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Incubo
C'è freddo. Freddo e buio.
È la prima cosa che Alyce nota non appena apre gli occhi.
Freddo, buio, e un odore selvatico, come di corteccia e foglie bagnate.
Muove qualche passo e sente uno scricchiolio sotto i piedi nudi: un ramo. Si guarda intorno, aguzza gli occhi, che iniziano ad abituarsi alla semi-oscurità che la circonda, e capisce di trovarsi in un bosco.
Gli alberi sono alti e fitti, dai i tronchi sinuosi e puntati al cielo come le spade di un esercito. Il terreno ai suoi piedi è ricoperto di foglie screziate di marrone e di giallo. Una strana foschia avvolge l'ambiente all'altezza delle sue ginocchia.
Si guarda: indossa un abito bianco, lungo e scollato, tenuto su da due sottili spalline che quasi le scivolano dalle spalle. Ha i capelli sudati e appiccicati sul collo e sulle guance, il petto ansante e il cuore in gola, come se avesse corso - ma lei non ricorda di averlo fatto.
Tutto ciò che Alyce ricorda è di aver dato la buonanotte a sua madre, aver indossato il pigiama ed essere andata a letto, come ogni sera. Perché si trova in quel posto? E dove si trova, di preciso?
D'un tratto, una serie di fruscii e scricchiolii di rami spezzati le rivelano che non è sola. Inizia a correre all'impazzata, travolta da un terrore primordiale e assoluto, che le azzera la mente e le contorce le budella fin quasi a farla star male. Quella che prova mentre scappa non è la classica fifa che un essere umano sperimenta abitualmente nel corso della sua vita quotidiana; non è la paura che precede un esame, o un prelievo del sangue, o che accompagna la visione di un film dell'orrore. È la Paura che una preda prova poco prima di essere brutalmente divorata, la Paura che ti spinge a vomitare i tuoi polmoni pur di scappare il più lontano possibile; un sentimento antico e selvaggio come la morte.
Continua a correre, poi si ferma, perché non è mai stata una grande atleta e adesso si sente come se ogni parte del suo corpo stesse per esplodere. Crolla al suolo, tenendosi una mano sul petto e respirando di sollievo: qualunque cosa fosse, adesso l'ha seminata. Ne è sicura.
Il vento sussurra tra le fronde degli alberi, producendo una strana, malinconica melodia. Il gelo della notte le accarezza le braccia e l'aria sembra fermarsi, aderire alla sua pelle. Alyce non riesce a scorgere il cielo attraverso le chiome degli alberi che la sovrastano, e la cosa le suscita un claustrofobico bisogno di fuggire.
Sta giusto pensando a come fare per andarsene, quando un nuovo rumore, stavolta proveniente da un punto impreciso nelle sue immediate vicinanze, la paralizza e le toglie il respiro.
Davanti a lei c'è qualcuno.
È una bambina. Ha i capelli legati in due trecce asimmetriche, il viso a forma di cuore, gli occhi grandi e sgranati, iniettati di sangue. I semplici abiti che indossa sono sporchi di terra, fango e... sangue.
C'è sangue ovunque: sulle foglie ai suoi piedi, sui suoi vestiti, sul suo viso, persino sui capelli.
Ha l'aspetto fragile e indifeso di qualcuno che ha seriamente bisogno di aiuto, ma per qualche motivo è Alyce quella spaventata, non lei.
Lei è impassibile, inespressiva e pallida come un cadavere.
D'un tratto, però, inclina leggermente il capo e fissa gli occhi nei suoi.
Quando la vede, il suo volto si deforma in una smorfia d'orrore; il suo corpo si muove con uno scatto e corre verso di lei.
Eccola, di nuovo, la Paura: Alyce è terrorizzata, vorrebbe urlare, fuggire, volatilizzarsi come cenere al vento - ma non riesce a fare nulla di tutto questo. Tutto ciò che le riesce di fare è alzarsi e fronteggiare la bambina, ferma e immobile come una statua di freddo marmo.
-Alyce- dice lei.
La sua voce ha il suono di mille pezzi di vetro infranti che cozzano l'uno contro l'altro poco prima di sparpagliarsi sul pavimento. È flebile, come quella di un essere privo di respiro, ma acuta come milioni di urla.
-Alyce, aiutami-.
Alyce le si avvicina, con le labbra schiuse e gli occhi spalancati. Gocce fredde di sudore le scivolano lungo la spina dorsale quando esamina con più attenzione le sue ferite.
Un livido violaceo e giallastro attorno all'occhio destro; un taglio di spaventose dimensioni sulla gola; diverse costole incrinate sul petto; una gamba piegata in maniera innaturale; rivoli di sangue che le escono dalle labbra e dalle narici.
-Come ti chiami?- le chiede, con voce tremante.
-Charlotte- risponde lei.
-Mi dispiace, Charlotte, ma non credo di poterti aiutare. Non ho niente con me per curarti, non so neanche dove mi trovo...-.
Il volto della bambina diventa triste, così profondamente e irrimediabilmente triste e sconsolato che Alyce sente il proprio cuore spezzarsi dal dispiacere. Lacrime iniziano a solcarle le guance madide di sudore.
-Guarda cosa mi ha fatto- sussurra la bambina.
Solleva le braccia, le tende le mani; ogni osso del suo corpo sembra trovarsi nella posizione sbagliata.
-Guarda cosa mi ha fatto- ripete, lentamente.
Muove qualche passo verso di lei.
La Paura ritorna, Alyce indietreggia.
-Aiutami-.
-Perdonami, non posso-.
L'esclamazione di Alyce è quasi un urlo isterico di pianto.
-Guarda cosa mi ha fatto-.
Charlotte finalmente si ferma. Inclina il capo. Le pupille scompaiono, i suoi occhi sono due enormi buchi bianchi. Le sue labbra si spalancano e ne fuoriesce altro sangue.
Tanto sangue. Un fiume di sangue e organi e cellule che sporca Alyce e la spinge a urlare, urlare così forte fino a lacerarsi le corde vocali, fino a sentirsi i polmoni in gola insieme ad un fiotto di vomito.
-Guarda cosa mi ha fatto-.
La voce di Charlotte è solo un sussurro, ma chiaro è udibile.
-Aiutami...-.
Alyce inizia a correre. Più veloce di prima, più disperatamente.
Scappa da quella bambina, scappa da quel bosco, scappa da se stessa e dalla Paura che le si è cucita addosso come un vestito.
Dopo quella che le è sembrata un'eternità, riesce finalmente ad uscire dal perimetro del bosco. Giunge sul ciglio di un burrone, il cui fondo è reso invisibile da molteplici banchi di nebbia fitta e impenetrabile.
-Guarda cosa mi ha fatto...-.
La voce di Charlotte è sempre più vicina; Alyce si guarda intorno, disperata, ma realizza ben presto che l'unica via d'uscita possibile è quel burrone.
Con un ultimo sguardo alle sue spalle, prende una decisione irrevocabile.
Come al rallentatore, i suoi piedi si staccano dal suolo, il suo corpo si proietta verso il vuoto.
Ed è allora che inizia a precipitare.
È mattina.
Un intrepido raggio di sole penetra attraverso le tendine della finestra della camera di Alyce, ancora semi-addormentata. Gli uccellini cinguettano un'allegra melodia. L'aria è limpida e fresca.
Alyce balza a sedere di scatto; si stringe le ginocchia al petto e inizia a cullarsi ritmicamente, avanti e indietro, terrorizzata. Sta per urlare, ma il grido le muore in gola non appena si guarda intorno e realizza di trovarsi nella sua camera, sulle stesse lenzuola candide sulle quali ha poggiato il suo corpo stanco la sera prima.
Emette un sospiro di sollievo: era solo un incubo. Solo un misero, sciocco incubo.
Con un'occhiata all'orologio e alla cartella piena di libri di testo ai piedi della scrivania, si alza in piedi, pronta a prepararsi per la giornata seguente.
Ma è costretta a sedersi di nuovo: ogni membro del corpo le fa male, i suoi polmoni sono in fiamme, la sua gola è graffiata e dolorante. Ed è stanchissima, come se avesse trascorso l'intera notte a correre...
Spalanca gli occhi.
Solleva leggermente l'orlo della camicia da notte bianca e sottile e scopre di avere i piedi sporchi di terra e scorticati; attorno ai bordi delle ferite sono rimasti attaccati minuscoli frammenti di ramoscelli. Improvvisamente si accorge di essere fradicia di sudore, e di avere addosso un odore selvatico, boschivo.
Si prende la testa tra le mani, respira profondamente.
Non è successo veramente. Non è successo veramente. Non è successo veramente.
Era solo un brutto sogno.
Se lo ripete mentalmente una, dieci, cinquanta volte, finché non inizia a crederci davvero. Poi compie un bel respiro profondo e si dirige verso il bagno.
Quando ne esce, ha fatto una doccia e riposto il vestito incriminato nella cesta dei panni sporchi. Adesso la sua pelle odora del suo bagnoschiuma preferito e ogni parte del suo corpo è linda e pulita, come sempre.
Afferra lo zaino e va in cucina, dove sua madre l'attende con un sorriso e una tazza di latte e cereali.
-Buongiorno, tesoro-.
-Buongiorno, mamma. Buongiorno, papà-.
Suo padre è seduto a capotavola, gli occhi fissi sulla televisione.
-Buongiorno, Lys. Oddio, non posso crederci-.
I suoi occhi si spalancano, sempre in direzione della tv. La madre di Alyce lascia perdere le stoviglie da lavare e si avvicina al marito, poggiandogli le mani sulle spalle.
-E'... È terribile-.
Incuriosita, Alyce molla il cucchiaio e la tazza di cereali e imita i genitori.
La televisione è sintonizzata sul notiziario delle otto. Un giornalista in giacca e cravatta annuncia una notizia dell'ultima ora con aria compunta e grave.
-Un'ora fa un paio di testimoni oculari hanno chiamato la polizia, terrorizzati dalla visione di un'auto che, dopo aver attraversato a tutta velocità la vecchia foresta, si è buttata con decisione nel burrone qui davanti-.
Il giornalista si sposta, indicando uno spaventoso baratro avvolto nella nebbia. Il cameraman ruota leggermente sul posto e inquadra un'ampia macchia di alberi alti e sinuosi, dalle punte svettanti rivolte verso il cielo.
Alyce si sente raggelare.
Non è possibile. Non è assolutamente possibile.
-I poliziotti accorsi sul posto hanno subito contattato i vigili del fuoco e la guardia forestale. Dopo numerosi tentativi e complicate operazioni delle tre forze dell'ordine congiunte, una gru dei pompieri ha estratto l'auto dal precipizio, in condizioni a dir poco disastrose. Purtroppo, dentro vi erano due passeggeri. Un uomo e una bambina-.
La telecamera inquadra un rottame di ferro accartocciato su se stesso; la vernice azzurro-chiaro è scrostata, le ruote sono saltate via, i finestrini sono tutti infranti.
-Si tratta di Michael Sheridan, 45 anni, impiegato statale. La moglie ne aveva denunciato la scomparsa improvvisa proprio stamane, poco prima della terribile scoperta. Pare che l'uomo abbia preso l'automobile, una vecchia 4x4 azzurra. Le targhe corrispondono-.
Sullo schermo della tv compare la foto della carta d'identità del signor Sheridan: un uomo dall'aspetto perfettamente normale, persino affabile.
-Ma non è tutto. Con lui, purtroppo, c'era anche un'altra persona. Sua figlia-.
Un'altra pausa piena di effetto.
-Charlotte Sheridan, 10 anni-.
Sullo schermo appare la foto di una bambina dall'aria allegra e spensierata, dai lunghi capelli rossi legati in due trecce leggermente asimmetriche e i grandi occhi scuri.
Charlotte sorride allo schermo, sorride al mondo, e sembra quasi uno scherzo, una burla di cattivo gusto al crudele fato che le ha appena tolto la vita.
-La signora Sheridan non si era accorta della sua assenza in casa, perché quella notte la figlia era a dormire dalla zia. Pare che i coniugi Sheridan litigassero spesso in quel periodo e che la madre avesse voluto tenerla lontana da quella difficile situazione mandandola a stare per qualche tempo dai parenti più prossimi. Ahimè, purtroppo, non ci è riuscita-.
Alyce è ammutolita.
I suoi genitori spengono la televisione, esprimono qualche commento, si scambiano occhiate tristi.
Alyce è incapace di esprimere la benché minima emozione. È una maschera di ghiaccio e pietra. L'unica cosa che si muove è la sua mente, frenetica e febbrile sotto quell'aspetto scioccato.
Charlotte.
Foresta.
Burrone.
Guarda cosa mi ha fatto, le aveva detto.
Guarda cosa mi ha fatto. Aiutami.
Con un urlo strozzato, seguita dalle occhiate sbalordite dei suoi genitori, Alyce scappa via dalla stanza.
Spalanca la porta della propria camera, corre rapida verso il bagno. Pesca nella cesta della biancheria sporca, trova subito la camicia da notte. La esamina con attenzione.
Sull'orlo, vicino alle macchie di terra e fango, c'è del sangue.
Tanto sangue, misto a frammenti ossei e cartilaginei.
Guarda cosa mi ha fatto.
Alyce crolla a terra, resa muta, folle dalla paura.
Lacrime sgorgano dai suoi occhi, rivoli di sudore freddo le scorrono lungo la schiena; è la Paura, è tornata a tormentarla dopo una notte insonne in sua compagnia.
Una notte insonne tra realtà e fantasia, presente e futuro, nel limbo del destino, nel regno dei sogni, dove ogni cosa è possibile.
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1 recensioni:
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- Un racconto d'esordio impeccabile sotto tutti i punti di vista... complimenti vivissimi alla giovane autrice e una raccomandazione... spaventaci ancora!
- Stanislao, grazie davvero!