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Giocattoli
Rumore dietro la porta. È arrivato il momento. Mi ero illuso che questa volta l'avrei fatta franca, che questa volta non avrei dovuto farlo. Ma non è così, per l'ennesima volta non è così.
Continuo a sentire quel rumore dietro la porta, tra poco non potrò più nascondermi, tra poco dovrò vedermela con lei. Ancora una volta. Il rumore di passi diventa sempre più vicino, poi di colpo smette, guardò la maniglia abbassarsi e la porta schiudersi lentamente ma con decisione. Come se lei volesse godersi quel momento, come se traesse gioia dall'umiliarmi, dallo sminuirmi. E so che è così, è stato sempre cosi.
Alla fine la porta si apre. Il rumore di passi ha prodotto la figura di una donna nel vano della porta, ha partorito i centoventi chili di mia madre sull'uscio. Lo fa di nuovo. Non ho mai capito come ci riesce ma lo fa di nuovo: mi trova all'istante all'interno della stanza. L'ambiente non è certo enorme, tuttavia è ingombro di cianfrusaglie e mobili più o meno malandati, ma il suo sguardo mi individua in un attimo, come se al momento di entrare già sapesse dove mi trovo, come se riuscisse a vedere attraverso i muri e le porte chiuse.
I suoi occhi mi trafiggono. A volte, ma molto raramente, mi accorgo che vorrebbero essere dolci ed amorevoli, che vorrebbero essere gli occhi di una madre che guarda il suo unico figlio, ma quegli occhi mi provocano sempre la stessa sensazione: farmi sentire inadeguato, aver deluso tutte le sue aspettative. Aver fallito in tutto nella vita.
I suoi occhi mi si fissano addosso come calamite, passano alcuni istanti durante i quali mi sembra che il tempo si fermi, sento i battiti del mio cuore accelerare, mentre il respiro diventa affannoso. Finalmente quegli occhi mi si staccano di dosso, ma solo per individuare la causa del mio disagio. Non ho il tempo di rallegrarmi per i suoi occhi che mi lasciano, che mi accorgo che essi guardano anche con peggior cipiglio quello che c'è sul pavimento. Mia madre lo vede facilmente, esattamente come qualche secondo prima ha visto me. Non è servito a nulla cercare di nasconderlo, di cercare di guadagnare qualche secondo prezioso, di rimandare l'inevitabile. Ho capito da tempo che è tutto inutile. Con lei è tutto inutile.
Il cuore mi balza in gola ed una morsa fredda ed invisibile mi serra la bocca dello stomaco. So di averla fatta grossa questa volta. Anche le altre volte era così, ma questa volta sento che la sua ira sarà peggiore del solito. Probabilmente perché le avevo promesso che dopo l'ultimo giocattolo portato a casa non ce ne sarebbero stati altri. Che cosa farà ora? Mi lascerà senza cena per una settimana, come fece quando portai a casa quel giocattolo che mi venne a noia dopo solo due giorni? O mi farà scrivere mille volte sono un bambino cattivo, come quella volta che ruppi dopo meno di un'ora un giocattolo per il quale avevo fatto i capricci per un mese? Oppure mi chiuderà in cantina, al buio ed al freddo, in compagnia di tutti gli altri giocattoli che non uso più, fino a quando non le chiederò in lacrime di lasciarmi uscire?
Gli occhi neri di mia madre si fissano sul mio nuovo giocattolo, i suoi capelli crespi incorniciano il volto rotondo. Una corrente d'aria dalla porta aperta alle sue spalle porta alle mie narici il suo odore, quell'odore di sporco e stantio, di olio di cucina e sudore. Riesco a malapena ad evitare di storcere il naso: se lei si accorgesse del mio disgusto questa volta sarebbe veramente la fine. Mi aspetto di vedere l'ira nascere nei suoi occhi, la rabbia che sfocerà in una nuova punizione, la collera che troverà sfogo solo in una nuova terribile penitenza.
Quasi non credo a quello che vedo quando noto un sorriso nascere sulle sue labbra sovraccariche di rossetto di infima qualità. Mi aspettavo chissà quale reazione sdegnata e disgustata, invece lei sorride come se avesse vinto alla lotteria, come se avesse appena raggiunto una grande vittoria.
Ma poi capisco. Capisco il senso della suo compiacimento, il senso di quel sorriso beffardo.
Lei gode del mio fallimento, del mio non essere stato in grado di mantenere la parola data.
"E così lo hai fatto ancora." Dice annuendo soddisfatta. "Dopo l'ultima volta hai detto che ti saresti controllato, che ormai eri troppo grande per questo genere di cose, che avresti trovato qualcosa di più consono alla tua età. Ed invece eccoci di nuovo qui, nella stessa situazione affrontata decine di volte. Senza imparare mai. Tu non impari mai."
Apro la bocca per cominciare a dire qualcosa, ma alla fine mi limito ad un verso senza senso, mentre guardo il pavimento. "Ecco, sta zitto." Dice lei. "Tanto qualunque cosa dirai non cambierà la situazione. Sei un fallito, lo sei sempre stato e lo sarai sempre, per il resto della tua inutile vita. Esattamente come lo era tuo padre. Ma almeno lui si è deciso ad uccidersi e mi ha liberato della sua presenza. Tu invece non hai nemmeno questo coraggio. Resterai in questa casa per il resto dei tuoi giorni, continuando a portare a casa questi sporchi e puzzolenti giocattoli, uno dopo l'altro, un giorno dopo l'altro, fino a quando non capirai di essere diventato troppo grande. Ma allora sai che cosa succederà? Succederà che ti renderai conto di non essere diventato grande, ma di essere diventato vecchio, e non ci sarà modo di cambiare la situazione, potrai solo continuare a rotolarti nel fango e nell'apatia, fino a quando finalmente ti deciderai a morire e mi lascerai in pace."
Sono abituato a sentire quelle parole, anche se mi fanno ancora male, comunque so che sono meglio di una delle sue punizioni. Le ascolto in silenzio, con pazienza e rassegnazione, almeno per i primi attimi, ma dopo qualcosa comincia a spazientirmi. Alla fine mi accorgo che più delle parole di mia madre mi irrita il fatto che non posso ancora dedicarmi al mio nuovo giocattolo. Nonostante tutto ho ancora troppa vergogna e paura per giocarci in sua presenza.
Allora decido di darle subito quello che lei aspetta, quello che lei vuole, quello per il quale è venuta nella mia stanza. Rimandarlo servirebbe solo a prolungare il dolore. "Hai ragione, mamma," Dico abbassando lo sguardo. "sono un fallito, ormai non posso più nascondermi dietro all'età. Sono un fallito esattamente come lo era papà. Sono un fallito e non ho nessuna scusa per questo. Ho finito con il rovinare la mia e la tua vita. La vita dell'unica donna che ha mai provato veramente qualcosa per me." Dico quelle parole meccanicamente, sperando che lei non si accorga che sto solo recitando una parte, che in realtà sto usando un mezzo per raggiungere uno scopo: farla uscire dalla stanza. Ma lei non si muove, resta sulla soglia a guardarmi soddisfatta, anche se capisco che non lo è ancora del tutto.
Ed allora faccio qualcosa che non faccio più da non so quanto tempo: piango. Prima piano, come se stessi cercando di trattenere i singhiozzi, poi sempre più forte e violentemente, simulando gli spasmi che scuotono il mio corpo, poi mi lascio cadere e mi siedo accanto al mio giocattolo nuovo posato sul pavimento. Devo essere diventato bravo a fingere, perché il truce cipiglio di mia madre si addolcisce fino a sparire totalmente, sostituito da un'espressione di finta comprensione e pietà. Si allontana dall'uscio e mi viene vicino, si china su di me e mi accarezza il volto. "Guardalo." Dice indicando il giocattolo sul pavimento, io cerco di non farlo per portare fino in fondo la mia recita, per cercare di simulare il mio rimorso, anche se sento fortissima la voglia di ammirarlo. "Guardalo." Ripete lei, alzando appena il tono della voce, poi mi sposta delicatamente il capo e me lo pone davanti. Ed io lo vedo, vedo il mio giocattolo. E sento fortissimo il bisogno di dedicarmici con tutto me stesso, con tutto il mio essere, con tutto il mio cuore e la mia anima. Con questi sentimenti è molto difficile simulare il pentimento che sto cercando di far trasparire dalla mia espressione, ma devo essere diventato bravo: nella voce di mia madre c'è pazienza e rassegnazione, direi quasi comprensione. "Guardalo," Dice ancora. "per quanto in questo momento possa sembrarti bello, per quanto possa sembrarti irresistibile, arriverà il momento in cui esso ti verrà a noia. Arriverà il momento in cui lo abbandonerai e lo getterai in cantina, insieme alle altre decine di giocattoli che hai portato a casa e con cui non giochi più."
So che è così, ha ragione, lei ha sempre ragione. Guardo la porta della cantina posta di fronte all'uscio aperto della mia stanza. Lì sotto, al freddo ed al buio sono ammucchiati alla rinfusa le decine di giocattoli che non uso più. Ho desiderato ognuno di loro per lo meno come adesso sto desiderando quello sul pavimento, talmente forte da essere convinto d'impazzire se non lo avessi avuto, con tanta intensità da pensare che la mia vita senza di esso non avrebbe avuto senso. Eppure, dopo pochi giorni, a volte dopo addirittura poche ore, mi sono stancato di ognuno di loro. Ed allora ho capito il vero segreto della felicità: la vera felicità non sta nell'ottenere tutto quello che desideriamo, sta nel non smettere mai di desiderarne e cercarne di altre. Quindi le sue parole, per quanto giuste, non fanno venire meno la voglia di giocare con il mio nuovo giocattolo nemmeno per un attimo. Infatti non resisto alla tentazione di osservarlo di nuovo, lì posato sul pavimento a meno di un metro da me. Lei se ne accorge e si alza bruscamente, anche se sul suo volto avverto soltanto un po' di irritazione; dopotutto ha raggiunto il suo scopo. Dopo aver lasciato cadere svogliatamente uno sguardo indifferente sul mio giocattolo dice. "Ora ti lascio, ma ricorda le mie parole: questo giocattolo durerà al massimo un giorno, e poi lo getterai in cantina insieme a tutti gli altri. Non puoi più comportarti in questo modo, non sei più un bambino: tra non molto avrai... cinquant'anni."
Lascio che quell'ultima frase mi scivoli addosso, registrandola a malapena, la guardo fremendo uscire dalla porta che lascia aperta, aspetto che i suoi passi diventino abbastanza lontani nel corridoio, poi balzo in piedi e mi affretto a chiuderla. Mi volto a guardare il mio giocattolo sul pavimento, la bocca mi si apre in un sorriso da un orecchio all'altro e sento quasi fisicamente gli occhi che mi scintillano. "Hai ragione mamma," Dico solo nella mia testa. "questo nuovo giocattolo durerà al massimo un giorno, ma sarà un giorno da non dimenticare."
La ragazza legata ed imbavagliata sul pavimento osservò l'energumeno che le veniva incontro, la speranza di essere aiutata da quella grassa vecchia entrata poco prima era durata solo il tempo necessario a farle sembrare la situazione ora ancora più spaventosa. Cercò di liberarsi prima che lui l'afferrasse, come aveva fatto qualche ora prima in quel parcheggio buio, con il solo risultato di avvertire il bruciore delle corde che le incidevano la carne dei polsi. Pianse, silenziosamente a causa del bavaglio, ed il trucco sugli occhi si sciolse fino a formare due sbavature lungo il volto, fino al grosso pezzo di adesivo che aveva sulla bocca.
Il maniaco l'afferrò per le spalle e la sollevò senza il minimo sforzo, i due volti si trovavano ora uno di fronte all'altro. Lei avvertì il suo terribile fetore. Il mostro sorrideva, ma quel sorriso era ancora più agghiacciante in quel volto deturpato dalla follia. Poi notò i suoi occhi, e qualcosa fermò le lacrime, per un attimo anche il terrore sembrò lontano. Quegli occhi non erano gli occhi di un assassino, non erano gli occhi di uno psicopatico, non erano gli occhi di un killer. Sembravano gli occhi di un bambino, gli occhi di un bambino che sta per giocare per la prima volta con il suo nuovo giocattolo.
Poi la ragazza cercò di non essere più lì... cercò.
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- Postato pre errore come "giallo" ecco un altro racconto "horror" dalla rassicurante... atmosfera familiare: sei davvero bravo, complimenti