che sembravano sputati su quel volto provato dalla più nera disperazione.
Solo la donna si accorse del vecchio.
Lo guardò, dritto negli occhi, così profondamente da fare accapponare la pelle. Nessuna parola uscì dalla sua bocca.
Il vecchio capì e si girò per tornare in quella stanza.
Mentre si incamminava, la donna, cominciò a gridare e inferire contro di lui con parole di rancore e di odio.
Mentre si portava, lentamente, nella stanza il suo cuore voleva scappare, via, andare via, ma lui, era stato chiamato e doveva andare.
Lentamente raggiunse quel capezzale, mentre l'uomo con lo stetoscopio, continuava la sua disperata danza, il vecchio, allora si avvicinò e tese, la sua consunta mano, al bimbo che come per miracolo, si destò dal suo inerte stato e nell'indifferenza generale si alzò dal suo giaciglio e lo seguì.
Il vecchio e il bimbo, mano nella mano uscirono.
Nessuno si accorse di loro, solo quella donna continuava ad inferire contro il vecchio, gridando in una disperazione soprannaturale.
Ora quel maledetto vecchio è qui, nella sua squallida dimora, con le mani sulla testa e il corpo prostrato per quanto è successo e che succederà sempre, sempre, senza fine.