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Il sedicesimo colpo
Fu risvegliato dal cigolio della porta, faticando a riconnettersi con la realtà. Si era addormentato con la testa appoggiata sul tavolo, un bicchiere di vodka ben stretto nella mano.
Poco più avanti, qualcuno stava palpando il nudo deretano di una prostituta, mentre intorno un'umanità dimenticata tentava di sopravvivere. Risate si alternavano a gemiti soffocati e versi gutturali, tremori a sobbalzi e ammiccamenti, nel vano tentativo di esorcizzare i propri fallimenti esistenziali. Volti disfatti dall'alcol e dalle droghe, corpi seminudi, effluvi di umori che lasciavano nell'aria l'odore acre e pungente del sesso rubato.
La scena, offuscata dal denso fumo che galleggiava nell'aria in aggiunta a quello prodotto nella sua mente dalla vodka, gli ricordò in maniera inquietante un'incisione dell'Inferno di Dante che aveva a casa.
Svuotò il bicchiere emettendo un verso di disgusto, poi si recò al banco dove il barista era affaccendato con due clienti alle prese con una sbornia.
- L'ultimo, Mario.
- Meglio di no, Giorgio. Per questa sera basta così, sennò ti riduci come loro.
Il barista accennò in direzione dei due ubriachi che stavano dando in escandescenze a poca distanza, insultando lui e la sua famiglia in tutti i modi possibili. Giorgio diede uno sguardo.
- Magari riuscissi a ubriacarmi in quel modo, almeno potrei dirti quello che penso della tua schifosa vodka e di questo bordello!
- Vai a casa, Giorgio!
Come se fosse facile andare a casa. Erano tre giorni che arrivava fino alla porta, rimanendo immobile lì davanti qualche minuto, per poi tornare indietro.
Gettò due banconote sul bancone e si avviò lentamente verso l'uscita. Tirò su il bavero della giacca e s'incamminò, calpestando larghe chiazze d'acqua prodotte da una pioggia che ormai cadeva ininterrotta da una settimana. Fatti pochi passi, notò dietro delle auto una ragazza giovanissima inginocchiata davanti ad un uomo. Si avvicinò.
- Ti va male stasera!
L'uomo in evidente stato confusionale, congestionato e ansimante, riuscì a malapena a rendersi conto che qualcuno gli stava parlando.
- Accidenti, sono capitato proprio adesso che quasi riuscivi a farcela. Quanto mi
dispiace! -
La ragazza, sorpresa dalla voce di Giorgio, si ritrasse impaurita, guardandolo in faccia. Era poco più che una bambina, a stento avrà raggiunto i tredici anni. L'uomo, privato del suo sollazzo, ebbe una reazione violenta, afferrandola per i capelli nell'intenzione di obbligarla a continuare.
Stava piovendo forte. Giorgio prese per un braccio la ragazzina, le mise in mano cinquanta euro dicendole che per quella sera bastava, che poteva ritornare a casa. Sapeva che non sarebbe andata così, che entro poco sarebbe divenuta preda di un altro orco. Guardò in faccia quello che aveva davanti, che forse cercava di capire se aveva a che fare con un pazzo.
- Che c'è, volevi dirmi qualcosa? Ah, ma tu forse sei di quelli che se non vanno con una ragazzina non gli diventa duro! Dì la verità, è così, eh?
L'uomo continuava a rimanere in silenzio. La sua faccia tradiva un evidente timore.
- Potrei lasciarti andare, ma c'è un problema. Piove.
L'altro lo guardava sempre più confuso.
- Quando piove un bel po' della merda che insozza le strade viene lavata via e finisce nelle fogne.
L'uomo cominciò a tremare.
- Io amo la pioggia, tu no? Ti posso capire.
Il tremore dell'uomo divenne evidente. Si era rannicchiato in un angolo, lo sguardo basso, incapace di qualsiasi azione.
- Vattene!
Dopo un'esitazione iniziale l'uomo non se lo fece ripetere una seconda volta, e rapidamente si allontanò.
Giorgio si accese una sigaretta, poi, mentre un fiammifero finiva la sua corsa a terra spegnendosi nell'acqua, vide quell'uomo ormai lontano come preda di un sussulto, di un infinitesimale attimo di sospensione del tempo durante il quale tutto si era fermato. La faccia di questi si contorse in uno spasimo di breve durata, il tempo che la pallottola impiegò per attraversargli il cranio. Giorgio sbloccò l'otturatore del revolver, rimasto aperto dopo aver sparato l'ultimo colpo, e rimise la pistola nella fondina. Era ora di andare. Oltrepassò il cadavere dirigendosi verso casa. Arrivato davanti alla porta entrò senza esitare. Si spogliò, buttando i vestiti bagnati dentro la vasca da bagno. Pensò all'uomo che aveva appena ucciso.
- Non è vero che amo la pioggia, stronzo. Quando piove i vermi escono dai loro
rifugi. Ed io sono stanco di vedere vermi da tutte le parti.
Restò fermo davanti allo specchio del bagno ancora un po', poi si recò in cucina. Appoggiò la pistola sul tavolo ed estrasse una scatola di munizioni dal cassetto.
Pensò quanto fosse diverso il significato della parola "verità" a seconda del contesto. In tribunale, per esempio, l'unico che conosce la verità, cioè l'esatto svolgimento delle azioni sottoposte a giudizio, è colui che ha commesso il fatto. Che non sempre corrisponde all'imputato. Tutta una macchina complessa come la giustizia impegnata a dimostrare una verità processuale che poi non è vera. E non c'è niente di più assurdo di una falsa verità. Forse solo un falso innocente. Raggiunse la camera e si sdraiò sul letto. La pistola in mano. Ripensò agli ultimi tre giorni. Poi a quindici anni prima, al processo in cui un innocente era stato giudicato colpevole. Poi a se stesso. L'unico a conoscere la verità. Ma era stato zitto, e aveva permesso che un innocente finisse in prigione. Fino a tre giorni prima, quando l'aveva incontrato per strada. Per quindici anni aveva fatto finta di cancellare il ricordo dalla memoria. Ora però sapeva che per lui sarebbe iniziato l'inferno a cui era sfuggito finora. Sapeva anche cosa doveva fare.
Guardò la pistola che aveva appena ricaricato.
Una falsa verità per un falso innocente.
Estrasse il caricatore, guardandolo come se lo vedesse per la prima volta. Conteneva quindici colpi. Quindici colpi per quindici corpi. Tanti ne aveva uccisi negli ultimi tre giorni. Tutti della stessa razza di quello che aveva ammazzato per ultimo. Tutti della sua stessa razza.
Sfilò un proiettile dal caricatore e l'infilò in canna.
Era giunta l'ora anche per il sedicesimo.
Ripensò alla verità.
La verità aveva le sembianze di una bambina che aveva avuto la disgrazia di incontrarlo.
La verità aveva le fattezze di un ragazzo che, innocente, era stato incolpato al suo posto per la violenza.
La verità aveva le sembianze di un disperato sdraiato sul letto, in mano un revolver puntato alla tempia.
Non pioveva più. L'umidità si condensava in strati sottili.
I vermi cominciavano a rientrare nelle loro squallide tane.
Tutti meno uno.
Lo sparo echeggiò nel silenzio della notte.
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l'autore Nunzio Campanelli ha riportato queste note sull'opera
Ripropongo questo racconto, già pubblicato con il titolo "Pioggia", in una nuova versione dal finale completamente variato.
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